Famiglia Cristiana on line nel numero 8 pubblica un articolo di Enzo
Bianchi intitolato “Noi cristiani e l’islam. Rispettarlo per rispettarci”.
E’ sbalorditivo e stupefacente il modo con cui il priore della Comunità di
Bose, Enzo Bianchi, riesce in questo articolo a ribaltare la “frittata”.
I colpevoli non sono gli estremisti islamici che dopo la pubblicazione di
alcune vignette hanno bruciato edifici, ucciso innocenti e scatenato una
violenza che a distanza di giorni ancora non accenna a diminuire; no, i
colpevoli sono coloro che pubblicando quelle vignette dimostrano di non
rispettare l’islam. Esorta infatti a “misurare le proprie parole, impedirsi
di varcare certe soglie e a manifestare rispetto per gli elementi
fondamentali della religione altrui”. Belle parole che però non valgono per
tutti quegli arabi che decidono di vivere in occidente, di avvalersi delle
“libertà” che la democrazia garantisce ma rifiutano, spesso con violenza, i
nostri valori religiosi, democratici e liberali. E’ di qualche mese fa la
proposta di un imam di buttare il crocefisso fuori dalle aule delle scuole
italiane. In quell’occasione, a parte qualche flebile protesta, quanti
cristiani hanno scorazzato per le strade bruciando edifici e macchine?
Una dissidente araba, Nonie Darwish, scrive in un articolo (la cui lettura
consigliamo vivamente al Priore di Bose) pubblicato sul Il Giornale del 15
febbraio:
“ …Queste caricature dei giornali non legittimano il rogo di edifici e
l’uccisione di innocenti. Le vignette non sono la causa di questa
propagazione di odio che vediamo nel mondo musulmano dalle nostre
televisioni…..Dobbiamo agire per fermare i leader arabi e musulmani che
usano Israele e l’occidente come una scusa per distrarre dalle loro
incapacità di governare e dalla mancanza di diritti e libertà. Le scuse per
le vignette non risolveranno i problemi. Fino al momento in cui non sarà
riconosciuto che la cultura dell’odio è la vera causa delle manifestazioni
attorno alla controversia delle vignette, queste reazioni esagerate e
violente saranno l’inizio di uno scontro di civiltà che il mondo non può
sopportare”.
Ecco il testo di Bianchi
Più passano i giorni e più ci rendiamo conto di come le sciagurate vignette
irridenti al Profeta abbiano innescato un processo perverso: come maldestri
apprendisti stregoni, alcuni organi di stampa non solo non sanno più
governare quanto hanno scatenato, ma pretendono di riprenderne il controllo
rincarando la dose, magari diffondendo a tappeto le immagini incriminate,
in nome dell’irrinunciabile principio della libertà di stampa.
È tristemente sorprendente che, invece, proprio in nome della "libertà" di
stampa non si cerchi di dare ascolto a quanti nel mondo islamico riflettono
con serietà e spirito critico sulla vicenda: uomini religiosi,
intellettuali e giornalisti che non giustificano le sproporzionate,
inammissibili reazioni, con ogni probabilità anche attizzate ad arte, ma
che si interrogano con estrema serietà su dove stiamo veramente conducendo
questo nostro mondo, la nostra civiltà occidentale e, all’interno di essa,
i fondamenti etici, religiosi o meno, che la sorreggono.
Così scrive, per esempio, su Le Monde Soheib Bencheick, già mufti di
Marsiglia e ora direttore dell’Istituto superiore di scienze islamiche: «Il
vero dibattito è altrove. Si tratta, in realtà, della giustapposizione di
due diritti assoluti: il diritto di avere convinzioni religiose che siano
completamente rispettate e non vengano fustigate né stigmatizzate, e il
diritto di esprimersi in qualunque momento, in particolare per commentare o
criticare progetti sociali concreti e azioni politiche palpabili».
Invece, che libertà interiore manifesta mai chi manca di rispetto per
l’altro, chi ignora quanto lo turba e lo ferisce, chi si rifiuta di
mettersi anche solo per un attimo nei panni dell’altro? Misurare le proprie
parole, impedirsi di varcare certe soglie non è autocensura, non significa
essere vittime di tabù inviolabili, ma invece essere rispettosi di sé
stessi e del diverso vuol dire essere persone che non si limitano a dire
quello che pensano, ma pensano anche quello che dicono, ne valutano le
conseguenze e se ne assumono la responsabilità
E poi non dimentichiamoci che quelle che noi consideriamo conquiste dei
diritti e della civiltà sono il frutto di secoli, decenni e anni di lotte e
di fatiche di generazioni che ci hanno preceduto, ma l’estensione e la
solidità di queste acquisizioni non è uniforme, non c’è "contemporaneità":
Oriente e Occidente, Nord e Sud del mondo sovente si trovato sfasati tra
loro rispetto a usi, costumi e tradizioni propri di un luogo e di un
popolo, al punto che la stessa impressione di vivere in un "villaggio
globale" si rivela in realtà estremamente fragile e contraddittoria.
Consapevoli di questo, dovremmo fare di tutto per manifestare concretamente
il nostro rispetto per gli elementi fondamentali della religione altrui.
Non si tratta di indifferentismo, per cui un sistema etico vale un altro,
né di proibirci una lettura critica dei nostri e degli altrui modi di
pensare e di vivere, bensì di non varcare mai il limite del rispetto
dell’altro, del riconoscimento della comune condizione umana, della
solidarietà nel percorrere l’avventura della convivenza civile.
Sì, il diritto alla libertà religiosa non è libertà dalla religione, ma
libertà nel vivere conformemente ai princìpi del proprio credo: è qui che
entra in gioco la laicità dello Stato, che significa garanzia e custodia di
uno spazio di confronto, di dialogo, di composizione pacifica dei conflitti
e delle tensioni.
Sì, sono giorni in cui ai musulmani è ricordato, come ha fatto lo stesso
Bencheick: «L’islam che ha tradotto e studiato le filosofie più atee e ha
argomentato contro le ideologie più temibili, distruttrici e seminatrici di
dubbi, come potrebbe oggi tremare davanti a una caricatura di cattivo
gusto?».
E sono giorni in cui ai cristiani è chiesto, proprio in nome della loro
fede, di non cedere alla mentalità mondana, di non prestarsi al terribile
gioco dello scontro di civiltà e di culture, ma, al contrario, di
intensificare i loro sforzi per quella conoscenza reciproca e quella
magnanimità, quella grandezza d‘animo che sanno capire l’altro, primo
indispensabile passo nel cammino verso l’amore del prossimo chiesto dal
Signore.
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