Pubblichiamo l'articolo di Gilles Kepel "In nome di Dio", riprendendolo da La Repubblica di venerdì 24 febbraio 2006.
Segnaliamo il fatto che in questo articolo il ribaltamento morale che fa del terrorismo di Hamas una "resistenza" e delle sevizie di Abu Ghraib (scoperte e punite da inchieste interne dell'esercito americano e da tribunali militari) un capo d'accusa contro Stati Uniti e un alibi per Bin Laden, viene presentata come una visione soggettiva del mondo islamico, altrattanto legittima e parziale (allo stesso tempo) di quella dell'Occidente aggredito. Un enorme errore di valutazione, come é ovvio. O, meglio, un rifiuto di valutare che non potrebbe che avere, se adottato generalmente, esiti catastrofici sulla forza morale necessaria alla difesa dall'attacco islamista.
Ecco il testo:
I sentimenti di condanna e orrore prodotti dagli attentati dell´11 settembre 2001 avrebbero potuto paradossalmente unire il mondo occidentale e quello musulmano. In quei giorni si sarebbe potuto trovare un denominatore comune sui temi normativi e sulla nozione di terrore e terrorismo, poiché per tutti era parso all´inizio che le atrocità prodotte dalle esplosioni, le tremila vittime innocenti, i sopravvissuti che si gettavano in un volo mortale dalle finestre delle Torri gemelle, tutto questo sembrava una nuova tappa dell´orrore e del male a cui rispondere insieme.
Ma nei quattro anni e mezzo finora passati da quella mattina di settembre i termini sono invece divenuti ambigui, e nulla permette ora di trovare un consenso neanche quasi sulle definizioni generali di bene e male, che possa avvicinare il mondo musulmano e quello occidentale. Le immagini dell´11 settembre rappresentano e incarnano quasi per noi occidentali il terrore e gli effetti del terrorismo; invece per molta parte del mondo arabo quello che noi definiamo terrore e terrorismo rappresenta piuttosto la giusta causa e il martirio da esporre e sbandierare proprio all´Occidente. A tal punto vengono relativizzati - direi quasi rovesciati - da parte del Medio Oriente i giudizi di valore scaturiti dall´attentato.
Quello che ha scosso sin alle fondamenta dei valori comuni è il modo in cui si è sviluppata la situazione in Palestina e in Iraq dopo l´11 settembre e la rappresentazione che se ne è fatta nel mondo musulmano (anche sotto la spinta dei proclami fondamentalisti di Bin Laden, Zarqawi e gli altri leader qaedisti). Nella nostra percezione gli attentati alle Torri gemelle sono come una scottatura alla quale non potevamo che rimanere ipersensibilizzati ed esposti psicologicamente: l´attenzione quasi eccessiva che talvolta sembriamo porre su alcune questioni che ci vengono dal mondo arabo sono il retaggio di quel momento in cui il nostro sguardo si è volto, improvvisamente ma definitivamente, verso le sponde orientali del nostro mondo.
E poi l´intervento in Iraq, considerato positivo subito dopo la caduta di Saddam e la democratizzazione del Paese, è definitivamente precipitato nel giudizio generale in un conflitto interetnico e interconfessionale senza sbocco, come dimostrano anche i massacri e gli scempi ai simboli religiosi di questi giorni. Insomma, il caos generalizzato, con in più l´inabissarsi della credibilità morale dei paesi occidentali (Stati Uniti in testa), provocata dalle violenze fisiche e appunto anche morali delle carceri di Guantanamo e Abu Ghraib. Così, alla fine, nei media arabi sono le sevizie americane e non l´11 settembre la vera espressione del male contemporaneo.
Allo stesso modo in Israele e Palestina la qualifica di terrorista che noi abbiamo sempre applicato ai kamikaze di Hamas o della Jihad islamica non è più opportuna da momento in cui gli elettori palestinesi hanno portato al potere proprio il partito di coloro che commettono gli attentati suicidi.
A questo punto le categorie di bene e di male si sono rovesciate; ciò che è stigmatizzato da una parte come uccisione di civili dall´altra parte è considerato resistenza all´oppressore. Siamo giunti all´impossibilità di un tutt´uno, di un minimo terreno comune per la definizione stessa e di valutazione sui termini anche morali. Ed è per questo che ogni minimo incidente, come quello creato dalle caricature, provoca un incendio immediato e senza confini, nel quale ognuna delle parti vede un pretesto per mobilitarsi e radicalizzare le posizioni. In Europa la vicenda è stata presa come una necessità di difesa della libertà di espressione contro la minaccia dei fanatici; nella stampa araba come un insulto deliberato che ha colpito ogni musulmano nella sua dignità.
Questo non è un vero e proprio scontro, ma una situazione dove certi esponenti politici utilizzano questo fenomeno per i loro propri interessi. Come si è visto anche nella polemica innescata tra Italia e Libia, o nell´uso delle manifestazioni da parte del regime siriano o di quello iraniano.
Per noi tale condizione è tanto più grave per via della presenza delle numerose comunità musulmane in Europa: da parte dei gruppi conservatori europei sono percepite e vengono viste come la principale minaccia da combattere; da parte dei radicali musulmani sono osservate come cittadelle assediate che bisogna difendere a ogni costo contro i rischi di assimilazione. Le popolazioni musulmane nel nostro Continente che sono agitate come uno spauracchio dalle due frange estreme dello schieramento in Occidente e in Medio Oriente rappresentano proprio il nodo fondamentale della sfida che ci aspetta nel prossimo futuro, perché sono anche il mezzo attraverso il quale poter superare l´attuale periodo di crisi. Se saremo capaci di far sì che queste persone s´identifichino in un comune destino europeo, e così facendo servano da esempio e da ponte culturale nei confronti delle popolazioni nei loro luoghi di origine. Non bisogna nascondersi che raggiungere un tale obiettivo sia un compito duro e per il quale bisognerà combattere contro oppositori agguerriti, poiché ciò implica politiche che favoriscano l´integrazione sociale e culturale - incentrate sul rispetto umano ma i cui fondamenti siano le leggi del paese di accoglienza: facendo ciò potremo trasformare la minaccia attuale in un atout, vantaggio stabile per il futuro.
In contrasto con il rifiuto di prendere partito di Kepel, René Girard, nell'articolo "Chi minaccia i nostri valori", sviluppa un'analisi corraggiosa e lucida dello scontro tra cristianesimo e islam fondamentalista. Ecco il testo:
Oggi il cristianesimo, e la nostra civiltà, vivono una situazione più che mai delicata e difficile. Di fronte ai recenti episodi di violenza da parte islamica, stanno saltando tutte le nostre regole e abitudini del vivere comune, inclusa la tradizione occidentale della libertà di stampa. I nostri media dovranno tenere conto degli esiti della reazione incredibilmente dura alle caricature dei simboli della religione islamica. Se non si osa più prendere in giro l´Islam, si oserà ancora prendere in giro il cristianesimo, che è infinitamente più elastico e liberale? I giornali occidentali, si sa, sono stati sempre pieni di caricature del clero e anche del Papa. Ma è chiaro che sarebbe assurdo continuare a fare caricature anti-cristiane se non si può più azzardare alcuna caricatura anti-islamica. C´è stato troppo rumore, troppa violenza: cinquanta morti nel mondo sono tanti. Dopo tanto scorrimento di sangue, le vignette anti-islamiche spariranno completamente, questo è certo. E i media, che hanno sempre atteggiamenti beffardi, cederanno alla paura e si fermeranno. Così l´Islam obbligherà la stampa occidentale alla censura sul senso del religioso in generale.
Con questi attacchi dell´Islam, ci si trova di colpo a fronteggiare una religione intransigente, che invece di porgere l´altra guancia risponde con la violenza più radicale. Si è detto spesso che la ferocia appartiene al cristianesimo, considerata da molti un credo dittatoriale e dispotico, mentre all´opposto, nei secoli, la religione cristiana ha dimostrato virtù di angelica pazienza. C´è insomma una differenza sostanziale tra l´islamismo e il cristianesimo: la prima è una religione intollerante, la seconda no. Basta guardare: quando mai il fatto che ci si sia burlati del cristianesimo ha causato cinquanta morti?
C´è chi dice: però i cristiani hanno fatto le Crociate. Ma se si risale a quell´epoca, bisogna parlare anche dell´islamismo. È stata una questione puramente militare: il diritto di conquista è sempre esistito. Tutto il Mediterraneo del sud, da Costantinopoli al Marocco, era cristiano ed è stato conquistato dall´Islam: perché non si parla mai di questo? Perché le Crociate dovrebbero essere più colpevoli delle conquiste islamiche? La verità è che l´Islam sostiene che il mondo intero dev´essere islamizzato: è la dottrina ufficiale, mentre nel messaggio cristiano non esiste alcun fanatismo, e fin dal Medioevo si assiste a un declino progressivo del potere di questa religione.
Qualcuno afferma che il fatto che oggi non ci siano persecuzioni perpetrate dai cristiani è un risultato dell´umanesimo. Sarebbe necessario chiedersi come mai l´approccio al sapere umanistico si sia sviluppato solo nel mondo cristiano. Perché non ha trovato spazio nella civiltà islamica? La verità è che l´umanesimo attuale è già contenuto nelle premesse del cristianesimo, mentre l´Islam è una religione che non lo favorisce, e anzi lo esclude dalle sue prospettive. Ci abbiamo messo molto tempo per arrivare a questa tolleranza, per poi vederla minacciata, oggi, da una religione che non ha seguito la stessa evoluzione.
Siamo in una situazione storica che obbliga gli anti-clericali, coloro che maltrattano il cristianesimo, a interrogarsi sul fatto che saranno obbligati da una religione intollerante a rispettare il religioso, cosa che da secoli non avviene più. I media dovranno interrogarsi, e comprendere che cosa significa vivere in un mondo dominato dall´intolleranza.
Quando il Papa dice che non si può difendere una religione con la violenza, dice qualcosa di vero in ambito cristiano. Ma è forse vero lo stesso in ambito islamico? Non bisognerebbe rendere omaggio al cristianesimo e alla sua lunga tradizione di tolleranza? Eppure a essa siamo talmente abituati che se ne è persa ogni consapevolezza. Ciò che accade in Islam quando si prende in giro Maometto non è mai accaduto nel mondo cristiano. E il comportamento dei musulmani mostra di non essere cambiato rispetto a molti secoli fa. Non si tratta di discutere sui contenuti dell´islamismo in sé, questo non mi riguarda. Il problema è mettere a confronto le due grandi religioni per capire da che parte sta l´intolleranza.
Nella civiltà cristiana la religione non pervade tutto, come accade in quella islamica. E noi godiamo ancora di certi vantaggi del cristianesimo, consentiti dal percorso della civilizzazione occidentale. Ma se ne abusa così tanto che tutto questo sta cominciando a ricaderci addosso. Bisognerebbe utilizzare l´Islam in modo positivo, per mostrare cos´è il cristianesimo, e comprendere i benefici che ci ha permesso di godere. Ormai si sta assistendo a una veloce islamizzazione dell´Europa, visto che coloro che utilizzano la forza, nella storia, finiscono sempre per avere la meglio. È ora di fermarsi a riflettere, di porsi delle domande, di riconoscere ciò che davvero ha significato vivere in una civiltà libera come la nostra. Di civiltà tanto libere non ce ne sono mai state, e forse non ce ne saranno altre, in futuro.
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