Dal FOGLIO di mercoledì 8 febbraio 2006:
Gerusalemme. Israele nella Nato. In Italia è stato il ministro della Difesa, Antonio Martino, a proporne l’ingresso nell’Alleanza atlantica, per garantire la sicurezza in caso di un attacco iraniano. Sarebbe, come ieri non ha mancato di notare il Wall Street Journal, una reazione più solida del deferimento del regime dei mullah al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il cui esito è aperto. Nell’eventuale nuova condizione di membro Nato, ricorda Martino, Gerusalemme riceverebbe l’aiuto militare di tutti i paesi che partecipano all’Alleanza. Le sue parole non hanno tardato ad arrivare in Israele. Tuttavia, fonti interne al ministero della Difesa israeliano dicono al Foglio che non c’è nessuna decisione del governo in vista. “Siamo parte del Dialogo mediterraneo – un programma di collaborazione che oltre a Israele comprende Algeria, Egitto, Giordania, Marocco, Mauritania e Tunisia – e da sempre cerchiamo di rafforzare i nostri rapporti con la Nato, ma non abbiamo ancora nessun piano per entrare”. C’è un’associazione – l’Atlantic Forum on Israel – che raggruppa personaggi provenienti dal mondo universitario, politico e dei mass media interessati al mondo delle relazioni transatlantiche e all’avvicinamento del paese alla Nato. E’ stata fondata due anni fa dal professor Uzi Arad, del Centro interdisciplinare d’Herzliya. L’organizzazione è attiva anche a Bruxelles e in Israele ha ospitato un incontro con il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jaap de Hoop Scheffer, un anno fa. Arad, al telefono con il Foglio, è entusiasta della dichiarazione di Martino. “Sarebbe un vantaggio sia per la Nato sia per Israele lavorare insieme più da vicino”. Ma ancora non parla di entrare nell’Alleanza. Spiega che alcuni israeliani sono ancora troppo scettici a riguardo: temono che possa limitare la libertà d’azione d’Israele e non hanno fiducia in quei paesi europei che in passato non hanno mantenuto una posizione equilibrata nei loro confronti. Ma “ci sono sempre più persone che credono che il paese debba puntare a una membership completa”: compenserebbe l’instabilità creata da fattori come l’Iran, spiega. E concorda con il ministro Martino: “Invierebbe un segnale: attaccare Israele equivarrebbe ad attaccare l’Alleanza”. Sostiene che Israele dovrebbe interessarsi alla proposta, anche perché il paese ha da vendere la propria esperienza nei campi del controterrorismo, della lotta alla proliferazione nucleare e può rappresentare un fattore di stabilità nella regione. “Israele deve mirare a una più forte cooperazione, che punti a un eventuale ingresso” nella Nato. Racconta come, anche adesso, il paese stia negoziando per firmare un accordo di cooperazione individuale, che potrebbe arrivare tra poche settimane. Ammette però che si tratta ancora di un dibattito marginale, tra le élite politiche, lontano dalle pagine dei giornali e dagli schermi tv. Per ora, la discussione urgente sulla sicurezza si concentra sulla possibilità di ulteriori ritiri unilaterali. Il premier ad interim Ehud Olmert preme per fissare nel prossimo futuro i nuovi confini definitivi, e irrinunciabili, di Israele e per il rafforzamento della barriera difensiva. I maggiori insediamenti in Cisgiordania, ha detto ieri, saranno inclusi. L’ex ambasciatore israeliano in Italia, Avi Panzer, spiega come l’ipotesi Nato in passato sia già stata dibattuta, ma mai concretizzata. “Quando ci sarà una proposta reale, certamente Israele la prenderà in considerazione – ha detto al Foglio – l’idea è stata rilanciata da Martino, ma non abbiamo sentito altre voci o proposte formali da parte della Nato stessa”.
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