Vittorio Emanuele Parsi, sulla prima pagina di AVVENIRE di mercoledì 22 febbraio 2006, critica le illusioni di chi minimizza gli espliciti propositi aggressivi di Hamas e Iran e propone un'analisi realistica e supportata dai fatti della situazione mediorientale. Per tenere a mente che il desiderio di pace e l'azione pacificatrice (quando dietro di essi non si nascondono più prosaici interessi economici, come può accadere e giustamente ci viene ricordato) devono sempre confrontarsi con la realtà, se non vogliono contribuire ad aggravare i problemi che vorrebbero risolvere.
Ecco il testo:
Il capo dell'ufficio politico di Hamas vola da Gaza a Teheran, e con questo volo evoca purtroppo il più cupo degli scenari ipotizzati dagli analisti, ovvero il passaggio a un'alleanza organica fra l'Iran degli ayatollah e l'Autorità nazionale palestinese guidata da Hamas. Ufficialmente la delegazione palestinese era in Iran alla ricerca di quei finanziamenti che Europa e Stati Uniti hanno sospeso fino a quando Hamas non dichiarerà di rinunciare al terrorismo e di accettare il diritto all'esistenza dello Stato di Israele. Qualcuno si affannerà a dire che, considerato il congelamento dei fondi deciso da gran parte della comunità internazionale, la mossa palestinese non deve essere eccessivamente «drammatizzata». Oltretutto, altri Paesi arabi hanno già promesso sostegno finanziario all'Anp (a partire dai sauditi).
È una spiegazione formalmente ineccepibile, ma non troppo rassicurante. Perché ciò che è sostanzialmente ineccepibile, e assai più inquietante, è che l'obiettivo a cui Hamas non intende per ora rinunciare - cioè distruggere Israele - sia lo stesso sbandierato ai quattro venti dal presidente iraniano Ahmadinejad, che ha fatto dell'antisemitismo, per altro assai diffuso nel mondo musulmano, il suo cavallo di battaglia, arrivando a promuovere un convegno internazionale che «sbugiardi l'impostura dell'olocausto». Ironia della sorte: uno storico inglese, David Irving, è appena stato condannato a tre anni da un tribunale austriaco per aver negato la realtà storica dell'olocausto.
Conosciamo già il ritornello di quanti preferiscono descrivere il mondo come più gli aggrada, o come più gli conviene (magari per non compromettere i propri affari petroliferi o metaniferi): le parole di Ahmadinejad sono dichiarazioni a uso interno, frutto della retorica estremis ta di un ex capo pasdaran, eletto sulla base di un programma populista. Sarà. Ma si dicevano le stesse cose dei proclami sulla militarizzazione della Renania e sulle necessità di un Lebensraum (spazio vitale), lanciati da un improbabile caporale austriaco, improvvisamente divenuto cancelliere del Reich. Intanto l'Iran va avanti nel suo programma nucleare, che la comunità internazionale nel suo complesso ritiene illegale, e che Europa, Stati Uniti e Israele (cioè il Paese nel mirino sia di Hamas sia dell'Iran) sospettano in realtà indirizzato all'obiettivo di dotarsi dell'arma atomica.
Sotto il profilo geopolitico, oggi forse non c'è nulla di peggio che la saldatura tra le secche del Mediterraneo orientale e del Golfo Persico. Per Israele la prospettiva di una protesi dell'Iran ai suoi confini costituirebbe una minaccia drammatica, che potrebbe innescare una strategia della tensione dagli esiti imprevedibili. Per la comunità internazionale è inaccettabile la prospettiva che la pressione finanziaria che cerca di esercitare su Hamas, affinché il processo di pace possa avere ancora una speranza, venga vanificata proprio grazie allo Stato, l'Iran, che la sfida apertamente su uno dei pochi principi (la non proliferazione nucleare) che ancora sono considerati «non trattabili». Che tutto ciò prenda poi corpo sullo sfondo della radicalizzazione estrema di queste settimane, non solo rende più difficile la composizione degli interessi in gioco, ma soprattutto rende meno percorribili le strade tortuose della pacificazione di un'area strategica come quella mediorentale.
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