Il FOGLIO di giovedì 9 febbraio 2006 pubblica in prima pagina sulle violenze islamiste a Hebron, che hanno costretto alla fuga gli osservatori dell'Unione europea. Senza che le forze di sicurezza palestinesi, finanziate dalla stessa Europa, abbiano fatto qualcosa per difendereli. E' dovuta intervenire Israele. Ecco il testo:
Bruxelles. L’Europa è sotto attacco. E’ iniziata “l’intifada globale antieuropea organizzata dai jihadisti”, dice al Foglio Walid Phares, professore alla Florida Atlantic University e autore del libro “Future Jihad”. L’assalto alla missione degli osservatori europei a Hebron, in Cisgiordania, che ha costretto tutti i 72 funzionari a lasciare la città alla volta di Tel Aviv, le manifestazioni a Sarajevo, dove mille persone hanno bruciato le bandiere dei paesi europei, le strade furiose del mondo musulmano, i morti in Afghanistan, le ambasciate di Danimarca e Norvegia in fiamme a Damasco e Beirut, gli uomini armati che circondano la sede dell’Unione europea a Gaza, le pietre e le molotov contro l’ambasciata di Austria e Gran Bretagna a Teheran non sono il risultato della rabbia spontanea di un miliardo di musulmani offesi da dodici vignette sul Profeta. Questa – spiega Phares – è “una strategia organizzata dai Fratelli musulmani, dai salafiti, dai khomeinisti, dagli Hezbollah, da al Qaida e da altri. Tutto è montato da un’unica alleanza aideologica contro il nemico comune: la democrazia”. Il segretario di stato americano, Condoleezza Rice, ha accusato direttamente i governi di Teheran e di Damasco di aver fomentato la violenza. La Siria è isolata per l’assassinio di Rafiq Hariri, l’Iran va verso il Consiglio di sicurezza dell’Onu per la sua bomba nucleare, Hamas è di fronte alla scelta tra le aspirazioni palestinesi e il terrorismo, e l’Europa che fa? “I governi non hanno capito”, dice Phares. Certo, la presidenza dell’Ue ha condannato la “spirale di provocazioni e offese reciproche”, denunciando il lancio in Iran di un concorso di vignette sull’Olocausto. Il cancelliere austriaco, Wolfang Schüssel, dice che gli europei “non cercano lo choc di culture, ma la pace tra le diverse culture”. “Dialogo, dialogo, dialogo” è il ritornello del presidente del Parlamento europeo, Josep Borrell, perché “la cooperazione e il rispetto sono i pilastri della nostra alleanza di civilizzazioni”. Per il ministro degli Esteri danese, Per Stig Moeller, la crisi “è qualcosa di più delle sole caricature perché ci sono forze che vogliono uno scontro tra le nostre culture”, ma il presidente francese, Jacques Chirac, condanna le vignette come una “provocazione manifesta”. Le istituzioni europee cincischiano parlando di “libertà di espressione da esercitare con responsabilità” e fanno finta di non vedere l’evidente. “Non sono nella posizione per commentare”, è la non risposta del portavoce del presidente della Commissione, Josè Manuel Barroso, quando gli si fa notare che le manifestazioni di Damasco, Beirut e Teheran sono pilotate dai regimi al potere. “Non ho dichiarazioni ufficiali da fare perché, in quanto Unione europea, non siamo direttamente implicati in questa missione”, si giustifica la portavoce della commissaria alle Relazioni esterne, Benita Ferrero- Waldner, interrogata dal Foglio sul ritiro degli osservatori da Hebron. Eppure l’Ue finanzia con 300 milioni di euro l’anno l’Autorità palestinese, anche per pagare gli stipendi delle forze di sicurezza palestinesi che dovrebbero difendere gli europei. Invece, ad accorrere in soccorso, a Hebron, è stata la polizia di Israele. La Danimarca lasciata sola I deputati nazionali danesi lamentano l’assenza di solidarietà da parte dell’Europa e la sua politica del “wait and see”. Il tanto declamato dialogo con il mondo musulmano non funziona perché – spiega ancora Phares – “quelli che mobilitano la rabbia antieuropea sono gli stessi che dicono possiamo darvi la soluzione”. Così diventano “i consiglieri dei governi europei”. Il ministro degli Esteri europeo, Javier Solana, la prossima settimana farà una lunga visita in medio oriente, per dare “un segnale positivo” al mondo islamico, dicono fonti a lui vicine. Sarà in Arabia Saudita, Egitto, Territori palestinesi e Giordania e incontrerà i leader dell’Organizzazione della conferenza islamica, che è “l’interlocutore naturale” degli europei nella crisi sulle vignette. Neanche a parlarne di una richiesta di reciprocità, nonostante l’Europa abbia il diritto di denunciare gli accordi con alcuni di questi paesi per violazione dei diritti fondamentali e della libertà religiosa. “Il Consiglio europeo non pensa che sia questo il modo migliore per affrontare tale processo”, spiega al Foglio il presidente del Parlamento europeo, Josep Borrell. Dobbiamo “continuare con lo spirito di cooperazione”, dice Solana. Non sono le “scuse” richieste all’Europa dal leader di Hamas a Damasco, Khaled Meshaal, ma poco ci manca.
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