L'alleanza tra Iran e Hamas descritta da Menashe Amir, oppositore del regime degli ayatollah
Testata: La Stampa Data: 21 febbraio 2006 Pagina: 9 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Hamas-Ayatollah relazioni pericolose»
Da La STAMPA del 21 febbraio 2006, un'intervista di Fiamma Nirenstein a Menashe Amir, giornalista che gestisce un programma in farsi sulla radio israeliana. Ecco il testo:
Menashe Amir non potrebbe essere più iraniano: il suo volto con gli occhi a mandorla e il sorriso misterioso sembra quello di un antico shah persiano. Invece Amir, 66 anni, è un giornalista e uno studioso di cose mediorientali che da Teheran approdò a Gerusalemme nel 1959, e poi decise di fermarsi per studiare all'Università israeliana. Da molti anni gestisce tutti i giorni un programma sulla radio israeliana in farsi, che è una specie di Radio Londra per i dissidenti iraniani. Uno Stato europeo fornisce il ponte telefonico per lunghe sincere conversazioni con giovani, donne, che vengono ascoltate da milioni di ascoltatori sulle onde corte o attraverso internet. L'avvento di Ahmadinejad lui l'aveva previsto da tempo, perché non ha mai avuto fiducia in una linea morbida nel regime. Oggi non si sorprende vedendo che la prima visita di Hamas è riservata al presidente iraniano. E alza le spalle di fronte alla grande accoglienza riservata a Khaled Mashal, leader di Hamas residente a Damasco, dal supremo Ayatollah Ali Khamenei che ha chiamato l'ascesa dell'organizzazione che rifiuta l'esistenza di Israele «una divina, dolce sorpresa» e ha invitato tutti i Paesi Arabi a finanziarla. Dottor Amir, come spiega che Mashal abbia scelto come prima visita proprio Teheran? «Prima di tutto sono antichi, intimi amici. Solo nell'ultimo mese, Mashal ha incontrato Ahmadinejad tre volte. E la visita di ieri, è del tutto logica: i nuovi venuti hanno sia un interesse immediato, economico, sia strategico. L'Iran, pensa Hamas, può fornire quel sostegno economico che sta per venire a mancare a causa del blocco dei finanziamenti imposto all'Autorità palestinese se Hamas non accetta di rinunciare alla lotta armata e di riconoscere Israele». E l'Iran intende finanziare Hamas? «Intende farlo certamente, dato che lo vede come un partner nella lotta islamista contro l'Occidente e contro Israele (e questo è lo sfondo strategico) e quindi per attacchi negli Usa, in Europa, in Medio Oriente. Ma Hamas non si deve illudere: il contributo che l'Iran può offrire, non è neppure da lontano simile a quello che Hamas riceveva da Israele, gli Usa e l'Europa». Ovvero? «L'Autorità Palestinese riceve intorno ai venti miliardi di dollari l'anno. L'Iran, anche se ha grandi riserve petrolifere può fornire circa 300 milioni. I sauditi a loro volta daranno forse poco più di 200 milioni, e il Kuwait intorno a 300. Sono cifre imprecise, ma che servono a mostrare l'effettiva difficoltà in cui il popolo palestinese si verrà a trovare se Hamas non cambia linea, anche se dice di non avere bisogno dell'Occidente». Se è così, la visita non è di grande utilità ad Hamas nella lunga prospettiva. «Lei dimentica che gli aiuti iraniani vengono a Hamas anche sotto forma di armi, di addestramento, di collegamenti con altre organizzazioni come gli hezbollah. L'incontro con il regime di Ahmadinejab sostanzialmente crea un fronte tattico unito di cui Hamas si giova». Ma quello che il mondo si aspetta oggi è che Hamas prenda un atteggiamento pragmatico che riapra le prospettive di pace. Il suo rapporto con la leadership più estremista del mondo non aiuta Hamas a presentarsi come una forza di governo. «Hamas e l'Iran condividono la stessa fiducia nel potere islamico, la stessa retorica, la stessa scelta di giocare sull'aggressività verso gli ebrei che ambedue odiano profondamente». Ma perché mai l'Iran odia tanto Israele e gli ebrei, perché nega la Shoah, perché vuole «spazzare via Israele dalla mappa»? «Perché così mostra l'esistenza di una leadership alternativa in un mondo mediorientale che invece tenderebbe alla pace con Israele. E inoltre, ci sono motivi religiosi: gli ebrei per gli sciiti esseri malvagi; in secondo luogo, la terra su cui sono insediati è considerata islamica dalla nascita del mondo; infine, oltre all'occupazione della terra, per gli sciiti sono colpevoli anche dell'occupazione della Moschea di Al Aqsa». Insomma, Hamas sceglie la linea dura anche in politica estera. «No, mi sembra che si illuda sulla forza di uno schieramento mondiale antioccidentale antiamericano e soprattutto che vuole distruggere Israele».
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