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La Stampa Rassegna Stampa
14.02.2006 Le vignette sulla Shoah piacciono a Francesca Paci
per lei sono solo una "provocazione contro Israele"

Testata: La Stampa
Data: 14 febbraio 2006
Pagina: 5
Autore: Francesca Paci
Titolo: «La Shoah in vignetta, parte il concorso»

Francesca Paci, affrontando su La STAMPA di martedì 14 febbraio 2006 la vicenda delle vignette sulla Shoah per le quali l'Iran ha indetto un concorso, tra tanti possibili punti di partenza, sceglie di interrogarsi sul "paradosso" dell'identità occidentale dei primi  partecipanti (un australiano e un brasiliano). Invece di risolvere la questione constatando che l'odio di stato promosso dai totalitarismi mediorientali ha convinto gli antisemiti occidentali di poter nuovamente dare libero sfogo al loro astio e alla  voglia disgustosa  di sbeffeggiare le vittime dei crimini nazisti, senza temere un'unanime (o quasi) riprovazione sociale, la Paci si dilunga nell'illustrare le ragioni dei vignettisti, nemici del "doppio standard" occidentale (ma non c'é nessun doppi standard occidentale, se non altro perché i paesi islamici, nel caso delle vignette danesi, hanno preteso di dettar legge sulla regolazione della libertà di stampa in un paese europeo, mentre non è mai avvenuto il contrario ) e arriva a presentare la ripugnante vignetta dell'australiano Leunig come fondata su una reale "colpa" di Israele: "ironizza sulla cattiva memoria di Israele", scrive. In conclusione, auspica persino che la "provocazione contro Israele" (sbeffeggiare la Shoah è dunque una "legittima critica a Israele"?) venga raccolta e pubblicata da latri giornali australiani o brasiliani.  Ecco l'articolo:   

Curioso, i primi due cartoonist ad inviare i loro disegni al concorso sull’Olocausto indetto dal quotidiano iraniano Hamshahri in risposta alle vignette danesi sul Profeta Maometto non provengono dall’infuriata piazza musulmana che abbiamo visto assaltare le ambasciate straniere a Damasco, Teheran, Gaza, ma sono «dei nostri». Un australiano e un brasiliano. Spiriti occidentali come il grafico cubano Enrique Lacoste che spedendo ai redattori di Hamshahri l’illustrazione d’una colomba della pace infilzata dalle bandiere americana, inglese e danese, ha suggerito l’idea di sfidare l’«irriverenza laica» sul suo stesso terreno.
Michael Leunig è un umorista politico che vive ritirato nella campagna vicino Melbourne e pubblica regolarmente i suoi lavori sul giornale locale The Age. Dietro la sigla Latuff invece, si cela la mano che il 14 marzo 2002, da una postazione internet di Rio De Janeiro, ha trasmesso al sito californiano di Indymedia un energumeno tatuato di svastiche e con il cervello traboccante di escrementi dal titolo «Tribute to White Power», tributo al potere bianco. No copyright, ovviamente.
La striscia di Leunig, due disegni in bianco e nero in sequenza, ironizza sulla cattiva memoria d’Israele. La prima figura mostra un uomo con la stella di David in spalla che s’avvia all’ingresso del lager di Auschwitz dominato dalla scritta «Il lavoro rende liberi». La data è 1942. Nella seconda, ambientata in Israele nel 2002, si vede lo stesso uomo che imbraccia un fucile e si dirige verso un campo di concentramento indicato dal cartello «La guerra porta la pace». L’autore, che non potrà partecipare al concorso perché in anticipo sul bando diffuso solo ieri, ha allegato un bigliettino: «Nel mio paese ho avuto difficoltà a trovare un editore per questo lavoro. Se lo diffonderete contribuirà a smascherare l’ipocrisia dell’Occidente sulla libertà d’espressione». Musica per le orecchie del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad che in più occasioni ha definito l’Olocausto «un mito» e sta organizzando a Teheran una conferenza internazionale con i maggiori storici negazionisti.
La vignetta di Latuff, che accoglie il cibervisitatore sull’homepage di www.irancartoon.com insieme all’avviso d’un possibile oscuramento del sito per mano degli americani, raffigura il prigioniero di un campo di sterminio, un arabo baffuto, con indosso il classico pigiama a righe verticali su cui sono cuciti il numero di serie e la mezzaluna rossa.
Semplici battute, dicono, ironici, i redattori di Hamshahri e la Casa della caricatura dell’Iran. Come quelle del quotidiano danese Jyllands Posten su Maometto: anche lì il direttore, John Hansen, aveva lanciato l’idea di un concorso sulla raffigurazione del Profeta, icona sacra e irrappresentabile per i musulmani. Una provocazione: nonostante la lunga tradizione umoristica dell’Islam, ricordata alcuni giorni fa sul Corriere dallo scrittore iraniano Amir Taheri attraverso l’esempio dello stesso Maometto che a suo tempo perdonò la satira di un poeta, irridere il sacro è un tabù. La Procura generale dell’Iran ha annunciato ieri che si assumerà il compito di «perseguire e punire» i responsabili delle caricature del Jyllands Posten se non lo faranno le magistrature dei Paesi in cui sono state pubblicate. La legge islamica risponde alla blasfemia con una sentenza di morte, come nel caso della fatwa scagliata dall’ayatollah Khomeini contro Salman Rushdie.
Michael Leunig e Latuff, i più rapidi e zelanti tra i colleghi cartoonist nel sostenere la sfida di Hamshahri, si dichiarano solidali con la sensibilità ferita dei musulmani di tutto il mondo ma, evidentemente. ce l’hanno con l’Occidente e il suo «doppio standard». Difficile pensare che un vignettista, comunque la pensi su Dio, si schieri con Paesi in cui la censura è sempre sovrana. Chissà che la loro provocazione contro Israele non venga raccolta e pubblicata da altri giornali australiani o brasiliani.

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