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La Stampa Rassegna Stampa
18.02.2006 In Libia comandano le masse, lo dice Gheddafi
e Igor Man pretende che ci crediamo

Testata: La Stampa
Data: 18 febbraio 2006
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «Il ministro se ne vada»

I titoli, è risaputo, non sono gli autori dell'articolo a farli. Sarà per questo che il titolo della STAMPA di oggi 18.02.2006 ci trova d'accordo. Non così il pezzo di Igor Man, il quale inizia dando credito alla bufala che siano state le masse libriche ad insorgere contro il governo italiano e che Gheddafi abbia dato ordine di sparare (causando 11 morti) per "difendere" la nostra sede diplomatica. Ma quando mai nella Libia sotto dittatura si è mai mossa foglia che Gheddafi non volesse ? leggendo Igor Man il lettore della STAMPA ha tutto il diritto di sentirsi preso in giro. Tralasciamo i ricordi del "vecchio cronista" che sarebbero più a loro agio in qualche Bar Sport che non in un editoriale di prima pagina. Le uniche righe serie (i riferimenti all'Egitto) sono presi da un articolo dell'altro giorno di Fiamma Nirenstein pubblicato sempre sulla STAMPA, senza citare la fonte. Per il resto la solita solfa, con il tentativo di far passare il regime di Gheddafi come laico e moderno. La stupidaggine di un ministro non nuovo ai comportamenti stupidi darà un nuovo contributo a quei giornalisti che fanno di tutto per impedire all'occidente di capire il reale pericolo che il fondamentalismo islamico rappresenta. Su questo argomento si veda l'articolo di Magdi Allam sul CORRIERE della SERA di oggi (riprerso da IC).

Ecco l'articolo di Igor Man:

CI dispiace che undici o più libici siano stati uccisi dal «fuoco amico» della polizia della Jamahiria. In Libia comandano le masse, non si stanca di ripetere il colonnello Gheddafi nel suo Libretto Verde dove troviamo Rousseau (che Al Qaid, la Guida, afferma di aver letto solo dopo aver esplicitato la sua terza teoria), e inoltre Proudhon, Bakunin. Ci dispiace ma poiché il Colonnello gli integralisti li detesta è facile immaginare che la polizia, pur di impedire che i dimostranti distruggessero il Consolato italiano, abbia agito brutalmente.
Nell’aprile del 1976 uscendo dal compound dell’Università della Cirenaica dove Gheddafi aveva animosamente discusso con quegli studenti, vedemmo oscillare al vento caldo un camicione appeso a un palo-forca. Dentro il camicione c’era il corpo, inanimato di qualcuno. Si trattava, come subito ci spiegarono con terribile disinvoltura, di un «integralista» membro d’una confraternita giustappunto «fanatica e quindi antislamica».
Scriviamo tutto ciò per cercar di capire gli accadimenti di Bengasi. La dimostrazione, così sanguinosamente repressa, aveva come obiettivo il nostro Consolato, giustappunto. Era proclamato l’intento di protestare per la t-shirt esibita al Tg1 dal ministro italiano delle riforme Roberto Calderoli. E possiamo prender per buona fra le tante la versione (ufficiosa) secondo cui la polizia aveva appreso di «infiltrati» decisi a trasformare la protesta «in un assalto cruento». Va qui detto che, oramai da moltissimi anni, la tv italiana sia molto seguita in Libia, non soltanto dai nostri connazionali che vi lavorano, rispettati, apprezzati un po’ da tutti. La sbruffonata del ministro leghista che ha ignorato il garbato tentativo di frenarlo di un Mimun visibilmente irritato, è già stata giudicata inopportuna e antipolitica dal nostro ministro degli Esteri e non ci stupisce che il presidente del Consiglio abbia addirittura considerato opportune le dimissioni del Calderoli. Dimissioni alle quali il suddetto ministro non ha mai pensato: evidentemente era e rimane convinto d’aver agito spiritosamente.
Un po’ tutti in Italia hanno accolto con sconcerto le reazioni a posteriori, proprio «a freddo», di sedicenti islamici volte a condannare le vignette (invero infelici ma soprattutto brutte) pubblicate da un giornale danese di destra estrema. E’ apparso chiaro l’intento di montare un casus belli, fors’anche per qualche copia in più. Un po’ tutti, magari obtorto collo, abbiam detto e scritto che il direttore di quel quotidiano non avrebbe dovuto pubblicare le vignette infelici non già per censurare, ma soltanto per una questione di buon gusto. Siamo tutti contro la censura, non facciamo che riempirci la bocca di Voltaire eccetera ma nessuno, o pochi, vuol rassegnarsi alla realtà. E cioè che l’islam radicale ha dichiarato guerra agli ipocriti sulla terra. Che in primo luogo, nell’ottica integralista, sono i cosiddetti islamici «moderati» (vedi l’Egitto). Fatta pulizia in casa, l’islam integralista attaccherà il mondo occidentale, giudaico-cristiano con le due armi tremende che possiede: il petrolio, il terrorismo (anche suicida). Il profetizzato scontro fra civiltà passa per la cruna dell’attuale scontro fra religioni. Sarebbe ipocrita negarlo anche se, forse, tranquillizzante. Non senza coraggio ancorché, ovviamente, col placet del raiss, il settimanale storico del mondo arabo, l’egiziano Rosa el Yussef, che vanta una lunga tradizione di laicità, ha pubblicato un dossier che potrebbe definirsi catastrofico. Breve: usando l’urna elettorale, uomini e movimenti oltranzisti sono entrati nel parlamento di questo o quel paese islamico, segnando l’inizio di una lenta occupazione di tutti gli spazi moderati, parademocratici. La tragedia di Bengasi costringerà (verosimilmente) Gheddafi a straparlare e questo perché il Colonnello non è in buoni rapporti con gli ulema. Gheddafi ha emancipato la donna aprendole la carriera militare, ha rivoluzionato il calendario maomettano, insomma ignora gli ulema. Hanno tentato di ammazzarlo o di rovesciarlo non poche volte, ma il Saint Just beduino grazie alla sua baraka (l’infula di Dio) se l’è sempre cavata. Ma oggi non è ieri poiché ieri l’Iran era un paese islamico all’acqua di rose mentre oggi, con l’avvento dell’ex sindaco integralista di Teheran alla presidenza, aspira alla leadership del cosiddetto «islam riaffermato». Va detto ancora che l’Iran è sciita ed essendo, con la vittoria del khomeinismo, assurto a pesce pilota nel grande mar del petrolio, oggi pensa di monetizzare geopoliticamente il primato della Sh’ia. Attenzione: dopo secoli di mortificazione, lo Sciismo alza la testa. In Iraq le elezioni han dato il sì agli sciiti che sono la maggioranza islamica in Libano, e contano in Hamas.
La sbruffonata del ministro Calderoli in altri momenti non avrebbe preoccupato nessuno. Si tratta anche di una questione di scarsa eleganza e di modesto spessore politico. Certamente le dimissioni del Calderoli sarebbero un buon segnale di ragionevolezza, un recupero di stile. Ma non ci si illuda: l’islam radicale ha ambizioni enormi sicché la (sua) contestazione dell’occidente «neocolonialista e blasfemo» continuerà e non saranno certo rose e fiori. Ma val la pena di ricordare che mai, dico mai, nella sua lunga storia, l’islam sia riuscito a trasformare la contestazione in istituzione.

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