"Complotto ebraico" e negazione della Shoah: la jihad antisemita guidata da Teheran
Testata: Il Foglio Data: 08 febbraio 2006 Pagina: 1 Autore: Carlo Panella Titolo: «E' il jihad del nagozionismo a unire Teheran, Damasco, Beirut e Gaza»
Roma. L’ayatollah Ali Khamenei, guida della rivoluzione iraniana, ha compiuto ieri una nuova escalation fanatica sul caso delle vignette danesi su Maometto. Ha denunciato “mani diaboliche coinvolte in questa diabolica questione”, ha sostenuto che è “una cospirazione dei sionisti per provocare tensione tra musulmani e cristiani” e ha ribadito le sue tesi negazioniste sulla Shoah. Khamenei ha anche espresso pieno appoggio a Mahmoud Ahmadinejad circa la risposta iraniana nei confronti dell’Onu sul nucleare. L’Iran mira a prendere la leadership del movimento di protesta fondamentalista sul “caso danese” indirizzandolo su un terreno di grande presa nel mondo islamico. La denuncia del “complotto ebraico” trova oggi larghissimo ascolto popolare nell’islam e getta una nuova luce sulla dinamica degli incidenti di Damasco e di Beirut, evidentemente provocati dal regime Baath. La ragione di questa provocazione siriana è stata colta dalla coalizione parlamentare antisiriana libanese (le “Forze del 14 marzo”) che l’ha denunciata con parole nette e allarmate: “quegli incidenti rappresentano un inizio di colpo di stato da parte del regime siriano che mira a trasformare il Libano in un secondo Iraq”. Un pericolo serio e imminente a tal punto che gli stessi partiti antisiriani libanesi hanno chiesto l’immediato intervento del Consiglio di sicurezza dell’Onu per sventare i progetti di Damasco. Il fatto che soltanto in Siria e Libano, tra tutti i paesi arabi, i manifestanti siano riusciti nel loro intento di devastazione, assume dunque una luce sempre più sinistra, come ha notato anche il ministro degli Esteri italiano, Gianfranco Fini, che ha usato parole durissime nei confronti del governo siriano. E’ sempre più evidente che lo “scandalo delle vignette” è usato in maniera strategica dal nuovo asse politico Teheran-Damasco- Beirut-Gaza, che si è costituito negli ultimi due mesi e che comprende anche il mullah iracheno Moqtada al Sadr. Un asse che si è rapidamente definito a partire dall’esortazione del 25 ottobre scorso del presidente iraniano a distruggere Israele. Da quel giorno, infatti, Ahmadinejad, in pieno raccordo con l’ayatollah Khamenei, ha definito una catena di alleanze su più piani. Su quello della propaganda ha dato spessore e veleno all’antisemitismo islamico, affiancando al tradizionale antisionismo di Khomeini una martellante campagna di negazione della Shoah. Non soltanto Israele occuperebbe illegalmente una terra sacra all’islam, ma lo stesso Olocausto sarebbe una “menzogna degli ebrei”. Su questa parola d’ordine Ahmadinejad ha lanciato un vero e proprio “jihad negazionista”. Ha stretto un patto con Beshar al Assad, che ha incontrato a Damasco il 19 febbraio, su una politica comune sul Libano (tramite il “partito fratello” Hezbollah), sul nucleare e sulla Palestina. A Damasco Ahmadinejad ha incontrato anche il leader di Hamas, Meshaal Khaled e gli ha garantito pieno appoggio. Assad ha concordato in pieno con Teheran sul nucleare e ha delineato un percorso comune diretto contro il processo democratico in Iraq: “Il progetto iracheno sta fallendo e mira a destabilizzare il sentimento nazionale arabo”. Il preciso intento destabilizzatore nei confronti di Baghdad è stato perfezionato con gli onori di stato che Assad ha tributato il 6 febbraio a Damasco al ribelle filoiraniano Moqtada al Sadr. Definiti i campi di azione comune nei punti caldi della crisi mediorientale, il nuovo “asse del jihad” intende non soltanto omogeneizzare le politiche dei governi e dei partiti, ma anche lanciare al mondo musulmano un suo “Manifesto” che ha il suo punto di forza nel negazionismo dell’Olocausto, già patrimonio storico del Baath e di Hamas. Le minacce contro Israele lanciate da Ahmadinejad a ottobre non erano dunque casuali, ma puntavano a marcare una nuova strategia d’attacco. lettere@ilfoglio.it