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L'Espresso Rassegna Stampa
14.02.2006 Non lasciamo solo chi nel mondo islamico aspira alla libertà
intervista ad Emma Bonino

Testata: L'Espresso
Data: 14 febbraio 2006
Pagina: 0
Autore: Denise Pardo
Titolo: «Non è questo l'Islam»

L'ESPRESSO del 10 febbraio 2006 pubblica un'intervista ad Emma Bonino sulla vicenda delle vignette danesi e sulla realtà del mondo islamico

La storia racconterà che si trattava di satira, sui musulmani, sul profeta Maometto, e di vignette. Così sataniche che, dopo essere state pubblicate da un giornale danese, hanno infiammato con un ritardo di quattro mesi le piazze dell'Islam, scatenando una violenza incendiaria contro l'Occidente blasfemo, senza Dio e dissacratore. Facendo riaffiorare spettri di guerre religiose e scontri razziali e colpendo l'immaginario collettivo con la visione di un fanatismo che non vede l'ora di esplodere. Cosa deve fare l'Occidente di fronte a manifestazioni così esplicite del fondamentalismo? Quali strumenti può usare per trovare un incontro? Quale può essere il prezzo da pagare, a quali dei suoi valori deve prepararsi a rinunciare? 'L'espresso' ne ha parlato con Emma Bonino, leader della Rosa nel pugno, da sempre in prima linea nella battaglia dei diritti umani e civili, uno dei pochissimi politici europei esperti del mondo arabo: conosce la lingua ed è di casa al Cairo. Cosa c'è dietro quest'esplosione di violenza? "Ci sono persone che magari senza neanche aver visto le vignette possono essersi sentite genuinamente offese. Anche perché in certi Paesi non abituati alla libertà di stampa si considerano i giornali come espressione e voce dei governi. Ma la mia impressione è che si sia trattato solo di un pretesto. C'è una manipolazione molto chiara, lo scatenamento di una reazione sproporzionata in un momento segnato da due vicende: l'approssimarsi dell'anniversario dell'assassinio di Hariri a Beirut, e del relativo processo, e la discussione in Consiglio di sicurezza della questione Iran. I due fili conduttori sono la Siria e l'Iran, paesi in difficoltà: da un punto di vista internazionale, ma anche nel loro stesso mondo". L'Occidente deve rivedere il concetto di libertà di stampa? Si può continuare a pubblicare satira sui musulmani e Maometto? "Non lo rifarei: sarebbe solo una provocazione. Ma la censura non appaga l'odio. Abbiamo visto troppe volte nella storia che il tranquillizzare i mostri non funziona. Non dobbiamo piegarci alle richiesta dei violenti". Lei è uno dei pochi politici che conosce il mondo arabo e i suoi meccanismi. Cosa può fare l'Occidente per aprire un vero dialogo? "Da parte dell'Europa c'è stata una totale assenza di iniziative politiche. Anche di fronte a segnali evidenti. Ad esempio, a dicembre l'Arabia Saudita, cioè il governo e non l'associazione dei consumatori locali, decise di boicottare i prodotti danesi. Ebbene, non c'è stata alcuna presa di posizione ufficiale. Nessuno è andato a Riad o ha chiesto ospitalità ad Al Jazeera o Al Arabya per spiegare che da noi le vignette e i giornali sono le vignette e i giornali, e che i governi e il popolo sono un'altra cosa. E che quindi un boicottaggio era inaccettabile. È l'esempio di un'incapacità di leggere ciò che succede in quel mondo e di un'Europa che tende verso la linea della stabilità a tutti i costi, specialmente se i costi li pagano gli altri, e se si tratta di Paesi produttori di petrolio. Un'Europa che a volte condanna, ma a mezza bocca". Forse per il timore di scegliere posizioni che possano scatenare reazioni minacciose per la sicurezza del mondo. "Se questo è il timore, il risultato è l'assenza, il vuoto. Esaminiamo la vicenda elettorale egiziana. Ha rivinto Mubarak naturalmente. Ha votato solo il 20 per cento della popolazione, e il 4 per cento ha scelto i Fratelli musulmani. La campagna elettorale è stata segnata da violenze, brogli, le forze più laiche e liberali sono state fatte fuori. Tutto questo non ha suscitato alcuna reazione. Nessun governo, nessuna forza politica si è fatta viva con i laici musulmani che si sono sentiti abbandonati, deboli e senza sostegno. Lo stesso è successo in Iran. Quando dalle elezioni sono stati esclusi 200 candidati democratici, l'Europa non ha emesso neanche un sospiro". Il primo corridoio da aprire è quindi verso i moderati? "Può essere l'inizio di una costruzione. Bisogna essere rigorosi nei confronti dei regimi. Ma bisogna sostenere in modo concreto i laici democratici e la media borghesia araba che hanno l'aspirazione a una vita migliore e libera che non trova punti di riferimento interni, è evidente, ma neanche esterni. La prima a intraprendere questa strada è stata Angela Merkel. È andata da Putin, ma ha ricevuto, ufficialmente sottolineo, all'ambasciata tedesca tutti i dissidenti russi. Questo è un cammino. L'altro è rinsaldare l'alleanza con i paesi che tentano la strada democratica". Il Marocco, l'altro Islam... "Ma anche la Turchia. Nei suoi confronti l'Europa non si può consentire un negoziato di dieci anni! Ora c'è la patata bollente Hamas. Secondo me, va detto forte e chiaro che siamo pronti a dare un congruo sostegno economico, con l'unico fine di aiutare le riforme, di migliorare la vita dei palestinesi, non di fomentare l'integralismo. Dobbiamo fare lo sforzo di capire che lo scontro non è religioso, ma politico. È tra società aperte e società chiuse, teocratiche, dittatoriali e autoritarie. In Occidente difficilmente i governi durano decenni. Anni fa, prima di un convegno chiesi a un amico arabo un consiglio su come rappresentare il loro mondo. Lui rispose: 'Semplice. Devi dire che siamo 22 paesi in cui la figura di ex presidente in vita non esiste. O muoiono di vecchiaia con il potere in mano o quando siamo stufi, li ammazziamo A noi non è data altra alternativa'". Di fronte a questi regimi, il dialogo, il sostegno sono forse strumenti efficaci nel lungo periodo. Ma non sono poca cosa rispetto alla forza dell'integralismo? "Dipende dai canali che si scelgono. Gli strumenti usati dalle cancellerie sono spaventosamente obsoleti: incontri, delegazioni, qualche scambio. Nessuno sforzo nell'inventare nuovi ponti di comunicazione. Per anni, mi sono battuta per creare una tv per arabi, gestita da arabi moderati che parlassero alla loro gente, magari finanziata dall'Unione europea. Non ci sono riuscita". Il grande spettro dell'integralismo è la libertà e l'eguaglianza. Questi valori passano anche attraverso i diritti alle donne. "Il mondo delle donne è una chiave importante per accedere ad aperture democratiche. Ha una potenzialità non violenta, ma rivoluzionaria. Ho un solido legame con questo mondo oppresso e bistrattato. Sono appena tornata da un grande convegno a Istanbul sul ruolo femminile nel mondo islamico. Dove ancora una volta si sono riproposti due filoni: le musulmane credenti ma laiche nella visione della cosa pubblica, e quelle che chiedono la rivisitazione in chiave moderna del Corano. Ma il fine è identico. Un modello riconosciuto, dei diritti accettati. Certamente per molti paesi le donne sono più pericolose degli estremisti o dei fanatici che si possono comprare e corrompere". C'è chi pensa che la diversità tra Islam e Occidente sia comunque insormontabile. "Non è vero. È che noi non li conosciamo. Loro ci conoscono meglio. Le loro classi dirigenti hanno accesso alla Bbc, alla Cnn, parlano spesso tre lingue. Noi non parliamo arabo, non leggiamo i loro giornali. Gli estremisti sono una minoranza più visibile perché la violenza si vende sempre meglio. Ci sono milioni di persone che vanno avanti con coraggio e aspirano a un mondo diverso. Ma non fanno notizia. Al convegno di Istanbul che era importantissimo non erano presenti né giornali occidentali, né giornali arabi. Solo il sangue ha l'onore delle prime pagine. Ma gli uomini democratici guardano a noi con speranza, anche se sono dimenticati da Dio e dai santi". La civiltà occidentale deve pagare il prezzo della rinuncia a certi valori per trovare un punto di convivenza? "No. Il problema non è la reciprocità della chiusura o la reciprocità dell'intolleranza. Ma la promozione della libertà, un valore universale. Non lo è per i regimi e per gli estremisti, ma lo è per i milioni e milioni di musulmani, indù, buddisti, ebrei, atei o copti che ci sono al mondo. Basta osservare la fila di egiziani che davanti ai consolati chiedono il visto per l'America, per il Canada, per l'Europa per capire quanto sia circoscritto a pochi l'odio per l'Occidente. Di fronte all'oppressione di tanti popoli mi domando se quando da noi si parla di pace, non si parli piuttosto della nostra tranquillità. Gli amici siriani mi dicono: 'Pace, pace: in realtà pensate alla vostra, qui non sappiamo cosa significhi. Viviamo tutti i giorni una guerra terribile, subdola, quella di cui è capace solo un regime autoritario'".

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