Scontri interreligiosi in Iraq dopo l'attentato di Samarra mentre l'Iran si fa sempre più influente e minaccioso
Testata: Il Foglio Data: 24 febbraio 2006 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Ortodossi ed eretici»
Il FOGLIO di venerdì 24 febbraio 2006 pubblica un articolo sugli scontri intercoffessionali tra sciiti e sunniti in Iraq:
Baghdad. Oggi, venerdì di preghiera, sarà un giorno a rischio guerra civile in Iraq. Ieri invece è stato quello della conta dei morti e degli appelli a difendere le moschee lanciati dall’imam bandito Moqtada al Sadr. Le reazioni sanguinarie nel corso della giornata si sono via via parzialmente calmate, anche grazie al coprifuoco imposto nella capitale irachena. Lo sforzo congiunto delle autorità sciite (a partire dall’appello tv del grande ayatollah Ali al Sistani), del governo e di tutti i partiti iracheni è riuscito a frenare almeno in parte la vendetta contro i sunniti, che ha già fatto circa 130 morti e distrutto decine di moschee. L’uccisione di sette soldati americani e lo sgozzamento di tre giornalisti iracheni di al Arabiya, tra cui una donna – rapiti da terroristi sunniti – sono state le notizie di giovedì, sino allo scoccare del coprifuoco. E’ stata significativa la capacità del governo di rallentare una spirale di sangue che pareva travolgente dopo l’attentato al mausoleo di Samarra, anche se il vero giorno del giudizio sarà oggi. Il clima nel paese è teso. Lo sfregio della distruzione a freddo di uno dei santuari sciiti più importanti del mondo inasprisce gli animi della maggioranza religiosa, mentre la caccia all’uomo che si è scatenata contro i sunniti – anche contro gli ulema – a Baghdad, Bassora e in altre città riempie di rancore una minoranza che pure aveva appena compiuto una svolta cruciale con la sua partecipazione alle elezioni politiche del 15 gennaio. Prima conseguenza del clima arroventato è stata la sospensione – ma non la rottura definitiva – delle trattative che i tre raggruppamenti sunniti, a partire dal Fronte dell’accordo iracheno, stavano conducendo con i partiti sciiti e curdi per la formazione di un governo di unità nazionale. Thafer al Aani, portavoce del Fronte, ha pronunciato parole gravi: “Se il prezzo della partecipazione al processo politico è il sangue del nostro popolo, allora siamo intenzionati a rinunciarvi; questa atmosfera non aiuta la ripresa dei negoziati”. Il presidente della Repubblica, Jalal Talabani, ha preso atto della mossa obbligata dei partiti sunniti, che non potevano ignorare le stragi subite, ma ha rilanciato la mediazione per la formazione del governo: “Spegnere il fuoco della sedizione è un dovere sacro e per farlo è indispensabile costruire subito un esecutivo di unità nazionale; se il fuoco della sedizione si radica e si estende, nessuna forza politica irachena ne uscirà indenne”.
Il millenario affare interno dell’islam Ancora una volta Talabani ha contato sull’immediata sintonia con il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, che ha definito l’attentato di Samarra “un atto del demonio per spingere il paese verso la guerra civile” e ha anche garantito l’immediato impegno materiale dell’America per ricostruire la cupola d’oro. Bush ha aggiunto parole di comprensione per lo sdegno degli sciiti iracheni: “Gli americani condannano con forza la distruzione della moschea. Crediamo profondamente nella libertà di religione e comprendiamo la costernazione e l’inquietudine degli sciiti iracheni per la distruzione di un luogo per loro tra i più cari e sacri”. Parole mirate anche a impedire che abbiano presa in Iraq le accuse iraniane di Mahmoud Ahmadinejad, dell’ayatollah Khamenei, di Hezbollah – che ha aizzato la piazza di Beirut – e di Moqtada al Sadr, che all’unisono hanno attribuito la responsabilità dell’attentato “a Israele e agli Stati Uniti”. Gli attentatori, in realtà, sono wahabiti della galassia di al Qaida che hanno compiuto il gesto sacrilego per le stesse, identiche ragioni religiose per cui wahabiti nigeriani e pachistani hanno distrutto nei giorni scorsi decine di chiese cristiane, trucidato preti e massacrato un centinaio di battezzati. I fondamentalisti wahabiti considerano i luoghi di culto cristiani e sciiti in terra islamica un affronto, la testimonianza di pratiche blasfeme. Sono gli insegnamenti di un teologo del XIII secolo, Ibn Taymmiyya, oggi principale riferimento ideologico di Fratelli musulmani, Hamas, wahabiti-salafiti sauditi e pachistani, terroristi di al Qaida. La violenza iconoclasta simultanea contro le chiese cristiane e il mausoleo sciita dimostra che sta riprendendo forza un movimento ben radicato nella storia dell’islam. Nello specifico teatro iracheno, infine, i gruppi della galassia di al Qaida hanno un più ravvicinato obiettivo: far scatenare la guerra civile tra sunniti e sciiti, che proprio in questi giorni stanno trattando per dar vita a un governo di unità nazionale. Il terrorismo jihadista non può permettersi un simile scenario in un paese mediorientale che sta scoprendo la democrazia. Quindi colpisce con disperata ferocia.
E uno sulla strategia di potenza e di aggressione dell'Iran:
Roma. Ieri il presidente dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad, ha accusato Israele e Stati Uniti della devastazione del mausoleo sciita di Samarra. “Questi atti odiosi sono stati commissionati da un gruppo di sionisti e di occupanti mancati”. “Morte all’America e morte a Israele”, ha tuonato in risposta la folla. Le stesse parole erano state dette poco prima dal massimo leader religioso dello stato, l’ayatollah Khamenei. Montano le interferenze iraniane, non soltanto politiche, in Iraq. Baghdad e Londra accusano l’Iran per l’escalation delle azioni terroristiche condotte da estremisti sciiti nell’area di Bassora contro le forze governative e britanniche. Un reparto speciale della polizia di Bassora, appoggiato da forze britanniche, ha catturato 25 terroristi in un’operazione condotta nella zona di al Qurnah. Teheran risponde accusando Londra di finanziare gli attentati antiestablishment compiuti nella parte araba del paese. Tra Teheran e Baghdad la tensione è alta soprattutto per la questione della sicurezza dei pellegrini iraniani in visita ai santuari sciiti iracheni, che spesso sono vittime degli attacchi dei ribelli sunniti. L’esecutivo iracheno e il regime dei mullah hanno siglato un accordo che autorizza l’ingresso in Iraq di 1.500 pellegrini iraniani al giorno, per permettere loro di visitare le città sante sciite di Kerbala e Najaf. Tra le centinaia di fedeli uccisi da guerriglia e terrorismo ci sono molti iraniani. Secondo gli Stati Uniti, il programma iracheno di riarmo dell’esercito, con mezzi pesanti quali carri T-72 e cingolati BMP acquistati nell’est Europa, punta proprio a dotarsi di una forza deterrente nei confronti dell’Iran, più a che a contrastare la guerriglia, contro la quale peraltro i carri armati sono poco efficaci. Sono preoccupazioni raccolte nel recente report “The Three-Way Game: Iran, Iraq and the United States”, realizzato da Michael Knights per il Washington Institute. Le tendenze egemoni dell’Iran creano problemi anche alle monarchie del Golfo. I piani di espansione delle ricerche dei giacimenti di gas naturale del Kuwait rischiano di aprire un nuovo fronte con l’Iran. Nel 2000 Kuwait e Arabia Saudita concordarono di esplorare insieme i giacimenti marini di Dorra rivendicati dall’Iran fin dal 1960, ma il 3 gennaio scorso il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Hamid Reza Asefi, ha ammonito proprio il Kuwait a non violare le acque territoriali iraniane. In dicembre l’Iran ha condotto una grande esercitazione aereonavale nella quale veniva simulato il blocco navale del Golfo Persico e l’attacco a petroliere, pozzi e terminal petroliferi dei paesi arabi.
Trattative tra Teheran e Mosca Dopo aver concluso il contratto da un miliardo di dollari per acquisire i sistemi antiaerei a corto raggio TOR-M1, l’Iran continua a trattare con l’industria russa per ottenere i missili S-300, capaci di intercettare aerei e missili da crociera in un raggio di 200 chilometri. Mosca ha smentito di voler vendere quest’arma, ma fonti industriali riprese dal giornale economico Kommersant confermano le trattative. Grazie al loro raggio d’azione, gli S-300 non sono soltanto armi difensive poiché sono in grado di abbattere velivoli anche lontano dallo spazio aereo iraniano e quindi in grado di attaccare il traffico aereo sul Golfo. Queste trattative si intrecciano inoltre con il negoziato (sempre con i russi) sulla crisi nucleare. Ieri da Teheran si faceva sapere che la proposta di Mosca di arricchire l’uranio iraniano in terra russa non è ancora stata scartata del tutto. Il regime degli ayatollah continua il balletto diplomatico, mentre accusa il piccolo e il grande satana, israeliano e americano.
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