Dalla prima pagina del FOGLIO di giovedì 23 febbraio:
Gerusalemme. “Israele deve fare esattamente il contrario di quel che ha fatto prima della vittoria di Hamas”. La voce di Benjamin Netanyahu è calma e dura, parla al Foglio con un inglese impeccabile, eredità di tanti anni trascorsi negli Stati Uniti. Il leader del Likud, candidato premier alle prossime elezioni israeliane, il 28 marzo, sta costruendo una campagna aggressiva nei confronti di Kadima, il partito fondato dall’amico-rivale Ariel Sharon e ora guidato da Ehud Olmert. Ieri Bibi – così è chiamato Netanyahu – si è scontrato di nuovo con Olmert alla sua prima apparizione di fronte alla commissione per la Sicurezza e la Difesa della Knesset: in discussione c’era il voto palestinese a Gerusalemme est, cioè di fatto quelle elezioni che hanno portato Hamas alla vittoria. Bibi si è opposto e s’oppone a tutto: al disimpegno da Gaza – per il quale ha lasciato il suo incarico al ministero dell’Economia nel governo di Sharon a pochi giorni dal ritiro – alle elezioni dell’Anp, alla partecipazione del gruppo islamico, al voto a Gerusalemme est. A tutto. E il suo partito cresce nei sondaggi. “Hamas ha cooperato e preso soldi dall’Iran per anni – dice – Condivide l’obiettivo di tutto l’islam radicale, cioè la distruzione dello stato di Israele, e non soltanto, ora la battaglia è quella brutta e vecchia contro tutto l’occidente. L’idea che Hamas possa cambiare ora che è al potere è semplicemente falsa”. Non lascia spazio alla discussione, Bibi. Il viso si tende, l’oratoria di cui è maestro lascia spazio soltanto alla determinazione: “Il potere non ha addomesticato i talebani o gli ayatollah e non lo farà con Hamas – dice – Come dobbiamo impedire all’Iran di costruire l’atomica così dobbiamo impedire a Hamas di costruire un secondo Iran qui, alla porta accanto”.
E’ l’Hamastan, com’è stato soprannominato. E’ il nemico vicino, vicinissimo, appoggiato da tutti gli altri, in un asse del negazionismo potente e pericoloso. Da lui è necessario difendersi. La terra è, secondo Bibi, il baluardo principale, irrinunciabile. “Deve essere chiaro a tutti – dice con lo sguardo limpido e serio – che ogni pezzo di terra che concederemo ai palestinesi sarà usato contro di noi. A Gaza ci sono ora dodici missili stellari e, se non ne preveniamo l’utilizzo, si profila all’orizzonte la possibilità di un attacco all’aeroporto Ben Gurion. Qualsiasi pezzo di terra dato a un’Autorità palestinese guidata da Hamas sarà usato per creare un enorme stato islamico che va dai confini dell’Iraq alla periferia di Tel Aviv”. Unilateralismo, definizione dei confini, ulteriori ritiri sono parole impronunciabili per Bibi. Tutta la campagna di Olmert è impronunciabile per lui, ex compagno di partito di molti che ora sono membri di Kadima. “Non sono neanche riusciti ad affrontare direttamente il presidente russo, Vladimir Putin, quando ha invitato la delegazione di Hamas a Mosca – dice con tono sarcastico – Io invece ho scritto una lettera di protesta”. E ha anche ideato uno spot in cui il volto di Olmert si trasforma in quello del capo del Cremlino, e viceversa, tanto che Mosca ha fatto rimostranze formali. Ma Netanyahu non si preoccupa: “Olmert ha una politica di confusione, di debolezza, non è neppure definibile una politica. Ci vuole una strategia di contenimento, e di pressione”.
La via della Turchia
Il programma del Likud è chiaro, è la “soluzione dei tre muri”, uno di sicurezza, uno politico e uno economico. Il primo deve includere zone cuscinetto, è fatto di “deterrenza e non tolleranza”, altro che unilateralismo. “Bisogna fortificare la Valle del Giordano e il deserto della Giudea per essere certi che i terroristi non possano entrare in territorio israeliano”, dice Bibi. Il muro politico è fatto di pressioni sui governi internazionali per far comprendere bene che Hamas non è un problema soltanto di Israele, ma una minaccia per tutti, il mondo musulmano sta cercando lo scontro globale: “Israele può anche scomparire domani, ma la lotta tra islam e occidente non finirà”, dice. Il muro economico impedisce i finanziamenti “per predicare la cultura dell’odio e l’avvelenamento delle menti dei giovani palestinesi”. La scelta è, nonostante gli ultimi battibecchi diplomatici con Ankara, tra una strada che va verso l’Iran o una che va verso la Turchia, “due paesi musulmani, ma significativamente diversi, uno sta costruendo la bomba atomica, l’altro sta cercando l’integrazione con l’occidente”. E’ necessario controllare che i palestinesi s’incamminino sulla strada giusta. Per farlo non si può concedere nulla – dice Bibi – non si può arretrare di un centimetro, “il contrario di quel che fa Kadima”, appunto.
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