La STAMPA di lunedì 20 febbraio 2006 pubblica a pagina 9 un articolo di Mimmo Càndito sui rapporti tra Cuba e Iran, che trabocca di simpatia per il "diritto"iraniano a sviluppare un programma nucleare (Càndito non prende in considerazione gli sviluppi di tale programma, ai quali l'Iran, anche giuridicamente, non ha alcun diritto, come firmatario del trattato di non proliferazione nucleare ) e per la "lotta con l'imperialismo" (l'espressione é e testuale e senza virgolette, a differenza della parola "dissidenti", riferita ai perseguitati dal regime). Ecco il testo:
Ora che il sostanzioso aiuto petrolifero di Chàvez, e un rinnovato spirito antiyankee in molte parti d'America Latina, vanno riducendo quella grave crisi economica e quell'isolamento politico che Cuba rischiava di dover ancora patire a lungo, ecco che Castro rafforza la propria collocazione nel variegato schieramento dell'opposizione agli Usa; e la visita all'Avana del presidente del parlamento iraniano, Gholam Ali Kaddad Adel, diventa l'occasione per ribadire su quale fronte regga la propia orgogliosa bandiera l'isola della Revolucion permanente. Ricevendo, infatti, con il più alto onore istituzionale il suo ospite di Teheran, il Comandante ha voluto ribadire che «Cuba appoggia il diritto dell'Iran a usare l'energia nucleare con fini pacifici».
Se ci si dovesse fermare al senso letterale di questa dichiarazione, poco vi sarebbe da rimarcare, perché è inattaccabile il diritto d'ogni Paese a sviluppare per fini «non militari» (insomma, non per il montaggio d'un ordigno atomico) l'energia nucleare. Ma in politica ciò che conta non sono le parole che si pronunciano, piuttosto il contesto e l'orientamento valoriale che esse intendono trasmettere. E allora non v'è dubbio che voler rimarcare «il diritto iraniano» in un tempo nel quale quel diritto sta per essere sottoposto a un giudizio, presumibilmente, di monito severo del Consiglio di sicurezza dell'Onu assume un significato ben diverso da quelle che le parole appaiono comunicare. In altri termini, Cuba torna a fare decisamente politica internazionale, e lancia un messaggio che l'America di Bush, che è in prima fila nel chiedere una condanna del progetto nucleare dell'Iran di Ahmadinejad, non può non avvertire come un segnale della rinnovata resistenza del Lìder Màximo.
Le frizioni tra l'isola e Washington sono riprese da tempo, soprattutto da quando Castro ha fatto una drammatica retata di «dissidenti» mandando in galera 75 intellettuali, giornalisti, professionisti, che stavano operando come «mercenari dell'imperialismo yanqui». L'Europa dell'Ue si unì agli Usa nell'assumere un atteggiamento di forte condanna dell'ondata repressiva, e Castro fece gli sberleffi ai nostri diplomatici (quelli americani laggiù non vi sono, almeno formalmente). Ma la Sezione d'interessi che cura gli affari - e la politica locale - degli Stati Uniti piazzò nel piccolo giardino sul lungomare del Malecòn all'Avana, durante l'altro Natale, una grande luminaria con il numero «75». Castro rispose con una gigantesca cartellonistica montata anch'essa sul Malecòn, di fronte alla Sezione, dove una grossa svastica nazista accompagnava le gigantografie dei torturati di Abu Ghraib.
La «guerra» tra l'isola e l'imperialismo era ricominciata in grande stile, e veniva poi rafforzata dal ruolo nuovo di munifico supporter che, appunto, il presidente venezuelano Chàvez andava assumendo verso i difficili conti energetici di Cuba. Con le rodomontate di Chàvez sono arrivate anche le resistenze e le critiche dell'Argentina di Kirchner alle politiche di Washington, il nuovo corso dell'Uruguay, il rafforzamento della leadership anti-Alca di Lula (cioè l'opposzione al mercato unico propugnato da Bush), la designazione d'un segretario dell'Osa per la prima volta alternativo alle scelte di Washington, e infine l'elezione d'un presidente in Bolivia che non fa mistero di voler gestire le risorse economiche del suo Paese con ben poco rispetto verso gli interessi delle multinazionali nordamericane.
Ce n'è ad abbondanza, per ridar fiato anche a un vecchio patriarca ch'è già entrato nel suo autunno, con gli 80 anni alla porta e una serie d'acciacchi di non poco conto. E Cuba torna dunque a far politica attiva, non soltanto nell'ambito delle critiche relazioni bilaterali con gli Usa ma anche nel proscenio internazionale. La Revolucion prepara sotto la superficie una successione al Comandante che, più o meno cripticamente, è gia stata annunciata a Natale in una riunione pubblica del Parlamento (vi erano stati invitati i diplomatici stranieri e la stammpa internazionale); però, intanto, le linee ufficiali della «continuità» vengono riaffermate, anche per mimetizzare quello che cova sotto la cenere.
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