"Vignette e Bush 800 mila no" è l'appropriato titolo dell'articolo di Stefano Chiarini sulla manifestazione di Hezbollah contro la Danimarca, la libertà di espressione, gli Stati Uniti e l'indipendenza libanese. Oltre che, ovviamente, contro Israele. Il titolo è senz'altro appropriato, perché esprime icasticamente l'ammirazione per le minacciose prove di forza di Hezbollah che Chiarini lascia abitualmente trasparire dai suoi articoli.Tutti sanno che i disordini avvenuti in questi giorni in Libani sono stati orchestrati da gruppi di stretta obbedienza siriana. Tutti meno i lettori del Manifesto, che grazie a Chiarini continuano avivere in uan realtà parallela nella quale Stati Uniti e Israele tramano perpetuamente per destabilizzare il paese dei cedri, mentre la Siria, Hezbollah e la "resistenza palestinese" fanno il possibile per salvarlo. Ecco il testo:
Il ricordo collettivo con il quale gli sciiti rivivono a distanza di milletrecento anni il martirio dell'imam Hussein, nipote del profeta, si è trasformato a Beirut in un'oceanica manifestazione politico-religiosa, e in una vera prova di forza del movimento Hezbollah alla quale avrebbero partecipato almeno 800.000 persone - su poco meno di quattro milioni di residenti in Libano - sfilate per ore nella periferia meridionale della capitale. Il corteo si è caratterizzato per una dura, ma estremamente pacifica contestazione della pubblicazione sui giornali danesi delle vignette che equiparano Mohammed e l'Islam al terrorismo, ma in realtà si è trattato di una ferma condanna dei tentativi americani, israeliani ed europei - con il sostegno della maggioranza di governo (la Hariri Inc., le destre cristiano maronite e l'esponente druso Walid Jumblatt) di destabilizzare il Libano e la Siria, disarmare la resistenza libanese e palestinese, e arrivare ad un trattato di pace separato con Israele indipendentemente dal ritiro israeliano dalla West Bank palestinese e dalle alture del Golan.
La grande manifestazione di ieri mattina ha coinciso con il decimo e ultimo giorno delle celebrazioni dell'«Ashura», la festa religiosa più importante per i musulmani sciiti, nella quale essi rivivono in prima persona la tragica morte in battaglia dell'imam Hussein, nipote e genero di Maometto - al quale per questa corrente dell'Islam sarebbe dovuta andare la successione del profeta - ucciso a Kerbala nel 680 con i suoi pochi compagni dalle soverchianti truppe del califfo omayade di Damasco. Al centro della processione non solo il suo martirio ma anche il senso di colpa di questa comunità per non aver mosso un dito per salvare quel giovane coraggioso e i suoi compagni. Un senso del martirio - con la raffigurazione e il culto dei martiri, assai «meridionale», estremo, pieno di emotività - più vicino al cristianesimo popolare che alla sensibilità ascetica, iconoclasta, della corrente maggioritaria dell'Islam, i sunniti.
Tra le bandiere gialle del movimento Hezbollah - che due giorni fa è riuscito a rompere l'assedio di Usa, Francia ma anche dell'Italia, alleandosi con l'esponente cristiano maronita più popolare del paese il generale Michel Aoun su una base «patriottica e nazionale» e di amicizia con la Siria - numerosi gli striscioni dedicati alla vicenda delle vignette satiriche anti-musulmane quali «Difesa della religione e del profeta a qualunque costo» e «non accettiamo simili offese». I dimostranti hanno poi scandito a lungo slogan come «Morte all'America, morte ad Israele». Il leader del partito Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah, parlando al termine della manifestazione, ha invitato i paesi islamici a restare uniti contro le offese al profeta Maometto e ha chiesto alla Danimarca di scusarsi con i fedeli musulmani. «Oggi qui stiano difendendo la dignità del profeta con le parole, con una manifestazione ma George Bush e il mondo arrogante sappiano che se saremo costretti ... siamo pronti a difenderlo con il nostro sangue». Il leader Hezbollah ha poi rivolto un duro attacco all'Italia per il ruolo che avrebbe avuto nel «coprire» la «scomparsa» del «padre fondatore» della rinascita sciita in Libano, e non solo, l'imam Mousa al Sadr: «La Libia e l'Italia si devono assumere le loro responsabilità per la scomparsa - ha detto Sayyed Nasrallah - di fronte ai libanesi e a tutti i musulmani». Quell'estate del 1978 l'esponente sciita, recatosi a Tripoli per incontrare il colonnello Gheddafi, scomparve misteriosamente nel nulla il 31 agosto. «Troppi anni sono passati - ha continuato Nasrallah - e nessuno ha ancora chiarito questa vicenda. Chiediamo la verità» aggiungendo poi che «l'Italia e la Libia da anni tentano di manipolare le indagini». Il governo libico sostiene che Mousa al Sadr sarebbe partito da Tripoli per Roma e quindi la scomparsa sarebbe avvenuta nel nostro paese. In Italia sono state aperte e archiviate ben tre diverse inchieste. La prima venne chiusa nel gennaio 1979 perché«nessun reato è stato commesso sul territorio italiano». La seconda, del settembre del 1981, invece sostiene che «i reati specificati sono da attribuire a autori ignoti». La terza, è stata chiusa lo scorso novembre, perché «non sono emersi elementi investigativi atti a riferire la sparizione o la soppressione dell'imam a soggetti individuabili o individuati».
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