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L'Espresso Rassegna Stampa
03.02.2006 Perché l'islam non riesce a fare i conti con la modernità
intervista allo storico Dan Diner

Testata: L'Espresso
Data: 03 febbraio 2006
Pagina: 114
Autore: Stefano Vastano
Titolo: «L'Islam ha perso la parola»

L' Espresso di venerdì 3 febbraio 2006 pubblica un'intervista sulla crisi del mondo islamico allo storico Dan Diner:

Il tempo? Fermo al Medioevo. Il linguaggio? Solo quello sacro, che serve per pregare non per comunicare, scrivere grandi opere di narrativa o discutere delle questioni scientifiche. E mancanza totale di un'etica di scoperta, o se volete della semplice curiosità. Non è colpa degli europei, dell'Occidente, del colonialismo e della sua eredità, la crisi profonda, anzi la stagnazione culturale in cui versa il mondo arabo in particolare e quello islamico in generale. Questa è la radicale tesi di Dan Diner, professore di storia all'Università di Lipsia e in quella di Gerusalemme, esposta in 'Versiegelte Zeit' ('Il tempo sigillato'), un libro uscito in Germania. Diner, 59 anni, ha un passato di militanza a sinistra, mai rinnegato, è amico dell'ex ministro degli Esteri, il verde Joschka Fischer, ed è considerato uno dei maggiori storici del Novecento (in italiano ha pubblicato con Garzanti e con Utet). Nel 'Tempo sigillato', un'opera nata durante la sua permanenza alla School for Advanced Studies di Princeton, tempio e fucina del pensiero liberal (e lì che lavora Michael Walzer), dice una cosa politicamente assai scorretta: "Il mondo arabo è dominato da una cultura arcaica volta al passato, all'ubbidienza come massima virtù, alla rassegnazione, e pertanto incapace di fare i conti con la modernità". In questa intervista con 'L'espresso', prima di entrare nel merito del suo libro (che uscirà pure in arabo), precisa: "Il mondo arabo non va combattuto ma aiutato a cambiare". Ed elenca alcuni dati: "Dal 1980 e fino al 2000 sono stati registrati, nei paesi arabi, 370 brevetti tecnologici (nello stesso ventennio, 8 mila in Israele e 16 mila in Corea). Gli investimenti in ricerca fanno lo 0,2 per cento del Pil dei paesi arabi. E i titoli di nuovi libri pubblicati sono meno di 2 mila l'anno".

Professor Diner. È in crisi 'il sapere' nel mondo arabo?

"È in crisi la produzione e la distribuzione del sapere come lo intendiamo nelle società occidentali. I dati che ho citato, raccolti annualmente dall''Arab Human Development Report', registrano la stagnazione intellettuale nel mondo arabo. Un mondo che non produce niente di significativo per motivi inerenti alla sua cultura e storia, e non per colpe del retaggio coloniale, come invece vogliono commentatori terzomondisiti".

Però non è un deserto. Uno scrittore egiziano, Nagib Mahfuz, ha avuto il Nobel per la letteratura...

"È invece altamente improbabile che il Nobel per la fisica o la chimica vada a scienziati nel mondo arabo. E sa perché? Perché mentre uno scrittore della qualità di Mahfuz può produrre letteratura in perfetto isolamento culturale, la scienza e la tecnica hanno bisogno di una comunità di ricercatori, e del sostegno di una società che favorisca la curiosità. Ed è questo tipo di società che manca nel mondo arabo".

Nel suo libro lei dice che questo handicap culturale ha a che fare con la fonte primaria di ricchezza di quei paesi: l'estrazione del petrolio.

"Spesso si tende a dimenticare ciò che Marx aveva capito della ricchezza trovata in natura: incentiva il consumo di beni prodotti altrove, ma non l'investimento per l'invenzione e la produzione di quei beni in loco. Ora, a partire dagli anni '60, sono gli Stati a elargire la ricchezza estratta, ma non creata, ai sudditi. I sudditi quindi dipendono dallo Stato, in genere autoritario. Di conseguenza anche il petrolio impedisce la formazione di una società civile e contribuisce alla prima causa del ritardo del mondo arabo: la mancata separazione, fra sfera pubblica e privata, fra Stato e società, come avviene invece in Occidente".

Non sta giudicando la società araba alla stregua di quei parametri occidentali tacciati da Edward Said nel suo famoso saggio 'Orientalismo', di mentalità colonialista?

"Non ho mai creduto alla tesi per cui il ritardo del mondo islamico sia un prodotto dell'epoca coloniale. È un'idea che si sposa con le teorie sulla presunta congiura dell'Occidente a spese dell'Oriente, e fornisce le armi a chi pensa che i valori occidentali come libertà, diritti umani, diritti delle donne sono solo di facciata, e sono equipollenti alle idee opposte degli integralisti islamici".

Cosa trova di sbagliato in questa tesi?

"Il fatto che nessuna di queste teorie è in grado di spiegare perché, ben prima dell'epoca coloniale, il mondo arabo si sia arrestato senza sviluppare una cultura sociale ed economica della modernità. Né come mai invece un paese come l'India, pur con i suoi 150 milioni di musulmani e sottomesso com'era all'Impero britannico, sia riuscito a differenza della stagnazione araba a sviluppare un'incredibile dinamica produttiva e tecnologica".

Qual è, allora, la sua diagnosi sulla crisi del mondo arabo?

"La mia analisi è che la crisi nasca per l'appunto all'interno della stessa storia e cultura araba, dominata da una forte presenza di ciò che io chiamo 'la cultura sacrale'. E che, al di là di ogni specifico dogma, rito o liturgia religiosa, impregna l'intera vita culturale e quotidiana dei paesi arabi".

Prima di addentrarci nelle questioni del sacro, cosa si sa in Oriente della cultura occidentale?

"Poco o niente. E anche questo totale disinteresse per la cultura altrui è risultato non tanto di dogmatismo religioso, quanto di concrete e precise costellazioni storiche".

Quali?

"La mancata scoperta dell'America, per esempio. Mi spiego: dopo la conquista di Costantinopoli nel 1453, l'impero ottomanno è allo zenit. E gli europei sono costretti, per arrivare ai mercati indiani, a conquistare il Nuovo Mondo. Ma la scoperta dell'America lascia del tutto indifferente il mondo islamico di allora: è questo disinteresse per la novità storica uno degli aspetti centrali della cultura sacrale di cui parlavo. Tempo profano della storia e l'eternità del sacro si elidono a vicenda".

Vuol dire che, nelle cultura islamica, manca la storia e il tempo?

"Voglio dire due cose. La prima: nel mondo islamico, ma sarebbe dire meglio in quello arabo (perché nell'Islam ci sono eccezioni) di oggi manca ogni istituto di cultura occidentale. La seconda: nelle società arabe manca pure ogni etica della scoperta. L'uomo perfetto nell'orizzonte islamico arabo è colui che si sottomette senza riserve alla legge divina. Ècco perché l'invasione del sacro, che impedisce lo sviluppo di un pensiero moderno, non riguarda solo la sfera politica, ma soprattutto quella della lingua e quindi della comunicazione quotidiana".

Che c'entra la questione della lingua con quella del ritardo storico dei paesi arabi?

"C'entra. Vede, nel mondo islamico non ci sono, a eccezione di Pakistan e Turchia, alternative alla lingua araba. Una lingua che vale tanto per la comunicazione quotidiana quanto, e soprattutto, come lingua sacra del Corano. La consegeunza di questo stato di cose è devastante: la mancata disgiunzione, come avviene invece in Europa, fra arabo come lingua vernacolare e l'arabo come lingua sacra. Ora, siccome il sacro aderisce direttamente alla lettera del testo, ogni attacco alla lingua è sentito come un oltraggio a dio".

Dove vuole arrivare?

"Alla ragione del fatto che la cultura della traduzione letteraria è poco diffusa nei paesi arabi. E che anche la letteratura, la narrativa pone dei problemi".

Perché?

"Prima di tutto a causa del rifiuto dell'innovazione. Sono passati 300 anni prima d'introdurre nei paesi arabi l'invenzione di Gutenberg: i libri a stampa. Un disinteresse più radicale ancora di quello avuto nei confronti della scoperta di Colombo: nel mondo i-slamico si temeva che la riproduzione dei libri attentasse, come direbbe Walter Benjamin, all'aura sacrale della lingua. È questa paura di contaminare la lingua sacra che ha fermato per tre secoli la riproduzione e la circolazione del sapere nel mondo arabo. Il sacro timore della galassia Gutenberg (che scatenò in Europa la Riforma), ha frenato lo sviluppo storico in quei paesi. Da allora Oriente ed Occidente - l'uno con una società civile che riproduce e dissemina sapere, l'altro senza - corrono su due binari temporali contrari".

Parlava prima della mancanza di una lingua volgare e dei problemi con la narrativa. Quel che è davvero mancato al mondo arabo è dunque un Dante e il suo 'De vulgari eloquentia'?

"Sì. È vero che la lingua araba s'è evoluta nel senso di una differenza fra l'arabo- 'alto' orientato alla lingua scritta e il 'colloquiale'. Ma quest'ultimo ancora oggi non può essere scritto. Ed è anzi sentito, persino da un premio Nobel come Mahfuz, come inautentico e povero. Ecco come ancora oggi grava sulla lingua quotidiana la metafisica del sacro".

Torniamo all'idea di storia, delle scoperte scientifiche e dei progressi sociali: non hanno alcun senso queste categorie all'interno della cultura islamica araba?

"Per uno storico e antropologo come Ibn Khaldun, autore intorno al 1400 del famoso 'Libro degli esempi', l'unica linea di senso rinvenibile negli eventi umani è quella della circolarità o ripetizione della storia. Circolarità come modello antropologico, ossia di nascita e tramonto di dinastie dispotiche; e ripetizione secondo il modello religioso dei tempi originari del profeta: questo il cosmo storiografico entro cui, nella tradizione araba, la storia fa senso".

C'è posto per l'utopia nell'universo islamico?

"Sì. Ma è l'utopia come una clessidra rovesciata: il ritorno ai 33 anni di Maometto e agli anni dei quattro seguenti califfi. Sono i circa 80 anni all'origine dell'Islam che formano l'utopia come unità assoluta fra la vita e la legge religiosa. È questa perfetta sintonia del singolo individuo sotto la legge, non la sua libertà, il sogno metastorico dell'Islam".

Nella storia delle religioni monoteistiche è l'Islam quella più legata al valore assoluto della legge?

"Sì, perché nel cristianesimo è la persona del Cristo a mediare fra l'individuo e Dio. Nell'ebraismo è stata la diaspora, per fortuna, a rappresentare la mediazione con altre leggi e costumi. Il mondo islamico invece è pre-moderno anche nel senso che la storia non ha scalfito la sacralitá della sua legge, né ha intaccato la sua lingua".

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