Christopher Hitchens denuncia la mancata difesa della Danimarca e della libertà di espressione
Testata: Il Foglio Data: 24 febbraio 2006 Pagina: 4 Autore: Christopher Hitchens Titolo: «Sveglia! Perché non abbiamo difeso la Danimarca»
Poniamo il caso di conoscere un’organizzazione religiosa molto paranoica con un leader molto reticente. Poi mettiamo che quest’associazione, criticata da un giornale, si vendichi rapendo un bambino. Supponiamo poi che quel leader schivo e poco comunicativo sia preso in giro dalla satira e che siano uccisi due bambini a caso. Si potrebbe considerare quel giornale colpevole di “autocensura” se decidesse di non pubblicare cose che rischierebbero di infiammare ulteriormente quel culto? La nostra risposta è sì, sarebbe colpevole, anche se sarebbero pochissime le persone che insisterebbero sulla piena applicazione del Primo emendamento. Tuttavia, le conseguenze per quel culto e per il suo leader sarebbero gravi. Qualsiasi popolo civile lo percepirebbe come odioso e pericoloso, e si farebbe qualcosa per circoscriverne l’influenza e per garantire che non siano creati precedenti. La cosa più incredibile di questa Kristallnacht che sta colpendo la Danimarca (e, da qualche parte, anche le ambasciate e i cittadini di tutti i paesi scandinavi e addirittura di altri paesi dell’Unione europea) è che il suo risultato non è il disonore della religione che la fa e la giustifica, bensì un’accresciuta rispettabilità. Un piccolo paese democratico con una società aperta, un sistema di pluralismo confessionale e una stampa libera è diventato oggetto di una straordinaria, incredibile campagna organizzata di menzogne, odio e violenza, che si è allargata fino alla più grave violazione immaginabile del diritto internazionale e della civiltà: la violazione dell’immunità diplomatica. E non si è visto nessuno, tra coloro che detengono il potere per farlo, che abbia dichiarato la cosa più ovvia e necessaria, e cioè che siamo dalla parte dei danesi in quest’opera di diffamazione, di ricatto e di boicottaggio. Al contrario, tutta la comprensione e la preoccupazione sono spese per coloro che hanno acceso la miccia e che urlano e gridano di gioia mentre mandano a fuoco le ambasciate dei paesi democratici nelle capitali di miserabili, ottenebrate dittature. Abbiamo paura di aver ferito i sentimenti dei vandali. Qualcuno vorrebbe dire che è stato un piccolo giornale di Copenaghen a innescare la miccia? Ma che masochismo abietto e che follia! Sono stati gli arroganti mullah danesi che hanno diffuso quelle vignette in tutto il mondo – sì, non preoccupatevi, loro hanno il diritto di mostrarle quando e quanto vogliono – fino a che sono riusciti a provocare un’orribile risposta contro l’economia e la società del paese che li ospita. E per dirla tutta, ci hanno anche infilato una vignetta che non era mai stata pubblicata in Danimarca né altrove, che mostra Maometto con sembianze da maiale, che forse, ma non è certo, è stata spedita a un mullah danese da un anonimo malintenzionato. L’ipocrisia che c’è in tutto ciò è vergognosa, nauseante e imperdonabile. La proibizione che sta all’origine di tutto, quella di non mostrare immagini del Profeta (che oltretutto non è neppure un divieto assoluto), era in un certo senso encomiabile, perché aveva la funzione di salvaguardare il culto dall’idolatria e dalla venerazione delle immagini. E vedete com’è stato stravolto questo principio. La sola notizia dell’esistenza di una vignetta creata in un paese lontano è stata sufficiente per trasformare il nome di Maometto in un feticcio, una scusa per comportarsi in modo barbaro. Mentre scrivo, il prezzo è di ormai oltre 30 morti e un mullah in Pakistan ha offerto un milione di dollari e un’auto come ricompensa per l’omicidio dell’autore delle vignette. Un incitamento che rimarrà impunito. Si può arrivare a livelli più sordidi e cinici di questi? Ma certo! In un irrazionale tentativo in stile “tu quoque”, vari gruppi e regimi islamici hanno scavato a fondo nel proprio ingegno e nel proprio senso dell’ironia e hanno proposto uno scambio per compensazione: voi vi prendete gioco del “nostro” profeta e noi neghiamo il “vostro” Olocausto. Anche se ci fosse un qualsiasi tipo di equivalenza e si vedessero ora orde di ebrei distruggere negozi e ambasciate musulmane, sarebbe degradante anche solo pensare di attuare un’azione tanto vile. Suppongo che si debba essere grati per il fatto che la Shoah può solo essere negata e non, come fa certa propaganda islamista, affermata entusiasticamente e presa come modello da imitare. Ma solo un emerito cretino può pensare che l’antisemitismo sia una minaccia unicamente per gli ebrei. La memoria del Terzo Reich è viva in Europa proprio perché il regime tedesco razzista è anche riuscito a sterminare milioni di non ebrei, compresi innumerevoli tedeschi, con il demente pretesto di estirpare un’inesistente congiura ebraica. Io sono uno dei pochi ad aver difeso pubblicamente il diritto di David Irving di pubblicare libri (…). Chi incita all’omicidio e all’incendio, o anche chi li giustifica, è incapace di innalzarsi al di sopra della gioia infantile che culmina nell’affermazione che due torti fanno un diritto. Chi insinua giustificazioni potrebbe diventare un problema, col tempo, ben più grave di chi è più apertamente folle o malvagio. Tra poco – e questo è un avvertimento – s’insinuerà nel nostro vocabolario il fosco concetto di islamofobia, e chiunque ne sarà accusato sarà cortesemente ma fermamente invitato a tacere e a rinunciare al diritto costituzionale di criticare le religioni. Per definizione, chiunque sia accusato di islamofobia sarà considerato colpevole. E così la censura “morbida” trionferà non per un qualche tipo di merito nelle sue argomentazioni, ma per l’associazione con la censura più “dura” che abbiamo visto imporre nelle scorse settimane. Il 13 febbraio, sul New York Times è uscito un servizio assai prudente e neutrale, ma con un forte senso di minaccia. I “leader musulmani americani”, ci dicono, sono più prudenti; sono “riusciti a creare organizzazioni efficaci e a raggiungere una maggiore integrazione, accettazione e successo economico rispetto ai loro confratelli in Europa. Essi definiscono le vignette come parte di un’ondata islamofobica mondiale e hanno incoraggiato i gruppi musulmani in Europa a utilizzare lo stesso termine”. Stanno cioè speculando sulla violenza islamica nel mondo per far passare un certo messaggio nel dibattito americano (…). Ma il dipartimento di stato sta forse dicendo che nel mondo musulmano saremo rappresentati unicamente da musulmani? Si dovrebbe aprire un dibattito su questo punto, e anche una votazione. Nel frattempo, che non si spenda nemmeno un dollaro dei soldi wahabiti sull’apertura di madrasse in questo paese o per distribuire revisioni fondamentaliste del Corano nel nostro sistema carcerario. Non almeno finché non saranno permesse chiese, sinagoghe e biblioteche per il libero pensiero in ogni paese il cui ambasciatore abbia risposto con violenza ai danesi. Se dobbiamo accettare tutto questo insano chiacchiericcio sul “rispetto”, almeno che sia del tutto reciproco. Poi resta la questione della Danimarca: una piccola democrazia che ha resistito coraggiosamente contro Hitler e ha protetto propri cittadini ebrei come se stessa. La Danimarca è un membro della Nato e un paese che invia i soldati per la difesa e la ricostruzione in Iraq e in Afghanistan. Qual è la sua ricompensa da Washington? Non una parola di solidarietà, anzi qualche ipocrita frase di scuse a coloro che hanno attaccato la sua libertà, la sua economia, i suoi cittadini e le sue ambasciate. Che vergogna. Sicuramente questo è qualcosa su cui possono puntualizzare coloro che affermano che l’America è troppo distratta e arrogante con suoi alleati. Mi sento male per averci messo così tanto, ma mi chiedo se qualcuno abbia voglia di venire con me fuori dall’ambasciata danese a Washington ad affermare un’amicizia. Se vi piace l’idea, contattatemi (christopher. hitchens@yahoo.com) e anche chi vive in altre città che hanno un consolato danese potrebbe dare il via a un simile “sostegno della decenza”.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Foglio.