Rispondendo a un lettore, Sergio Romano elenca sul CORRIERE della SERA di lundì 13 febbraio 2006, i governi e gli esponenti comunitari islamici "moderati". In alcuni casi l'errore di valutazione è evidente: l'Arabia Saudita non si limita a "finaziare madrasse", diffonde nel mondo una propaganda fondamentalista e antisemita, finanzia Hamas e parte della sua classe dirigente è collusa con Al Qaeda, il regime di Saddam Hussein, nonostante la sua ideologia laica, appoggiava, come è ormai provato, il terrorismo di al Qaeda, la Siria è alleata della teocratica Iran e appoggia Hezbollah, punta di lancia terrorista del fondamentalismo sciita, Hamas e la Jihad islamica, la posizione delle Consulte islamiche è generalmente ambigua; molti loro membri condannano alcuni terrorismi, ma, sotto il nome di "resistenza" ne appoggiano altri, talvolta si offorno di risolvere i problemi che essi stessi hanno prodotto con la propaganda e la predicazione dell'odio e la loro volontà di imporre un controllo ideologico fondamentalista sulle comunità immigrate é stata denunciata in modo credibile e documentato (tra l'altro da Magdi Allam sullo stesso giornale sul quale scrive Romano). La preoccupazione espressa nelle ultime righe della risposta per la diffusione della convinzione che " il mondo islamico rappresenti un blocco monolitico e che non esisatno al suo interno le infinite differenze e sfumature che distinguono qualsiasi grande comunità umana" è certamente legittima. Ma non aiuta a scongiurare il rischio di una condanna indifferenziata dell'Islam sbagliarsi sull'identità dei veri possibili interlocutori dell'Occidente all'interno di quel mondo. e E soffermarsi sulle "infinite differenze e sfumature" al suo interno rischia di far perdere di vista le differenze essenziali, di sostanza. Tra chi approva gli attentati di al Qaeda e quelli di Hamas, e chi dimostra il suo favore solo per questi ultimi, c'é effettivamente una "sfumatura". Ma non é certo quasto la vera discriminante. Essa passa invece tra chi condanna sempre e comunque il terrorismo e chi no. Musulmani del primo tipo, per fortuna ci sono. Ed'é con loro che l'Occidente dovrebbe parlare, senza confonderli, idebolendoli, con i campini dell'ambiguità morale e della dissimulazione. Ecco il testo della lettera e quello della risposta:
Secondo lei, esperto di questioni internazionali, l'Europa e l'Occidente, per superare questi eventi pericolosi con il mondo islamico, con chi dovrebbero dialogare? Si parla tanto di Islam moderato, ma dove sono, chi sono i loro rappresentanti democratici con i quali intraprendere un serio confronto?
Angelo Cambieri
Caro Cambieri, suppongo che anche lei avrà visto, alla televisione, le immagini dell'incontro del presidente Bush alla Casa Bianca con il giovane re di Giordania. Abdullah, figlio di Hussein, guida un Paese che ha preso una posizione molto netta contro il fondamentalismo islamico ed è stato vittima, pochi mesi fa, di micidiali attentati terroristici. Le stesse considerazioni valgono per il sultano del Marocco, ispiratore di un codice civile che contiene norme abbastanza liberali sulla condizione femminile. Il generale Mubarak non è il modello di leader democratico che piacerebbe all'Occidente, ma ha sempre sostenuto pubblicamente la politica di Sharon e ha recentemente esortato Hamas a riconoscere lo Stato d'Israele. I colonnelli algerini che hanno bruscamente interrotto la consultazione elettorale del 1992 non sono stinchi di santo, ma sono nemici del fondamentalismo islamico e sanno che il loro Paese dipende economicamente dall'Europa. Il colonnello Gheddafi può essere in molte circostanze, soprattutto per noi italiani, insopportabile. Ma è odiato dagli islamisti, che hanno attentato più volte alla sua vita, e ha rinunciato alla sua aggressiva politica nucleare. Il premier turco Erdogan è riuscito a traghettare il suo partito verso posizioni moderate e ha invitato il Papa, dopo la morte di don Andrea Santoro, a visitare il suo Paese. Gli sceicchi sauditi finanziano le madrasse musulmane nel mondo, ma vivono di petrolio e sanno perfettamente, come dicono gli inglesi, da dove viene il burro spalmato sul loro pane. Il generale Musharraf in Pakistan governa seduto su un barile di polvere, ma è stato il migliore alleato degli Stati Uniti nella regione. Il presidente afghano Hamid Karzai non controlla purtroppo il suo Paese, ma ha un programma modernizzatore ispirato da modelli occidentali. I leader musulmani dell'Asia meridionale, dall'Indonesia alla Malaysia, non hanno alcuna simpatia per l'estremismo religioso e sono stati, come il re di Giordania, bersaglio di attacchi terroristici. Non basta. Se lei, caro Cambieri, intende per «moderati» i leader e i governi che non hanno nulla a che spartire con il fondamentalismo religioso e hanno fatto molto per estirparlo a casa loro, Saddam Hussein in Iraq, la dinastia degli Assad in Siria e i partiti Baath del Medio Oriente appartenevano e appartengono senza dubbio a questa categoria. Non saremmo in queste condizioni se Bush, con la sua guerra irachena, non avesse inferto un duro colpo alla stabilità politica dell'intera regione. Un discorso a parte occorre fare naturalmente per le comunità islamiche dei maggiori Paesi europei. Ma anche in questo caso è bene tener conto conto di alcuni dati. I membri delle comunità che frequentano le moschee sono circa il 10%, anzi addirittura il 5%, secondo il recente libro di Farian Sabahi edito dal Saggiatore («Islam: l'identità inquieta dell'Europa»). Quando la Francia introdusse una legge che vietava il velo nelle aule scolastiche della Repubblica, il numero delle ragazze che rifiutarono di piegarsi alla norma e abbandonarono l'istruzione statale fu alquanto modesto. Quando scoppiarono i moti delle banlieue, negli scorsi mesi, i leader comunitari buttarono acqua sul fuoco. Le Consulte islamiche, là dove esistono, dimostrano che i loro membri sono in buona parte desiderosi di collaborare con i governi. Ciò che maggiormente mi preoccupa nelle vicende di queste ultime settimane e in altre precedenti è la convinzione alquanto diffusa che il mondo islamico rappresenti un blocco monolitico e che non esistano al suo interno le infinite differenze e sfumature che distinguono qualsiasi grande comunità umana. Ho già assistito altre volte a questo fenomeno. È accaduto all'epoca delle leggi razziali, là dove sono state adottate, e nelle guerre, allorché l'individuo smette di esistere e diventa agli occhi del nemico soltanto il mattone di un grande minaccioso edificio. Non vorrei che accadesse ancora.
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