Jihad in Gran Bretagna. Di seguito, una spaventosa e accurata cronaca del FOGLIO:
Londra. Campi d’addestramento nella brughiera inglese. Soltanto adesso, dopo che è finito il processo contro il predicatore estremista Abu Hamza al Masri – condannato a sette anni di carcere – gli uomini dell’antiterrorismo sono liberi dal segreto istruttorio e possono fare il punto sullo stato del jihad in Gran Bretagna. I funzionari di Scotland Yard confermano una cosa che già tutti sanno, il quartier generale degli islamisti è la moschea di Finsbury Park nel cuore di Londra. Ma rivelano anche l’esistenza di quattro campi d’addestramento paramilitare, nel Galles – in particolare nel Brecon Beacons, quella zona così brulla e poco abitata da essere scelta anche dall’esercito inglese per condurvi le sue manovre – e nei parchi nazionali delle Highlands, dello Yorkshire Dales e del Lake District. Per quei campi sarebbero passate almeno cento persone.Il tutto è stato scoperto grazie alla controversa “operazione Mermant”, condotta dall’antiterrorismo all’alba del 20 gennaio di due anni fa. Nonostante la morte di un agente di polizia – pugnalato mentre arrestava Kamel Bourgass, uno dei frequentatori più sospetti della moschea – i vertici dell’Home Office e di Scotland Yard tergiversarono una settimana intera prima di ordinare la perquisizione dell’edificio di Finsbury Park. Erano paralizzati dalla paura di urtare la suscettibilità della comunità musulmana. La televisione mostrò gli agenti buttare giù la porta d’ingresso con un ariete, calzando però rispettosamente appositi sovrascarpe per non profanare il luogo sacro. L’imam, al Masri, accusò il governo e la polizia di avere condotto un’operazione “in stile Rambo”, “provocatoria, stupida e illogica”. Dentro la moschea c’erano tute di protezione Nbc – contro gli agenti nucleari, chimici e batteriologici – una maschera antigas, manette, giberne militari, walkie talkie, tre pistole salve, uno storditore, uno spray lacrimogeno e numerosi pugnali. Un agente ricorda che durante la perquisizione degli uffici rimosse un tramezzo del soffitto e fu investito da una pioggia di 100 passaporti falsificati o rubati, di materiale per plastificare, carte di credito e libretti degli assegni. La condanna a sette anni di carcere di al Masri di due giorni fa – è stato riconosciuto colpevole di undici dei quindici capi d’accusa, tra cui istigazione all’odio e all’omicidio – segnano una fase nuova dei rapporti tra Gran Bretagna e la minaccia islamista cresciuta sul proprio suolo. Il tacito patto di non belligeranza degli anni Novanta, controlli blandi in cambio di sicurezza, non vale più. Nonostante la legge del premier Tony Blair sui reati di odio religioso sia appena stata rigettata dai parlamentari insoddisfatti, perché troppo vaga, alla corte sono bastate quelle già in vigore – come il Terrorism Act del 2000 – per mandare in cella l’agitatore islamista. I sottili distinguo fatti in aula sull’invocazione di morte – che non sarebbe incitazione all’omicidio se portata contro i civili israeliani o i soldati americani – non sono più tollerati. E nemmeno la connivenza con personaggi come Zacarias Moussaoui, l’attentatore mancato dell’11 settembre, o Djamel Beghal, in carcere in Francia per un attentato, soltanto progettato, contro l’ambasciata americana a Parigi. Al Masri potrebbe non scontare l’intera condanna e uscire tra soltanto due anni: ma è già iniziata la procedura per l’estradizione negli Stati Uniti. I giudici americani potrebbero condannarlo a 99 anni per i suoi legami con il terrorismo yemenita e afghano, e il tentativo di allestire un campo del jihad in Oregon nel 1999.
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