La gogna per chi critica l'islam, religione più uguale delle altre modeste proposte "laiche" e "progressiste" per tornare alla barbarie
Testata: La Repubblica Data: 06 febbraio 2006 Pagina: 1 Autore: Guido Rampoldi - Umberto Galimberti Titolo: «Chi fomenta il conflitto - Ma il sacro esige rispetto assoluto»
Mettere alla gogna (per ora in effige) chi, scegliendo di esercitare nei confronti dell'islam il diritto di critica e la libertà di espressione di cui secondo le leggi dovremmo godere nelle nostre società, danneggia e mette in pericolo l'Europa, esponendola alla furia della vendetta islamista. Per difendere i veri responsabili della violenza e per conservare le proprie illusioni ideologiche, fondate sull'ostinata negazione dell'aggressione fondamentalista contro le libertà delle società occidentali, Rampoldi è pronto a incolpare le vittime, i vignettisti e i giornalisti inseguiti dalle fatwa di morte, i direttori licenziati , forse anche gli arabi liberali che esortano l'Europa a non cedere perché hanno ben capito che sarebbero i primi ad avere tutto da perdere dalla chiusura di uno spazio di libertà e di laicità che è un bene per tutti, potenzialmente anche per chi vuole distruggerlo. E' pronto a indicare, simbolicamente, capri espiatori al mondo islamico, all'interno del quale invita a operare distinzioni alle quali in realtà non crede. Per lui i musulmani sono tutti intolleranti e potenziali violenti che bruciano ambasciate appena si sentono offesi. Capri espiatori simbolici, certo, nelle intenzioni di Rampoldi, ma sarebbe utile ricordare che coloro al cui odio li si vorrebbe indicare (i fondamentalisti e le folle che essi controllano) non sanno che farsene delle immagini. I loro nemici li vogliono sgozzare sul serio. L'uccisione in effige, per loro, è solo un prologo. Ecco il testo:
Allah-u-Akbar, avrebbe gridato l´adolescente turco che ieri ha freddato il sacerdote Andrea Santoro con un colpo di pistola. Allah è grande e l´Europa molto piccola. Investita da questioni enormi, sulle quali si gioca il nostro futuro prossimo e forse la storia di questo secolo, l´Unione fatica a trovare una comune linea d´azione, quella «voce sola» che Ciampi ieri chiedeva. Si direbbe anzi che ciascun governo torni alla vecchia abitudine di defilarsi, sperando che la tempesta diriga altrove, foss´anche sul vicino. Ma tentare di schivare i fulmini durante una burrasca non è il modo più sicuro per evitarli. Per cominciare sarebbe non solo un po´ indegno, ma anche controproducente, lasciare che la Danimarca se la sbrighi da sola. Il governo danese ha molte colpe, a cominciare da un´eccessiva tolleranza verso la destra xenofoba che, come adesso è più evidente, ha causato grande danno all´interesse nazionale e all´immagine del Paese. Ma è comunque Europa. Così ci pare piuttosto deprimente quanto è avvenuto venerdì a Londra, dove la polizia ha tollerato che un centinaio di nazisti islamici manifestasse davanti all´ambasciata danese con slogan e cartelli che promettevano alla Danimarca le vendette più sanguinarie. Scotland Yard ha aperto un´inchiesta due giorni dopo, ma nel frattempo le immagini e i messaggi di quel corteo avevano raggiunto tutto il mondo. Tuttavia non è con gli appelli alla "fermezza" che l´Europa può sostanziare una politica. Si tratta innanzitutto di intendere cosa sta accadendo. Crediamo sia corretto quel che diceva ieri il ministro degli Esteri danese: in Medio Oriente qualcuno vuole montare uno "scontro tra civiltà". Europei contro arabi. Cristiani contro musulmani. Ma davvero siamo così diversi da loro e così simili tra noi? Proviamo a capire. Poiché una civiltà è una cultura, e una cultura un sistema di valori e di comportamenti, dovremmo supporre che Castelli e Bertinotti, Scalfari e Previti, Bocca e Berlusconi, Luttazzi e il Papa, alla fine si assomiglino, condividano una base di valori e di comportamenti comuni: chiederemo agli interessati, ma ci pare improbabile. Ma anche non volessimo vedere lo "scontro tra civiltà" come un colossale imbroglio, è evidente esso non è un destino: piuttosto, un progetto politico. Non appartiene solo all´islamismo, ma anche a quelle destre europee che rovesciano tonnellate di disprezzo sugli immigrati dai Paesi musulmani, considerandoli tutti portatori d´una "civiltà" aliena, aggressiva, che si spalmerebbe dentro ciascuno di loro come il Dna d´una razza. In questo contesto "civiltà" e "razza" funzionano nello stesso modo. Ha avvertito nei giorni scorsi un sacerdote danese: «Provate a sostituire "musulmano" con "ebreo" (nei discorsi della destra radicale): il risultato è inquietante». L´estremismo islamico e la destra islamofoba sono nemici: ma sono anche alleati. L´uno è indispensabile all´altro: bisogna essere in due per montare uno "scontro tra civiltà". Infatti solo una simmetria di azioni e reazioni può devastare il territorio di mezzo, lo spazio del dialogo e della mediazione. Impedire che questo avvenga è, ci pare, una necessità assoluta per l´Europa. Non si tratta solo di difendere i principi elementari d´una democrazia liberale, per i quali che Caio sia musulmano, Tizio cristiano e Sempronio ebreo è rilevante quanto il fatto che l´uno sia biondo, l´altro castano e il terzo moro. Ma soprattutto è urgente disarmare chi vuole trascinarci in uno scontro suicida e vano. Parliamo anche di quei politici italiani che giocherellano da tempo con lo "scontro tra civiltà" sperando di ricavarne un utile politico. Non vorremmo che in campagna elettorale la tentazione diventasse irresistibile. La Danimarca forse è l´unico Paese al mondo che abbia dedicato un monumento ad un uomo che le arrecò grande danno. Corfitz Ulfeldt, genero del re Cristiano IV, nel Seicento vendette la patria per denaro. Sulla pietra nera che lo ricorda è scritto: «A sua vergogna, disprezzo e infamia». Ecco un costume molto civile che andrebbe ripristinato in tutto il continente, per ricordare chi, in circostanze per tutti noi decisive, nuocesse all´Europa e all´Italia per ricavarne un piccolo vantaggio politico.
Rozzi occidentali senza sensiblità, noi europei possiamo permetterci la laicità e la libertà di espressione sulle nostre religioni (se però poi qualche cattolico prova a offendersi quando vengono dileggiati Gesù Cristo, la Madonna o i santi, raffinati intellettuali come Galimberti lo accuserano immancabilmante di infantilismo spirituale) non su quelle dei musulmani ancora dotati di senso del sacro , i quali, , d'altro canto, sono storicamente troppo arretrati per comprendere i nostri principi di tolleranza ( se poi qualche musulmano quei principi li capisce benissimo, e anzi molto meglio di noi, dato che ha vissuto sulla sua pelle la loro negazione, e ci chiede di non abbandonarli , e di non tradirlo, occorrerà fare di tutto per ignorarlo, fingere che non esista finché il coltello di un fondamentalista non abbia provveduto a soffocare la sua voce fastidiosa) . Due pregiudizi di segno opposto in un colpo solo, e la più esplicita dichiarazione di resa all'islamismo che si possa concepire: stabiliamo che su cristianesimo ed ebraismo (ed eventualmente buddismo, animismo, ecc. ) la critica, la satira e l'oltraggio sono leciti, ma sull'islam no. Tutte le religioni sono uguali, ma una è più uguale delle altre (e se poi le altre religioni , per dimostrare di non aver perso, o di aver riacquistato, il "senso del sacro" che garantisce ai musulmani il diritto all'intolleranza, riprendono anche loro con i roghi e le notti di San Bartolomeo?)
Ecco l'articolo:
Jean Daniel concludeva, qualche giorno fa su questo giornale, il suo articolo La lezione di Voltaire con queste parole: «Le caricature del giornale danese possono essere condannate in nome dell´arte e della sensibilità, ma non si possono vietare in nome dei principi di civiltà». Non sono d´accordo, perché tra i principi di civiltà c´è anche l´assoluto rispetto delle religioni altrui. E quando dico "assoluto" mi riferisco al fatto che la religione, siccome affonda le sue radici nella parte pre-razionale di ciascuno di noi, dove è anche la matrice della nostra identità e della nostra appartenenza, se non vogliamo offendere questa matrice, nei confronti della religione propria e altrui dobbiamo avere tutti il massimo rispetto. Quanto poi alla sensibilità, la nostra è così rozza da non farci avvertire che il rapporto che noi occidentali laicizzati abbiamo con la nostra religione (cristiana) non è lo stesso che i musulmani hanno con la loro? Se, in occasione del Natale, un vignettista musulmano rappresentasse su un giornale arabo la nascita di Gesù su una piattaforma per l´estrazione del petrolio, invece che in una mangiatoia, noi, forse, per effetto della nostra laicità, ci limiteremmo a sorridere. Ma la laicità, che noi abbiamo guadagnato a fatica e non ancora del tutto da soli due secoli, non è ancora una conquista del mondo musulmano. E non è con le vignette che mettono in ridicolo il loro profeta che si accelerano i processi culturali e storici. Che reazione avrebbero gli ebrei se, in occasione di un´occupazione dei territori palestinesi, qualche giornale pubblicasse quelle terribili vignette, frequenti sulla stampa fascista e nazista, che denigravano gli ebrei? Quanto poi alla libertà di satira, a cui fa riferimento Vittorio Feltri su Libero e Giordano Bruno Guerri su Il Giornale, noi italiani, e soprattutto la parte politica che quei giornali sostengono, dopo l´allontanamento dagli schermi televisivi dei nostri uomini di satira, per non parlare dei giornalisti, dovremmo essere gli ultimi a metter parola. Lo stesso dicasi per la libertà di stampa. Che ne sappiamo davvero della guerra prima in Afghanistan e poi in Iraq, e delle carceri di tortura disseminate in Europa, oltre alle informazioni che ci provengono dall´amministrazione americana? Voltaire, ci ricorda Jean Daniel, ha scritto: «Non sono affatto d´accordo con ciò che dite, ma mi batterò fino alla morte perché nessuno vi impedisca di dirlo». Questo è senz´altro il nostro supremo principio di civiltà, ma ci siamo arrivati solo due secoli fa. Prima con le Crociate e poi con l´Inquisizione, ci comportavamo esattamente come si comportano con noi i musulmani. I processi storici sono lenti come i processi culturali che coinvolgono le matrici antropologiche dei popoli. Vogliamo lasciare anche ai musulmani il loro tempo? Pretendere reciprocità di comportamenti oggi significa non avere alcuna sensibilità in ordine ai tempi che i processi culturali e antropologici richiedono. Significa, direbbero gli studiosi di antropologia comparata: «Imperialismo culturale». «Gioca coi fanti e lascia stare i santi» dice saggiamente un proverbio popolare. Nel sacro, nel santo affondano, infatti, in modo pre-razionale, l´identità e l´appartenenza di un popolo. E proprio perché la matrice è pre-razionale non c´è argomento razionale che tenga. Per questo, come opportunamente ha scritto su Repubblica Piero Ottone, le religioni al massimo si discutono, ma non si dileggiano con vignette derisorie che, lungi dall´avvicinare i popoli e le culture, li provocano e li rendono ancora più nemici.
Di seguito pubblichiamo l'articolo di Ahmad Rafat "Le vignette europee e la libertà d'espressione", ripreso dal sito "arabiliberali". Ci sembra un ottima risposta alle tesi di Rampoldi e Galimberti :
La storia delle vignette sull'islam e il profeta Maometto, pubblicate prima dai danesi e poi dai giornali svedesi e francesi comincia ad essere preoccupante. La decisione di un editore francese di licenziare il direttore di una sua testata per aver pubblicato una vignetta, così come le minacce del nipote dell'Ayatollah Khomeini di far emettere qualche fatwa contro chi ha disegnato e chi ha pubblicato queste vignette, devono essere considerate minacce molto serie alla democrazia e alla libertà d'espressione. Senza voler entrare in merito alle vignette in questione, che secondo le diverse sensibilità possono essere considerate offensive o meno, non è ammissibile che nei paesi che si definiscono democrazie laiche e secolari, gli editori facciano marcia indietro per timore di ritorsioni da parte di gruppi terroristici come Al Qaeda, oppure di governi anti democratici e autoritari come la Repubblica Islamica e l'Arabia Saudita. Di questo passo , utilizzando l'arma della minaccia e del terrorismo, il fondamentalismo islamico riesce non solo a manipolare l'opinione pubblica nei paesi con regimi totalitari, ma imporre la sua volontà e i suoi codici morali anche a un mondo che continua a definirsi libero e democratico. La decisione di editori e di direttori di giornali europei di licenziare i propri direttori e di imporre il bavaglio ai propri redattori, è interpretato dai terroristi e dai fondamentalisti islamici, come una loro vittoria e un cedimento della democrazia in un Europa che vive con la psicosi degli attentati terroristici. Cedere sulle vignette danesi, che personalmente non trovo nemmeno dei capolavori di satira, significa abbassare il prezzo che le democrazie sono disposte a pagare per difendere le libertà conquistate con anni di dura lotta e con grandi sacrifici. La rimozione del direttore del quotidiano francese per aver deciso di pubblicare una vignetta sull'islam, contiene un messaggio deprimente per chi nei paesi islamici si batte per la democrazia e la libertà d'espressione. Un giornalista iraniano o saudita, siriano o libico, che vive dietro alle sbarre per aver tentato di esprimere le proprie opinioni, e che considera l'Occidente il baluardo delle libertà civili ed individuali, si sente completamente abbandonato e indifeso vedendo l'Europa incapace, di resistere alle minacce del fondamentalismo e dell'autoritarismo arabo-islamico, e di difendere i propri giornalisti dagli attacchi di gruppi, persone e governi anti democratici. La difesa della libertà d'informazione e d'espressione in Occidente, che non significa, come vorrebbero far passare i governi e i gruppi autoritari, la condivisione delle opinioni espresse da un individuo o da un giornale, ma semplicemente il riconoscimento del valore del pluralismo, è forse l'aiuto più efficace che il mondo libero può fornire a chi combatte contro il fondamentalismo e per la democrazia.
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