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Il Manifesto Rassegna Stampa
16.02.2006 Al quotidiano comunista negazionismo e antisemitismo fanno schifo solo se sono fascisti
se sono arabo-islamici invece, tutto bene

Testata: Il Manifesto
Data: 16 febbraio 2006
Pagina: 3
Autore: Andra Colombo - un giornalista - Donatella Della Ratta
Titolo: «Contro Israele e contro la Nato, ardono le fiamme di Silvio - Corteo pro. Palestina, scontro a sinistra - Al Jazzera, il talk show che scotta»

Il MANIFESTO pubblica a pagina 3 un articolo di Andrea Colombo nel quale, presentate le idee dei gruppi neofascisti aggregati in Alternativa sociale, si mette in guardia, giustamente, dall'ipotesi di un inserimento nelle liste di candidati meno noti di  Fiore e Tilgher, ma con le stesse idee. Certamente non si tratterebbe di un passo avanti. Ecco il testo:  

 Povero Silvio. Lo hanno raggirato. Era troppo occupato a imporre il dominio delle sue aziende per occuparsi di gentucola come Roberto Fiore, Adriano Tilgher, Gabriele Romagnoli. Non conoscendoli. si è fidato di Alessandra Mussolini, una signora tanto compita. E adesso? Niente paura. Espulsi dalle liste i caporioni (sempre che accettino la defenestrazione) si potranno comunque arruolare i loro accoliti. Fuori i nomi impresentabili (cioè noti). Dentro tutti gli altri. L'importante è che ci siano i simboli (e i relativi voti).

E invece no. Silvio l'ingenuo sta cadendo per la seconda volta in un tranello. Non sa chi si sta accollando, mica li conosce i programmi e gli slogan dei futuri alleati. Prendiamo l'Iran quasi nucleare. Gabriele Romagnoli, leader della Fiamma tricolore, al parlamento europeo non ha votato la nota risoluzione di condanna: «Si pretendeva di condannare l'Iran perché non avrebbe diritto a una sua politica di nucleare civile. Siccome l'Iran ha la fortuna che non abbiamo noi, quella di essere uno stato indipendente perché non hanno perso la seconda guerra mondiale come purtroppo la abbiamo persa noi, sono in grado di tenersi in casa o mettersi alla porta chi vogliono», Cavaliere attento. Guardi che il ducetto (in questa intervista online concessa Marina Bortolani) sta parlando del suo amico Geroge W.

E quella dichiarazione sulla scomparsa di Israele, poi, Romagnoli vorrebbe «leggerla bene». Comunque, anche qualora la seconda lettura confermasse, «andrebbe letta nel quadro di un rapporto conflittuale che esiste da sempre tra l'Iran e Israele da sempre». Roba vecchia.

I camerati di Forza nuova concordano. Nel loro sito campeggia questa interpretazione delle dichiarazioni iraniane: «Israele si prepara a un'azione bellica contro l'Iran. Con i fianchi coperti dalla sola superpotenza militarre rimasta e il servilismo degli europei intimoriti dalla nota lobby. (sarà mica quella ebraica, cavaliere? n.d.a.). Israele dispone di oltre 300 testate nucleari, l'Iran non ne avrà per chissà quanti anni: è l'Iran che minaccia Israele o Israele che minaccia l'Iran?». Chissà cosa ne dice Fini.

Niente da fare, ai futuri inquilini della Casa delle libertà Israele sta proprio antipatico. Come tutti gli ebrei del resto: infatti ogni volta che se ne nomina uno si specifica l'origine razziale. Ma non è che con gli americani vada molto meglio. Il programma del Fronte nazionale di Tilgher ha il pregio della chiarezza: «Rigetta radicalmente il sistema americano in tutte le sue espressioni e considera tutti i partiti italiani, dai Ds ad An, collaborazionisti con l'occupante americano». Anche per questo vuole «la revisione dei trattati internazionali imposti con la guerra e lo strangolamento finanziario degli usurai internazionali», (A proposito, il termine «usurai» nelle concioni di futuri nerazzurri compare con incredibile frequenza. Ma non è che alludano agli ebrei. Sono democratici e antirazzisti. Parola di Alessandra Mussolini).

Non è una fissazione solitaria di Tilgher l'antiamericanismo. La Fiamma di Romagnoli (che nessuno lo nomina, si vede che lui è considerato «presentabile») la pensa allo stesso modo e lo scrive nero su bianco nel programma: «Occorre affrancarsi dal giogo atlantico e dalla condizione di vassallaggio alla talassocrazia imperiale imperiale statunitense uscendo dalla Nato». Talassocrazia?

Di sfuggita, qualche righetta dopo, gli antitalassocratici includono nel loro programmino, e con toni ultimativi: «L'imposta patrimoniale». Bertinotti si limita a voler tassare la rendita. Debosciato.

Passi l'antiamericanismo. Purché le cose siano chiare quando si parla di Iraq e dei terroristi che hanno aperto il fuoco a Nassiryia. Non sono chiare. Nel sito di Forza nuova, alla voce «Attualità», brilla questa risposta a una lettrice cattolica: «Questa amante della Verità ignora un piccolo fatto: che ogni forma di resistenza contro un esercito occupante dotato di forza schiacciante viene bollata - dallo stesso esercito occupante - come terrorismo. La lettrice sostiene che il terrorismo è condannabile, e accetta la definizione di `terrorismo' data dalla potenza occupante. Questo è il cattolicesimo, ragazzi: dar ragione ai forti e sputare sui deboli. Grazie papa Wojtyla, per averci dato cattolici così amanti del giudaismo». Ancora il giudaismo! Saranno mica un nazisti questi amici di Arcore?

Sembrano parole forti. Macchè. Robetta se paragonate a quelle che figurano nel sito del Fronte nazionale (alla voce «Interventi»): «Gran giubilo nel mondo delle cosiddette democrazie; il rituale delle schede si è compiuto anche in Iraq e i servi della plutocrazia insediati al potere dagli invasori hanno così ottenuto il consenso dei sudditi... Nel coro di giubilo non poteva mancare il governo italiano. Anche l'Italia è un paese liberato. Resta il fatto che dal 1945 i `liberatori' non se ne sono più andati. In questa perversa e aberrante situazione, non possiamo che sentirci solidali con la resistenza baathista irachena».

Con queste premesse non c'è da stupirsi se Fiore in persona definisce il revisionista David Irving, «uno dei maggiori storici viventi», perseguitato per l'aver «messo, in dubbio nei suoi studi storici, alcuni aspetti della seconda guerra mondiale». (Gli «alcuni aspetti» in questione si chiamano Auschwitz, Treblinka, Mauthausen...). E' vero, cavaliere, mettere in lista i fans di Irving sarebbe stato poco «presentabile». Ma cacciarli per infilare al loro posto gente che la pensa allo stesso, modo però meno conosciuta, sarebbe peggio. Altrettanto ignobile. Più vigliacco.

A pagina 2 troviamo l'articolo "Corteo pro-Palestina scontro a sinistra" e qualche dubbio inizia a venirci. Colombo non han nulla da dire sulle posizioni pro-terrorismo del Pdci, di parte di Rifondazione e del suo collega Stefano Chiarini ? Ecco il testo:


Stavolta, se non altro, nessuno si permetterà di allontanare dal palco Gennaro Migliore, il responsabile esteri del Prc, come era successo nel novembre 2004 alla manifestazione romana di saluto a Yasser Arafat. Semplicemente perché la maggioranza bertinottiana - e quella dei Verdi - non si farà vedere al corteo organizzato sabato 18 febbraio (dopodomani)dal Forum Palestina e da un ampio cartello di forze, dal Pdci ai Cobas a decine di centri sociali di varia estrazione, Comitati iraq libero, antimperialisti, associazioni e personalità che condividono lo slogan «Con la resistenza palestinese e irachena, per la fine dell'occupazione israeliana in Cisgiordania». E chiedono all'Unione, senza giri di parole, che «il prossimo governo e segni una discontinuità sulle politiche su Palestina e Israele». Ovvero l'esatto opposto di quanto dichiarava giorni fa Francesco Rutelli a Gerusalemme assicurando che il centrosinistra seguirà «la stessa linea» dell'attuale governo nella «difesa di Israele». Ma non è questione di parole d'ordine: figuriamoci se Prc, i Verdi e anche gran parte dei Ds la pensano come Rutelli. E' piuttosto la frattura ben visibile da anni nella sinistra radicale, almeno dalla primavera del 2002 quando accanto ai pacifisti sfilarono a Roma giovani «vestiti da kamikaze» e una parte del corteo prese le distanze. Insomma tra chi sostiene, in alcuni casi, le resistenze armate, talvolta perfino una certa specie di attentati suicidi e chi invece fa della non violenza un principio inderogabile. La frattura non si è ricomposta neanche nelle grandi manifestazioni per l'Iraq, anzi si è approfondita. E taglia in due, tra l'altro, Rifondazione: la maggioranza bertinottiana contro minoranze anche molto diverse tra loro se si guarda alla storia del Novevento - dai trotzkisti delle varie obbedienze alla corrente dell'Ernesto, un po' Giorgio Amendola e un po' Armando Cossutta - che assommano al 41 per cento e che sabato, chi più chi meno, saranno con il Forum Palestina.

Non a caso nella conferenza stampa di ieri gli organizzatori hanno raccolto la bandiera di Marco Ferrando, il dirigente Prc in via di espulsione dalle liste elettorali per le dichiarazioni su Nassiriya e Israele. Bruno Steri, membro del dipartimento esteri del Prc ed esponente dell'Ernesto, ha insistito sulla «timidezza del nostro partito sulla Palestina» e sulle «divergenze sulla non violenza». Accanto a lui il nostro Stefano Chiarini, Jacopo Venier del Pdci, il verde Marco Bulgarelli, Sergio Cararo di Radio città aperta di Roma (ex Radio Proletaria). Il Prc qualche imbarazzo ce l'ha e non potrebbe essere altrimenti: all'ultimo comitato politico hanno deciso di non partecipare «perché la piattaforma - spiegano - non dice `due popoli due stati' e non condanna il terrorismo» ma hanno votato un ordine del giorno bizantino che aderisce alla manifestazione del prossimo 18 marzo (il 20 sarà l'anniversario della guerra in Iraq) e - per non scontentare le minoranze - richiama quella del 18 febbraio come se fosse un appuntamento «preparatorio».

Con un mese d'anticipo il conflitto tra le due anime della sinistra radicale investe già anche l'appuntamento di marzo, promosso dall'arco pacifista che fa capo all'Arci dopo un'assemblea a Firenze. I Comitati Iraq libero legati al Campo Antimperialista annunciano il comizio in piazza di Jabbar Al Kubaisi, esponente dell'opposizione irachena e dunque «voce della resistenza». Ma gli organizzatori rispondono che «nulla è stato deciso» e comunque «il Comitato Iraq libero non ci risulta fra gli aderenti all'appello europeo che ha promosso la manifestazione».

E' però l'intervista, a pagina 14, a un giornalista di al Jazeera a trasformare in certezze i nostri dubbi. Dopo averci informato dell'irrilevanza degli arabi liberali che contestano la legittimità della vittoria "democratica" di Hamas (sono un'infima minoranza è il suo illuminato argomento per screditarli, del resto molto libera libera i esprimersi e di propagandare le sue idee, aggiungiamo noi) costui si "disgusta" per "il fatto che  in Europa non si possa sbagliare di una virgola il numero delle vittime dell'Olocausto senza far scoppiare il finimondo, mentre si può offendere così la religione islamica". Donatella Della Ratta, l'intervistatrice, non fiata.A questo punto é tutto chiaro: al quotidiano comunista non sono le idee di Tilgher e Fiore a scandalizzare, ma solo il colore politico di chi le esprime. Ecco il testo:

Faisal Al Kasim è il volto più noto di Al Jazeera, e anche il più «pericoloso». Da 8 anni il suo talk show, Direzione opposta, dibatte sulla piazza televisiva tutti i più scottanti tabù del mondo arabo e dà voce alle opposizioni dei governi arabi in carica, provocando crisi e rotture diplomatiche fra il Qatar - che ospita e finanzia Al Jazeera - e molti stati dell'area. Al Kasim, siriano con passaporto inglese, formato alla scuola della Bbc, un dottorato in letteratura inglese, continua con Direzione opposta - sebbene in un formato più ridotto, per la decisione di Al Jazeera di tagliare i talk show a favore di reportage e servizi sul campo- ad affrontare scottanti argomenti di attualità con la formula di due tesi opposte che si fronteggiano sotto il suo provocatorio arbitrio. Martedì scorso erano di fronte Talaat Rumeeh, giornalista egiziano del partito laburista, e Gabriel Faraj, rappresentante dei nuovi liberali egiziani. Argomento della puntata: la vittoria di Hamas e la volontà Usa, fittizia o reale, di portare la democrazia in Medio Oriente.

Signor Al Kasim, ancora una volta la vittoria di Hamas al centro dell'attenzione. Come vede le polemiche sollevate in Occidente a riguardo?

Il punto di partenza è se l'Occidente vuole veramente per noi arabi la democrazia, o se invece questa è la scusa per minacciare sanzioni economiche, attacchi militari, etc. Riguardo alla vittoria di Hamas sostengo il fatto che un partito eletto secondo le regole democratiche deve avere il diritto di governare. Non si può essere ipocriti e desiderare che un popolo scelga quello che avremmo scelto noi se fossimo stati al suo posto. Hamas deve governare, questo è l'unico modo per provare se sono adatti o meno, non si può deciderlo a priori. Personalmente sono scettico rispetto alla loro capacità di governare, essere un buon combattente non vuol dire essere un buon governatore, e la loro esperienza nell'amministrare i municipi non credo serva molto a gestire un paese complesso come la Palestina. Comunque l'unico modo è lasciarli governare, e penso che opponendosi l'Occidente ottenga soltanto l'effetto di esasperare il popolo arabo. La questione centrale è se l'Occidente vuole davvero la democrazia per il mondo arabo, o se vuole la «sua» democrazia, i partiti e i governi di suo gradimento. Avevo scritto questa domanda sul sito web di Al Jazeera soltanto un giorno prima di fare il programma su Hamas, e i risultati sono stati impressionanti. Il 95% di chi ha partecipato al sondaggio è convinto che l'Occidente non voglia una vera democratizzazione nel mondo arabo.

Eppure qualcuno, come i «nuovi liberali» arabi, che lei ha anche ospitato nella sua trasmissione, sostiene il contrario.

È vero, Gabriel Faraj è uno di questi. Lui pensa che anche se Hamas è stato eletto democraticamente questo non vuol dire che sia un buon movimento adatto a governare. E che l'Europa ha il diritto di isolarlo, così come fece con Jorg Haider quando vinse le elezioni in Austria. Ma i neoliberali nel mondo arabo sono una minoranza: sono anti-arabi, anti-islamici, e a favore degli Usa, come possono essere amati? Sono apparsi sulla scena con l'invasione Usa dell'Iraq, e se lì le cose fossero andate meglio, forse avrebbero guadagnato terreno. Ma, francamente, sono una minoranza nel mondo arabo. Ogni volta che devo rappresentare le loro tesi nel mio programma è difficilissimo trovare qualcuno, sono costretto a invitare sempre gli stessi.

In questi giorni divampa la polemica sulle vignette danesi, e le conseguenze, come stiamo vedendo, sono drammatiche.

Personalmente non ho problemi con la libertà di espressione occidentale, ho vissuto in Occidente e la ammiro. Ma mi disgusta il fatto che in Europa non si possa sbagliare di una virgola il numero delle vittime dell'Olocausto senza far scoppiare il finimondo, mentre si può offendere così la religione islamica. Da parte araba, ci sono dei governi ipocriti pronti ad approfittare di una cosa del genere per far scendere la gente in piazza, quando nella realtà non si può manifestare liberamente nel mondo arabo. È un gioco sporco dei governi arabi per far capire all'Occidente che se gli islamisti governano si avranno ambasciate in fiamme e violenze.

Non pensa che i media, dell'una e dell'altra parte, abbiano mobilitato i loro pubblici e contribuito a infiammare gli animi esagerando la situazione?

Certo, i media contribuiscono. Ma come facciamo a chiudere gli occhi su quello che succede? Se un fatto accade, dobbiamo non riportarlo?

Mi riferisco piuttosto ai giorni precedenti, quando i giornali europei facevano a gara a ripubblicare le vignette e Al Jazeera trasmetteva a ripetizione le immagini del boicotaggio sui prodotti danesi. Come si fa a stabilire un giusto confine etico fra il diritto a informare e la responsabilità dei media quando informano?

È difficile...Anche perché ci sono i meccanismi della competizione, i media devono piacere al loro pubblico, e devono vendere, più dell'avversario. In questa storia sia i media occidentali che quelli arabi non sono stati responsabili, ma il problema è che hanno obbedito alla loro stessa natura, che è fatta di sensazionalismo, non di razionalità. Nel caso delle vignette ci sono tutti gli ingredienti per farne un dramma fantastico. E infatti penso si tratti di qualcosa di molto più grosso. L'11 settembre ha iniziato la polarizzazione fra Usa e mondo arabo. L'Europa ai nostri occhi si è sempre mantenuta piuttosto fuori, ma adesso è stata chiamata in causa. Il dubbio è legittimo, non penso di essere un cospirazionista: agli Usa serviva un modo efficace per tirare dentro l'Europa, per fare fronte unito contro gli hooligans musulmani. Ci sono tutti gli ingredienti per una guerra perfetta.

Dunque i media possono fare qualcosa per non servire da strumenti allo scontro di civiltà?

I media putroppo sono il motore dei conflitti oggi, e dovrebbero perciò responsabilizzarsi e cercare di essere più attenti. Ma in casi estremi dovrebbe essere lo stato a limitarli, a sacrificare un pizzico di libertà di espressione in nome della responsabilità.

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