La STAMPA di lunedì 6 febbraio 2006 pubblica in prima pagina un editoriale di Boris Biancheri che riportiamo:
Non uno delle migliaia di manifestanti che due giorni fa hanno assalito le ambasciate di Danimarca e Norvegia a Damasco e che ieri hanno incendiato quelle di Beirut o sono scesi in piazza al Cairo e a Nablus, non uno solo di loro aveva visto in realtà le vignette pubblicate dal quotidiano danese. L'indignazione e la rabbia popolari esplose in questi giorni sono il frutto di predicazioni di capi religiosi e politici e di quanto è apparso nei media di paesi dove è ben difficile che radio, stampa e televisione si muovano senza l'assenso o almeno l'indifferenza del potere. Sarebbe un errore chiudere gli occhi, come si fa quando non si sa cosa altro fare. Le manifestazioni di questi giorni, che a Beirut hanno investito anche case, chiese e negozi dei quartieri cristiani della città e che forse hanno avuto nell'uccisione di un prete in Turchia l'episodio più grave, sono le punte estreme di un sentimento di frustrazione e di rancore contro l'Occidente che anima una parte non indifferente del mondo islamico. Va anche detto che tale sentimento ha trovato negli ultimi tempi un alimento nelle vicende politiche e nell'azione di alcuni governi. Vediamone qualche passaggio.
Più di quattro mesi fa, un giornale danese pubblica delle vignette che scherniscono la figura del Profeta Maometto. Dico per inciso che ritengo personalmente inammissibile che nel nostro sistema di valori simili pubblicazioni possano essere sanzionate dalla legge, ma che ritengo anche che le caricature in questione fossero inutili, odiose e politicamente da evitare. La stampa danese non è certo letta internazionalmente, ma in Danimarca esiste una comunità islamica cui le vignette non possono essere sfuggite. Il fatto tuttavia non produce reazioni immediate.
Tra fine ottobre e novembre il Presidente iraniano Ahmadinejad pronuncia dei discorsi in cui disconosce il diritto all'esistenza di Israele e nega l'olocausto e, malgrado lo scalpore suscitato, ripete le sue affermazioni più volte. Il 10 gennaio l'Iran riafferma il suo diritto, malgrado il trattato di non proliferazione, di possedere l'arma nucleare e toglie i sigilli messi dall'Agenzia dell'Onu alla centrale dove erano effettuate le ricerche sull'arricchimento dell'uranio. Apre così una grave crisi che coinvolge l'intera comunità internazionale e di cui oggi è impossibile prevedere gli sviluppi. Pochi giorni dopo Hamas, un'organizzazione terroristica che si è evoluta in forza politica, ottiene dal voto popolare la maggioranza assoluta nel parlamento palestinese, nella costernazione dell'America e dell'Europa. Pochi giorni ancora e le caricature danesi vengono riesumate e il furore si riaccende in tutto il mondo islamico.
Sarebbe forse ingenuo e forse errato cercare un unico filo conduttore. L'Islam è politicamente una galassia di tendenze e movimenti diversi che non soltanto dividono il cosiddetto Islam moderato da quello fondamentalista e radicale ma che si contrappongono anche all'interno di quest'ultimo. Al Qaeda, per esempio, rimprovera a Hamas di aver accettato di passare attraverso un processo democratico per arrivare al potere, mentre l'Alleanza dei Fratelli Musulmani, che vanta milioni di aderenti in tutto il mondo, accoglie la vittoria di Hamas come il maggiore evento dell'Islam dopo l'avvento di Khomeini in Iran. Questo universo articolato ha però nella fede religiosa e nella legge che ad essa si ispira una formidabile ragione di coesione e di unità. Di fronte ad esso, il mondo non islamico, che è accomunato dai valori della diversità, della libertà e dei diritti dell'individuo, non trova strategie appropriate. La differenza di opinioni tra intellettuali, politici e uomini di fede in merito alla vicenda delle caricature e della libertà di stampa, ne è una prova.
Auguriamoci che non sia ancora una volta, come lo fu l'11 settembre, la violenza a imporci l'unità. Auguriamoci anche che l'uccisione del prete romano mentre pregava in una chiesa a Trebisonda, non sia un nuovo segno, come lo fu quello dell'uccisione di Theo Van Gogh, che la via della conciliazione e della convivenza si fa sempre più difficile e faticosa.
A pagina 5 Maurizio Molinari intevista Fuad Ajami, direttore degli Studi mediorientali alla John Hopkins University:
«Quanto avviene sulle vignette danesi ricorda l'odio contro Salman Rushdie». Nato a Beirut, direttore degli studi mediorientali alla John Hopkins University ed appena tornato da un viaggio in Iraq, Fuad Ajami chiede all'Europa di «svegliarsi» e prendere atto che l'assalto ai consolati «svela il rigetto della modernità».
Da dove viene quest'odio?
«Viene da un teppismo, una violenza popolare che i governi arabi tollerano quando non incoraggiano. Quanto sta avvenendo ricorda l'ondata di intolleranza che si riversò contro lo scrittore Salam Rushdie colpevole solo di aver scritto "Versetti Satanici"».
Che cosa c'è in comune?
«Il fatto che i musulmani non accettano la modernità e che quelli residenti in particolare Europa non condividono i valori delle società dove vivono. Vi sono andati a risiedere per fuggire dal fallimento economico ed all'oppressione nei Paesi di origine ma non vogliono accettare la logica della società moderna, pluralistica. Non riescono a capire i valori sui quali l'Europa è fondata e quindi a comprendere che il premier danese non è responsabile per le vignette che vengono pubblicate sui giornali. Vengono da società gerarchiche come la Siria e Algeria e ragionano come se vi si trovassero ancora. Questi immigrati musulmani hanno un problema: vivono nel cuore delle società moderne ma non ne fanno psicologicamente parte. In cuor loro non aspettano altro che ricevere delle offese per scatenare la rabbia contro chi li ha accolti. In questo c'è però anche una responsabilità dell'Europa perché lo stato sociale garantisce a tutti il cibo ma non il lavoro e la disoccupazione fomenta la rabbia, come abbiamo visto in Francia».
Cosa ha pensato vedendo i saccheggi dei consolati scandinavi nella sua Beirut?
«Ho visto in tv queste immagini dei teppisti. Sono le stesse persone che fra una o due settimane, quando a riflettori spenti, torneranno negli stessi consolati per chiedere visti di immigrazione dicendo di aspirare a vivere in Scandinavia. Da un lato c'è il bisogno del mondo esterno ma dall'altro non lo si rispetta. E' una confusione immensa che nasce dall'ipocrisia, descrive come l'Islam si trova alla periferia della modernità ma non ne fa parte. Non basta il proliferare dei siti Internet per essere moderni se manca la volontà di comprendere che mentre l'Islam bandisce la rappresentazione del profeta Maometto altre culture non lo fanno».
Cosa prevede, quali saranno le conseguenze dei disordini anti-europei?
«Prevedo che ci saranno molti altri incidenti simili. Siamo solo all'inizio. Le occasioni di attrito fra Islam e modernità non mancano, ogni giorno. Ed i leader dei gruppi fondamentalisti, a Baghdad o Stoccolma, sono pronti a coglierle per rafforzarsi politicamente, fare proseliti e raccogliere donazioni».
Perché vi sono stati molti attacchi contro i cristiani?
«Abbiamo visto attacchi contro le chiese in Iraq, contro i cristiani in Libano e bandiere danesi e norvegesi - che hanno la croce nel mezzo - date alle fiamme a Fallujah, dove i problemi veri della gente sono la carenza di acqua e luce. E' ora che gli europei si sveglino. Per troppo tempo hanno pensato che la rabbia dell'Islam fosse solo antiamericana o antiebraica. L'Europa si è illusa di poter rimanere neutrale nella guerra in atto fra l'Islam e l'America. Ma questa è una guerra contro la modernità ed è la geografia che destina l'Europa ad essere il campo di battaglia, non si può fuggire».
Come giudica le reazioni dei leader occidentali?
«Hanno delle evidenti responsabilità per quanto avviene. Prendiamo ad esempio l'ex presidente americano Bill Clinton che dal Qatar si è affrettato a condannare le vignette. Ma cosa stava facendo Clinton in Qatar? Posso tentare di indovinare perché anche a me è capitato di essere invitato alla stessa conferenza: Clinton stava lì a prendere soldi in cambio di un discorso. E per prendere soldi nel Golfo Clinton ha commesso uno sbaglio. Avrebbe dovuto invece parlare con franchezza agli arabi, dire "le vignette sono state un errore ma per vivere in una società moderna dovete essere pronti a ricevere delle offese, non potete vivere ad Amsterdam come se vi trovaste a Ramallah, se non accettate di avere un insegnate omosessuale a scuola non potere immigrare in Danimarca perché immigrare significa assimilarsi". Sono molti i leader europei che non hanno mai chiesto con franchezza agli immigrati di assomilarsi, di adattarsi alle leggi nazionali vigenti».
Come reagisce il mondo arabo?
«Ci sono molte voci a favore della modernità. C'è ad esempio chi chiede agli egiziani di pensare non alle vignette pubblicate da un giornale danese ma al fatto che nell'assai più prossimo Mar Rosso una barca in difficoltà è stata abbandonata dal capitano egiziano mentre oltre mille persone sono morte affogate. E' una finestra sulla società egiziana, un sintomo del declino morale e professionale che è in atto. Ma cosa è più facile: tirare sassi per dimostrare l'amore per il profeta Maometto o comprendere i motivi di un dilagante malessere sociale?».
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