Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
I colpevoli sono i vignettisti, non i violenti secondo Enzo Bianchi
Testata: Famiglia Cristiana Data: 16 febbraio 2006 Pagina: 0 Autore: Enzo Bianchi Titolo: «Noi cristiani e l’islam. Rispettarlo per rispettarci»
Famiglia Cristiana on line nel numero 8 pubblica un articolo di Enzo Bianchi intitolato “Noi cristiani e l’islam. Rispettarlo per rispettarci”. E’ sbalorditivo e stupefacente il modo con cui il priore della Comunità di Bose, Enzo Bianchi, riesce in questo articolo a ribaltare la “frittata”. I colpevoli non sono gli estremisti islamici che dopo la pubblicazione di alcune vignette hanno bruciato edifici, ucciso innocenti e scatenato una violenza che a distanza di giorni ancora non accenna a diminuire; no, i colpevoli sono coloro che pubblicando quelle vignette dimostrano di non rispettare l’islam. Esorta infatti a “misurare le proprie parole, impedirsi di varcare certe soglie e a manifestare rispetto per gli elementi fondamentali della religione altrui”. Belle parole che però non valgono per tutti quegli arabi che decidono di vivere in occidente, di avvalersi delle “libertà” che la democrazia garantisce ma rifiutano, spesso con violenza, i nostri valori religiosi, democratici e liberali. E’ di qualche mese fa la proposta di un imam di buttare il crocefisso fuori dalle aule delle scuole italiane. In quell’occasione, a parte qualche flebile protesta, quanti cristiani hanno scorazzato per le strade bruciando edifici e macchine? Una dissidente araba, Nonie Darwish, scrive in un articolo (la cui lettura consigliamo vivamente al Priore di Bose) pubblicato sul Il Giornale del 15 febbraio:
“ …Queste caricature dei giornali non legittimano il rogo di edifici e l’uccisione di innocenti. Le vignette non sono la causa di questa propagazione di odio che vediamo nel mondo musulmano dalle nostre televisioni…..Dobbiamo agire per fermare i leader arabi e musulmani che usano Israele e l’occidente come una scusa per distrarre dalle loro incapacità di governare e dalla mancanza di diritti e libertà. Le scuse per le vignette non risolveranno i problemi. Fino al momento in cui non sarà riconosciuto che la cultura dell’odio è la vera causa delle manifestazioni attorno alla controversia delle vignette, queste reazioni esagerate e violente saranno l’inizio di uno scontro di civiltà che il mondo non può sopportare”.
Ecco il testo di Bianchi
Più passano i giorni e più ci rendiamo conto di come le sciagurate vignette irridenti al Profeta abbiano innescato un processo perverso: come maldestri apprendisti stregoni, alcuni organi di stampa non solo non sanno più governare quanto hanno scatenato, ma pretendono di riprenderne il controllo rincarando la dose, magari diffondendo a tappeto le immagini incriminate, in nome dell’irrinunciabile principio della libertà di stampa. È tristemente sorprendente che, invece, proprio in nome della "libertà" di stampa non si cerchi di dare ascolto a quanti nel mondo islamico riflettono con serietà e spirito critico sulla vicenda: uomini religiosi, intellettuali e giornalisti che non giustificano le sproporzionate, inammissibili reazioni, con ogni probabilità anche attizzate ad arte, ma che si interrogano con estrema serietà su dove stiamo veramente conducendo questo nostro mondo, la nostra civiltà occidentale e, all’interno di essa, i fondamenti etici, religiosi o meno, che la sorreggono. Così scrive, per esempio, su Le Monde Soheib Bencheick, già mufti di Marsiglia e ora direttore dell’Istituto superiore di scienze islamiche: «Il vero dibattito è altrove. Si tratta, in realtà, della giustapposizione di due diritti assoluti: il diritto di avere convinzioni religiose che siano completamente rispettate e non vengano fustigate né stigmatizzate, e il diritto di esprimersi in qualunque momento, in particolare per commentare o criticare progetti sociali concreti e azioni politiche palpabili». Invece, che libertà interiore manifesta mai chi manca di rispetto per l’altro, chi ignora quanto lo turba e lo ferisce, chi si rifiuta di mettersi anche solo per un attimo nei panni dell’altro? Misurare le proprie parole, impedirsi di varcare certe soglie non è autocensura, non significa essere vittime di tabù inviolabili, ma invece essere rispettosi di sé stessi e del diverso vuol dire essere persone che non si limitano a dire quello che pensano, ma pensano anche quello che dicono, ne valutano le conseguenze e se ne assumono la responsabilità E poi non dimentichiamoci che quelle che noi consideriamo conquiste dei diritti e della civiltà sono il frutto di secoli, decenni e anni di lotte e di fatiche di generazioni che ci hanno preceduto, ma l’estensione e la solidità di queste acquisizioni non è uniforme, non c’è "contemporaneità": Oriente e Occidente, Nord e Sud del mondo sovente si trovato sfasati tra loro rispetto a usi, costumi e tradizioni propri di un luogo e di un popolo, al punto che la stessa impressione di vivere in un "villaggio globale" si rivela in realtà estremamente fragile e contraddittoria. Consapevoli di questo, dovremmo fare di tutto per manifestare concretamente il nostro rispetto per gli elementi fondamentali della religione altrui. Non si tratta di indifferentismo, per cui un sistema etico vale un altro, né di proibirci una lettura critica dei nostri e degli altrui modi di pensare e di vivere, bensì di non varcare mai il limite del rispetto dell’altro, del riconoscimento della comune condizione umana, della solidarietà nel percorrere l’avventura della convivenza civile. Sì, il diritto alla libertà religiosa non è libertà dalla religione, ma libertà nel vivere conformemente ai princìpi del proprio credo: è qui che entra in gioco la laicità dello Stato, che significa garanzia e custodia di uno spazio di confronto, di dialogo, di composizione pacifica dei conflitti e delle tensioni. Sì, sono giorni in cui ai musulmani è ricordato, come ha fatto lo stesso Bencheick: «L’islam che ha tradotto e studiato le filosofie più atee e ha argomentato contro le ideologie più temibili, distruttrici e seminatrici di dubbi, come potrebbe oggi tremare davanti a una caricatura di cattivo gusto?». E sono giorni in cui ai cristiani è chiesto, proprio in nome della loro fede, di non cedere alla mentalità mondana, di non prestarsi al terribile gioco dello scontro di civiltà e di culture, ma, al contrario, di intensificare i loro sforzi per quella conoscenza reciproca e quella magnanimità, quella grandezza d‘animo che sanno capire l’altro, primo indispensabile passo nel cammino verso l’amore del prossimo chiesto dal Signore.
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