Sulla STAMPA di martedì 28 febbraio 2006 Francesca Paci intervista Emma Bonino sui finanziamenti all'Anp di Hamas, che costituiscono l'ennesimo esempio dell'ambiguità politica dell'Europa. Ecco il testo:
Emma Bonino, Bruxelles ha appena stanziato 121,5 milioni di euro per l’Autorità nazionale palestinese, vale a dire Hamas. Tutto normale? «Normale sì, nel senso che siamo di fronte alla solita ambiguità europea. Da una parte si considera Hamas un’organizzazione terrorista iscritta nella lista nera, dall’altra piovono finanziamenti. Intendiamoci, che ci piaccia o meno Hamas ha vinto le elezioni senza imbrogliare. Rappresenta i palestinesi. Ma da lì a staccare assegni in bianco ce ne passa. Sembra che la lezione di Al Fatah non sia servita a nulla». Cosa avrebbe dovuto imparare l’Europa da quell’esperienza? «Che gli aiuti vanno finalizzati a progetti reali. Abbiamo foraggiato per decenni il partito di Arafat senza controllare dove andassero i soldi. Agli insegnanti? Ai servizi segreti del raiss? All’acquisto di armi? Il risultato è stato un dilagare della corruzione tale da spingere la gente a votare i fondamentalisti di Hamas, non sul Corano ma sulla promessa di riforme. Ovvio, erano ridotti alla bancarotta. Lo dicevo io di stringere la borsa, lo dicevo da prima dell’elezione del presidente iraniano Ahmadinejad, votato anche lui in protesta contro la corruzione dilagante del regime degli ayatollah». Se Hamas presentasse un piano d’investimenti concreto, sarebbe dunque corretto finanziarlo? «Dipende. Oggi l’Europa ha l’occasione di prendere una posizione netta e voltare pagina rispetto al sostegno acritico fornito a Yasser Arafat. Soldi sì, ma condizionati. A cosa servono? Discutiamone». A quel punto si potrebbe riconoscere in Hamas un interlocutore politico e cancellare l’aggettivo «terrorista» che l’accompagna? «Ci andrei con i piedi di piombo, ma credo proprio di sì». Perché l’Europa tituba? «Mi verrebbe da dire che è la sua natura. Privilegia sempre la stabilità alla tutela dei diritti umani, materia da salotto buona per le discussioni della domenica mattina. La cosa non vale solo per Hamas, ma per tutti i Paesi associati, dalla Tunisia alla Cambogia. Eppure ci sarebbe una clausola ad hoc nell’articolo 2 degli accordi con i partner dell’Unione che condiziona la collaborazione al rispetto dei diritti umani. Niente. Mai una volta che Bruxelles vi abbia fatto ricorso, neppure un tentativo di convocare il comitato congiunto...» Magari questa è la volta buona. « Sono un po’ scettica. Bisognerebbe lavorarci parecchio sopra. Vincolare i finanziamenti ai progetti e al tempo stesso informarne i palestinesi. Penso ad una campagna sulla tv satellitare Al Jazeera, per esempio, in cui spiegare che l’Europa è interessata a promuovere la democrazia ma non a sostenere regimi autocratici nelle loro prevaricazioni». Hamas è bandita. Il gruppo sciita libanese Hezbollah, che Israele mette sullo stesso piano, no. Come mai? «Già, come mai? Perché i libanesi hanno fatto fortissima pressione su Bruxelles, spiegando che le azioni di Hezbollah erano resistenza nazionale. Probabilmente sono stati più abili. Ecco l’ennesima prova della contraddittorietà della politica estera europea, ambigua, doppia, sempre imputabile di utilizzare due pesi e due misure. Se oggi decidiamo d’interrompere i finanziamenti al nuovo governo palestinese, Hamas ci accuserà di esserci turati il naso senza problemi con Arafat. Per fortuna adesso c’è il cancelliere tedesco Angela Merkel». Cosa fa la Merkel in controtendenza rispetto agli altri leader? «Mette le carte in chiaro. E’ andata a Mosca ad incontrare il premier Putin, per esempio, ma al tempo stesso ha dato udienza ai dissidenti russi. La medesima cosa che ha fatto il segretario di Stato americano Condoleezza Rice in Egitto: apertura di credito a tutti, compresi i governi più autocratici, a condizione di dialogare anche con la società civile. E’ l’unica strada percorribile per l’Europa». Altrimenti? «Difendere la stabilità a tutti i costi non ci porta niente. Anche i cimiteri sono stabili, stabilissimi».
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