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Il Manifesto Rassegna Stampa
07.02.2006 "I danesi se la sono cercata"
sostiene il quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 07 febbraio 2006
Pagina: 1
Autore: Bruno Amoroso
Titolo: «Ler adici del fallimento danese»

E' colpa della "pretesa" danese di assimilare gli immigrati di origine musulmana, della liberazione degli individui dai vincoli famigliari e del  "limite intollerabile ormai raggiunto dalla arroganza nazionalistica e occidentale contro le altre culture ed etnie" se oggi l'Europa è sottoposta all'attacco violento di chi vuole applicare la sharia sul suo territorio. E' la tesi delirante di Bruno Amoroso, in un articolo pubblicato dal MANIFESTO di martedì 7 febbraio. Ecco il testo:

Gli avvenimenti di questi giorni che dalla Danimarca si sono propagati rapidamente nel resto del mondo, islamico e no, rappresentano lo snodo di una situazione di sofferenze, insofferenze e ribellione che ha covato strisciante durante almeno un decennio, ma che la prepotenza delle politiche neo-liberali con la sterzata militarista dopo l'11 settembre ha portato all'esplosione attuale, e che è destinata a dare indirizzi radicalmente nuovi ai conflitti e alle politiche future.
Due segnali importanti del limite intollerabile ormai raggiunto dalla arroganza nazionalistica e occidentale contro le altre culture ed etnie sono stati la protesta di un folto gruppo di artisti, scrittori e intellettuali danesi di poche settimane fa.
Una protesta che denunciò la pericolosità della crescente campagna razzista contro gli immigrati, e gli islamici in particolare, sistematicamente sostenuta dalla maggior parte della stampa e dai partiti di governo, accompagnata dal mormorio ma non dalla protesta dei grandi partiti di «opposizione» del paese. A questa protesta il governo danese ha risposto con una serie di iniziative per valorizzare la «cultura» ed i «valori» cristiani ed occidentali del paese da introdurre nelle scuole, e con l'introduzione di nuovi criteri di ammissione alla cittadinanza danese per immigrati che oltre alla conoscenza della lingua e della storia comprendono anche la adesione convinta ai suoi valori «democratici» e «cristiani». Criteri di «esame di ammissione» che, come scrive Lars Bonnevie sul settimanale Weekendavisen (6-12 Gennaio 2006), «gli 800.000 analfabeti funzionali danesi avrebbero difficoltà a superare, ed il cui vero obiettivo è quindi quello di marginalizzare ancora di più i gruppi sociali già ai margini del sistema sociale e politico». A questo clima di provocazione il regista danese Lars von Trier ha risposto producendo un documentario che lo mostra mentre taglia con una forbice la bandiera danese, togliendovi la croce bianca «crociata» della cristianità che troneggia al suo centro, e ricucendo la bandiera che trasformata in bandiera rossa viene da lui issata al suono dell'internazionale. Appare infatti paradossale la posizione di questo paese che si richiama a principi liberali e laici quando deve criticare e ridicolizzare altri paesi e altre religioni, ma che è uno stato confessionale con una propria religione di stato, con al vertice la monarchia più antica di Europa, che amministra la chiesa nazionale con un Ministero della chiesa e con i «preti» funzionari pubblici, laureati alle università statali del regno. Osserva Lars Bonnevie nel citato articolo: «La costituzione danese è su punti centrali rappresentante di una comunità etnica premoderna, con la religione luterana come base ideologica, il cui capo politico è un monarca non eletto. Come può un immigrato, mussulmano o no, introiettare quelle parti di questa costituzione che marginalizza la propria identità culturale e religiosa, specialmente quando una parte non trascurabile degli stessi non-immigrati mostra di rifiutarla?» Un paese che è molto geloso della propria identità e dei propri valori e quindi molto distante da uno stato «laico» di tipo francese. Non a caso in questo paese esiste da un lato la «libertà di stampa», della quale tutti parlano, ma esiste anche una Legge che vieta la blasfemia contro altre culture e credi religiosi. Della prima si parla molto in questi giorni, della seconda il governo si è ricordato solo quando ha visto la propria economia andare incontro al fallimento.

Cosa c'è a monte di questi avvenimenti. Anzitutto il fallimento delle politiche di integrazione degli immigrati trasformate prima silenziosamente ed oggi imposte come politiche di assimilazione. Le immigrazioni in Danimarca sono sempre state ben controllate e monitorate. Lo sforzo di integrazione è sempre stato forte da parte dello stato e delle istituzioni in generale ma tradizionalmente attento al rispetto delle altre culture. Poi, con una accelerazione crescente, le cose sono andate cambiando. Perché ? Il processo di integrazione, aiutato anche economicamente e con l'istruzione dei giovani immigrati, ha fatto si che i giovani venissero spinti e attratti ad integrarsi attraverso la scuola e le varie forme di socializzazione. Loro provenienti da culture con forte legame famigliare, sono stati sospinti ad uscirne acquistando autonomia sul modello di autonomia e di consumo dei giovani danesi. Questo ha spesso prodotto rotture con la propria famiglia e processi di separazione (rottura delle tradizioni) anche dolorose sia per i giovani sia per le famiglie. Sembrava un prezzo da pagare per potersi integrare e divenire come i «danesi». Poi i giovani sono cresciuti, hanno terminato i loro studi e imparato un mestiere, e si sono accorti che i giovani danesi potevano tranquillamente rapportarsi alle loro famiglie con le quali le teneva legati un rapporto diverso e più elastico, ma sempre un rapporto, e trovavano più facilmente aperte le strade del lavoro, mentre loro, ancora portatori di volti e di nomi non scandinavi, si ritrovano con legami famigliari interrotti e di fatto respinti come estranei sia sul mercato del lavoro che in generale. Ovviamente questo clima si è accentuato con il nuovo «millennio». Da qui il crescere di un brusio di protesta, un loro ritorno alle loro famiglie e alle tradizioni dei loro padri, e la rabbia per non avere neanche riconosciuto il diritto alla costruzione di una moschea e del cimitero islamico dove seppellire i genitori (devono essere riportati al proprio paese).

A tutto ciò il governo danese ha reagito con la recente proposta di vietare alle famiglie islamiche di poter inviare i propri figli nei mesi estivi nelle scuole islamiche dei paesi d'origine, pena il rischio di espulsione di tutta la famiglia dal paese. Dopo l'11 settembre 2005 la pressione e il controllo su questi gruppi si è accresciuto e divenuto pesante. Se ne sono fatti carico alcuni giornali con alla testa lo Jullands- Postens, un equivalente tra il Giornale e La Padania in Italia, che riflette le culture cristiane fondamentaliste più settarie del profondo nord e che nell'aprile 2003 respinse come «offensive» vignette su Gesù Cristo proposte dal disegnatore umorista Christoffer Zieler come ha lui stesso raccontato ieri sul quotidiano norvegese Dagbladet. Per Jullands-Postens il punto politico di riferimento, una delle tre punte della coalizione di governo è il partito di destra che sostiene l'espulsione degli immigrati e le radici «cristiane» e «occidentali» della democrazia danese e che ha nel suddetto giornale il proprio punto di riferimento «culturale». Ma questa stretta contro le culture «altre» riguarda anche l'interno del paese. Tutta la tradizione di pensiero critico ed alternativo nata nel dopoguerra viene gradualmente demolita. Questo comprende le politiche di indipendenza e di sostegno ai movimenti di liberazione e ai paesi poveri, trasformate sempre di più in un totale appiattimento sulle politiche statunitensi e che vede la partecipazione dei danesi alle truppe di occupazione coloniale in Afganistan, Iraq, ecc. Ma anche il sistema sociale e dell'istruzione sono ormai allo sbando. La Repubblica di Cristiania, questo simbolo dell'utopia giovanile del `68, sopravvissuto sino ad oggi nel cuore di Copenhagen, è criminalizzato è militarmente occupato. L'esperimento dell'Università di Roskilde, pezzo importante del rinnovamento dell'insegnamento in Europa con i suoi «gruppi di studio», integrazione «ricerca-insegnamento», interdisciplinarietà, è in via di liquidazione, ed anch'esso ridicolizzato e criminalizzato. Perfino i siti di questa università dell'Università del Bene Comune ed il Centro Federico Caffè sono minacciati di oscuramento.

La cosa triste del tutto è che c'è una confusione totale in tutti i settori. Di fronte a quello che sta succedendo sinistra e destra si uniscono, invece di dividersi, in base al principio che chissà perché i valori da difendere sono comuni. Come se l'Occidente non avesse ancora capito che non è più lui a dettare legge nel modo e a fissare l'agenda dei lavori e dei dibattiti. E questo nella ipocrisia più totale. La libertà di espressione è quella che è, in Danimarca come altrove. Basti pensare a come hanno manipolato tutte le guerre e tutti i fatti importanti da secoli. E come quelle forme di espressione di libertà di stampa che vengono ricordate sono state in realtà operazioni pilotate per scontri interni al potere e non certo per spirito di libertà.

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