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Il Foglio Rassegna Stampa
09.02.2006 Al Cairo nasce il governo di Hamas
con la mediazione di Mubarak

Testata: Il Foglio
Data: 09 febbraio 2006
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Così il mediatiore Mubarak sta formando il governo palestinese»

Dal FOGLIO di giovedì 9 febbraio 2006:

Il Cairo. Il governo di Hamas sta nascendo in Egitto. E’ al Cairo, alla corte del faraone Hosni Mubarak, che si sono recati il presidente palestinese, Abu Mazen, il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, soprattutto i vertici di Hamas. A organizzare incontri e dialoghi è Omar Suleiman, potente capo dei servizi segreti egiziani. Durante il week end è arrivato anche Khaled Meshaal, il leader dell’Organizzazione per la resistenza islamica in esilio a Damasco. Dal Cairo ha annunciato la volontà del suo movimento di formare un governo di coalizione con Fatah, l’ex partito al potere. Di disarmo Meshaal non ha mai parlato, ripete che “non riconosceremo Israele, nessuno ci obbliga a farlo”, e rilancia la “hudna” a lungo termine per ingraziarsi i governi europei e i loro finanziamenti. Intanto ieri è circolata la notizia di un possibile premier non di Hamas: Jamal Khodary, rettore dell’università islamica di Gaza. Roni Shaked, giornalista del quotidiano israeliano Yedioth Ahronot, dice al Foglio che è un po’ presto per fare nomi, “bisogna aspettare che Fatah sabato dica se vuole fare la coalizione con Hamas o no”, ma ricorda che l’Università di cui Khodary è rettore “è l’unica al mondo in mano ai Fratelli musulmani e quindi è controllata al cento per cento da Hamas”. Al Cairo c’è anche la Lega araba. Meshaal ha incontrato il segretario generale, Amr Moussa, che, dopo un primo momento di incertezza – Alaa Rushdi, portavoce di Moussa, poche ore dopo la vittoria di Hamas aveva detto al Foglio che i membri della Lega erano positivi su una possibile cooperazione con il governo israeliano – e dopo aver chiesto ai leader di Hamas il riconoscimento di Israele è tornato sulla solita linea del “non si possono imporre condizioni ai palestinesi finché continua l’occupazione”. Il Cairo, pur giocando il ruolo forte di mediatore, si trova in una posizione scomoda: i Fratelli musulmani in Parlamento e un governo islamico alle porte di Gaza. Fratelli musulmani e Hamas hanno fatto campagna con lo stesso slogan: “Al islam hua al hal”, l’islam è la soluzione. Il numero due del gruppo, Mohammed Habib, seduto nel suo ufficio del Cairo, è soddisfatto della vittoria di Hamas. “Speravamo che vincesse, ma non ci aspettavamo un successo tale”, dice al Foglio e racconta come i palestinesi abbiano votato democraticamente, “nonostante l’occupazione”. Poco dopo la chiusura delle urne egiziane, le agenzie di stampa avevano dato notizia di incontri, al Cairo, tra i vertici dei due gruppi. Al telefono con il Foglio, Habib, a dicembre, aveva smentito. Oggi conferma: non ci sono rapporti tra il suo gruppo e Hamas, il movimento palestinese ha un’agenda molto fitta. Per Habib – che parla d’Israele usando l’espressione “il nemico sionista” – i palestinesi erano consci “dei sacrifici” che avrebbero incontrato votando Hamas. Si riferisce all’isolamento politico e al taglio degli aiuti finanziari da parte dell’occidente. Mohammed Kadry Said, generale dell’esercito in pensione e analista dell’Ahram center for political and strategic studies del Cairo, racconta che, negli ultimi anni, l’Egitto non è stato lontano da gruppi come Hamas e Jihad islamico. I vertici “sono venuti al Cairo molte volte, sono conosciuti dai nostri politici, dai nostri diplomatici e dai nostri servizi segreti”. L’Egitto sembra avere creato un paradosso: per diversi anni ha trattato Hamas, gruppo radicale islamico, alla stregua degli altri partiti politici palestinesi, senza mai aver riconosciuto, nei suoi confini, il movimento dei Fratelli musulmani, dal quale Hamas è nato. Per Eli Karmon, analista del Centro interdisciplinare di Herzliya, il Cairo ha alcune responsabilità nel successo di Hamas. Durante i negoziati nella capitale egiziana, il governo ha dato al gruppo “una posizione parallela a quella di Fatah. I suoi membri sono stati ricevuti come politici importanti, mentre l’Egitto lotta contro i Fratelli musulmani e non li lascia partecipare alle elezioni come partito”. Nonostante le ambiguità, Mubarak continua la sua opera di mediazione, forte della credibilità che si è conquistato nella comunità internazionale.

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