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La Stampa Rassegna Stampa
10.02.2006 Il pericolo iraniano e la sottovalutazione europea
Fiamma Nirenstein intervista Aharon Zeevi Farkash, ex capo dell'intelligence militare israeliana

Testata: La Stampa
Data: 10 febbraio 2006
Pagina: 13
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: ««Gli europei non temevano l’Iran»»

La STAMPA  di venerdì 10 febbraio 2006 pubblica un 'intervista di Fiamma Nirenstein al generale Aharon Zeevi Farkash, ex capo dell'intelligence militare israeliana.Tra gli argomenti della conversazione il programma nucleare e missilistico iraniano, l'effetto destabilizzante della vittoria di Hamas e alcune rivelazioni sulla sordità dei leader politici europei agli avvertimenti israeliani circa la pericolosità di Teheran  Ecco il testo: 

Il generale Aharon Zeevi Farkash che da due mesi ha lasciato il suo ruolo di capo dell’intelligence dell’esercito è un chiaro e determinato tecnico della guerra contro al terrorismo. Ieri, per la prima volta dalla fine del suo servizio accetta di incontrare un gruppetto di giornalisti, il tono è di gelido allarme. Prima ancora della vittoria di Hamas, lo preoccupa la vicenda iraniana.
«L’Iran è alla conclusione della fase più significativa. Da pochi giorni, nel gennaio di quest’anno, ha deciso di proseguire la fase di preparazione delle centrifughe. Da allora, possiamo calcolare da sei mesi a un anno prima che siano pronti, fino al 2007. Poi, dal 2007, bisognerà calcolare circa due anni perché possano arrivare a produrre la prima bomba. Successivamente, possiamo pensare che occorra aspettare fino al 2010-11 perché siano pronti a usarla». Farkas dice - con onestà - che fra le varie intelligence, c’è chi pensa che la scadenza sia il 2015. Insiste che comunque la fase più critica è la prima, quella in cui l’Iran si metterà in condizione di arricchire l’uranio da solo.
Qual è l’obiettivo strategico iraniano? Per capirlo, il mondo deve occuparsi della preparazione dei missili Shihab in grado di portare testate nucleari, e ha una serie di scadenze precise. La sorprendente prospettiva: «Per lo Shihab in prima fase l’Iran lavora a due obiettivi: Israele e Arabia Saudita. Abbiamo informazioni che lo Shihab 3 che è già stato sperimentato, gittata da 1300 a 1400 chilometri, è confezionato da una squadra con due responsabilità». Per il prossimo futuro Farkash indica la costruzione iraniana di un missile che arrivi dai 3700 ai 5000 chilometri di distanza. Esso, dice, è destinato alle città europee, e sarà pronto in due-tre anni. Successivamente per il 2008-9 sarà pronto un missile che arrivi fino agli USA e alle coste orientali, intorno ai 10mila chilometri di gittata.
Ma chi può davvero dire se queste intenzioni sono reali? Farkash ha un piccolo sorriso: «Intanto, non abbiamo quasi bisogno di intelligence: il presidente Ahmadinejad parla senza giri di parole. In secondo luogo, la spesa di miliardi di dollari, testimonia che i lavori in corso non sono certo di facciata». In generale, si può dire che la situazione sia particolarmente minacciosa.
E per Israele, il fatto che Hamas abbia vinto le elezioni, peggiora ancora la situazione? Per Farkash, la vittoria di Hamas si inserisce in una pericolosa strada di destabilizzazione mediorientale a carattere religioso: i gruppi fondamentalisti usano gli spazi aperti dal processo di democratizzazione iniziato in Iraq con la guerra. Quindi essa è stata un errore? «No,di fatto il terrorismo contro gli USA è stato battuto. E la novità degli Usa in Medio Oriente crea spazi anche per processi positivi. Certo, qui la destabilizzazione portata dalla crescita islamista si vede ovunque: in Egitto, in Siria, fra i palestinesi. Ma la democrazia è un processo che prende molto tempo. E non si creda che adesso che Hamas ha vinto Fatah sia tagliata definitivamente fuori. Ha perso violentemente nelle elezioni locali, ma al parlamento resta potente, e si mobilita per recuperare. La sconfitta è della generazione dei reduci da Tunisi, con Arafat. I più giovani, possono ancora farcela.
Purtroppo ci si può aspettare che sulla scia di Hamas, in parte rirtorni a contare sull’uso della violenza». Farkash non si sbilancia sul futuro, da tecnico qual è. In tutto ci sono aspetti negativi e positivi, solo una cosa appare certa: «Si deve capire che le forze integraliste possono chiudere i ranghi fra Egitto, Libano con gli Hezbollah, Siria, Libia, Autorità palestinese, e soprattutto Iran. Al Qaeda è della partita. Sharon a suo tempo mi incaricò di parlare del pericolo iraniano e della strategia di Al Qaeda ai primi ministri europei. Da Berlusconi, fino alla Germania e alla Francia, ho fatto un largo giro. Tutti grosso modo mi risposero: «Noi siamo stati abituati dalla Guerra Fredda a vivere col pericolo nucleare, e comunque sia gli Usa che Israele interverranno comunque». Come, anche Berlusconi le disse così? Farkash risponde: «L’incontro con Berlusconi fu costruttivo e interessante e avvenne a Gerusalemme, durante la visita in Israele del 2003». Niente di più.

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