"Un miliardo di musulmani rifiuta lo scontro di civiltà". La buona notizia viene dal MANIFESTO, ce la danno Emanuele Giordana e Paola Caridi. Poi citano i leader di questo miliardo di moderati e ci sentiamo subito meno tranquilli: per esempio Yusuf Al Qaradawi, sul quale riprendiamo qualche informazione da Magdi Allam:
Stiamo parlando delle organizzazioni integraliste ed estremiste islamiche che, dai pulpiti delle moschee trasformate in centri di indottrinamento ideologico, hanno promosso una strategia di sottomissione delle comunità immigrate musulmane sfruttando abilmente l'ingenuità e la collusione degli europei. Coordinate da veri e propri centri di comando, tra cui spicca la «Unione internazionale degli ulema» con sede a Dublino, capeggiata guarda caso dal noto telepredicatore della tv Al Jazeera, lo sheikh Youssef Qaradawi. Il referente spirituale e giuridico dell'insieme dei Fratelli musulmani in Europa, posto anche alla guida del «Consiglio europeo della fatwa e della ricerca», anch'esso con sede a Dublino. Tra i 300 membri della «Unione internazionale degli ulema» figurano il mufti di Gerusalemme, Ikrima Sabri, e il presidente della «Associazione degli ulema musulmani dell'Iraq», Haris al Dhari. Tutta gente che, come hanno esplicitato in un comunicato del 19 novembre 2004, hanno legittimato «la resistenza, dentro e fuori l'Iraq, fino alla liberazione dell'Iraq», specificando che «è jihad difensivo che non necessita di un comando generale e che comporta l'obbligo della partecipazione di tutti». Tutta gente che plaude agli attentati terroristici suicidi che massacrano gli israeliani o gli occidentali in Iraq. Tutta gente che impartisce gli ordini dall'Europa, come quello che annuncia per oggi una «Giornata mondiale dell'ira» contro la pubblicazione delle vignette raffiguranti il profeta Mohammad (Maometto).
Per Giordana e Caridi, però, Qaradawi "rifiuta lo scontro di civiltà" perché vuole abrogare la libertà di espressione in Europa attraverso il boicottaggio economico, non bruciando consolati. Tutto bene, allora. Di seguito, l'articolo di Giordana e Caridi:
Qualche migliaio di scalmanati tra gli oltre un miliardo e trecento milioni di musulmani assalta e incendia le ambasciate, brucia le bandiere e promette vendetta contro l'Occidente per le vignette blasfeme. E poi c'è la maggioranza in gran parte silenziosa, quella che si è ritenuta oltraggiata dalle vignette pubblicate dal Posten, ma non ha scatenato nessuna rabbia scomposta. Suscitando forse qualche sorpresa, a mantenere la calma nella crisi delle vignette sono stati soprattutto i partiti islamisti. Quelli che, in questi ultimi anni, stanno spesso indossando il doppiopetto. Così, è il più importante sito web religioso del mondo, islamonline.net, a decidere la campagna mediatica per rispondere all'alzata di scudi che proviene da oltre Mediterraneo. Aprirà un sito in più lingue per spiegare ai non musulmani chi è stato Maometto e cosa rappresenta per i credenti, per sfatare anche ¡ dicono i responsabili del website che rappresenta l'islamismo moderato dal Maghreb alle Filippine ¡ gli stereotipi presenti in Occidente. L'iniziativa di islamonline.net è nel solco della presa di posizione del suo referente, Yusuf al Qaradawi, lo sheykh più famoso tra i telespettatori arabi, visto che tiene la sua rubrica su Al Jazeera. Proprio dagli schermi della tv di Doha, nel suo spazio Sharja e vita, Qaradawi aveva condannato senza mezzi termini le violenze contro ambasciate e simboli europei: «inaccettabili» e frutto dell'opportunismo di chi vuole gettare «benzina su fiamme già alte». Qaradawi è solo il più conosciuto tra gli sheykh che hanno distinto tra l'indignazione e gli strumenti per opporsi all'offesa contro l'islam.
Il gran imam di Al Azhar, Mohammed Sayyed Tantawi, ha chiesto di usare il boicottaggio delle merci danesi di fronte alle migliaia di studenti riuniti due giorni fa nel campus centrale dell'università teologica del Cairo. Come la Fratellanza musulmana egiziana, il più importante partito islamista di tutto il mondo arabo, attraverso le parole della sua guida suprema, Mohammed Mahdi Akef. Reiterate, ieri, dal suo vice, Khairat al Shater. «Non trasformate l'ira in uno scontro di civiltà», ha detto Shater, perché c'è chi vuole «accendere gli scontri tra le civiltà e le religioni, sperando di esercitare poi un dominio politico ed economico». È soprattutto il rapporto tra musulmani e cristiani al centro delle preoccupazioni degli islamisti. In Palestina, in particolare. Lo dimostra il modo in cui Hamas ha rassicurato le comunità cristiane a Gaza, proponendo la difesa delle chiese da parte delle sue milizie. Lo dimostrano le manifestazioni contro le vignette organizzate da musulmani e cristiani insieme a Betlemme e a Nablus.
Mentre dal Marocco il consiglio supremo degli ulema ha ringraziato il Vaticano per la nota in cui stigmatizzava le vignette danesi. All'altro capo del mondo c'è invece l'islam non arabo dei paesi musulmani più popolosi. Un migliaio di persone ha partecipato l'altro ieri a cortei in varie parti dell'Indonesia, e le proteste più rumorose si sono svolte a Giacarta, promosse dal Partito per la prosperità e la giustizia, che conta una quarantina di seggi ma è solo il sesto numericamente in parlamento. E le folle non superavano qualche centinaio di persone, in un paese di 220 milioni di abitanti. Tutto sommato, a parte le violenze della scorsa settimana, la protesta è rientrata, anche perché il presidente Yudohyono ha fatto di tutto nel week end per calmare gli animi. Condannando le vignette, ma suggerendo agli indonesiani di considerare le scuse ufficiali danesi.
Nella vicina Malaysia, dove la pubblicazione delle caricature sul Sarawak tribune hanno fatto dimettere chi le aveva autorizzate, il premier Abdullah Badawi, fautore del cosiddetto Islam Hadhari (islam tollerante), ha invitato alla calma con un messaggio molto morbido: «Lasciate che chi insulta si renda conto della gravità del suo errore che lui solo può correggere». E anche i leader del Parti SeMalaysiaas, islamisti favorevoli all'estensione della sharia nell'intero corpus giuridico del paese, avevano minacciato una lettera ufficiale di protesta al governo danese. Ma dopo le scuse ufficiali non l'hanno spedita. Chiudiamo con qualche editoriale. Sul Jakarta Post, l'opinionista liberal Endy Bayuni mette in guardia sull'associazione tra libertà d'espressione e vignette per non passare al campo avverso, infilandosi nel gioco del «chi non è con noi è contro di noi». E ricorda il caso dell'edizione locale di Playboy, bloccata dalle polemiche. Adesso, conclude, i fautori della censura hanno «un'arma in più». Nel subcontinente indiano, l'editorialista del Times of India Jug Suraiya scrive che l'intera vicenda gli appare come uno «scontro di fondamentalismi». Quello religioso opposto a quello secolare. Chissà se anche lui fa parte di quella schiera del cretinismo culturale di cui parlava ieri il direttore del Foglio. Per fortuna il Times of India ha 650mila lettori, il quotidiano di Ferrara qualcuno meno.
*Lettera22
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Manifesto.