Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Il pericolo Hamas e la situazione politica palestinese una cronaca scorretta
Testata: Famiglia Cristiana Data: 03 febbraio 2006 Pagina: 0 Autore: Gugliemo Sasinini Titolo: «Rivoluzione Hamas»
Famiglia Cristiana del 5 febbraio, nel numero on line, pubblica un articolo di Guglielmo Sasinini intitolato “ Rivoluzione Hamas”.
Il giornalista analizza in maniera corretta la situazione politica palestinese all’indomani delle elezioni che hanno visto salire al potere il gruppo terroristico di Hamas: una formazione integralista, responsabile negli ultimi anni di 40 attentati in Israele che hanno causato la morte di oltre trecento civili, che predica la distruzione dello Stato di Israele ed esalta le stragi compiute dai kamikaze.
La loro schiacciante vittoria rischia di aprire inquietanti scenari in Medio Oriente.
Ecco il testo:
Ramallah, "capitale" laica di uno Stato che per il momento non c’è, non si è ancora ripresa dallo sconcerto seguìto alla vittoria del blocco islamico di Hamas, che alle elezioni politiche si è aggiudicato 76 dei 132 seggi del Parlamento. Una clamorosa rivoluzione degli equilibri palestinesi, dalle conseguenze ancora incalcolabili. L’Olp (l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, creata da Arafat) praticamente sparisce dalla scena. Mentre gli integralisti islamici – che predicano la distruzione dello Stato di Israele, esaltano gli attentati kamikaze, non hanno mai accettato il processo di pace, né sono interessati ad alcun negoziato con Israele – ora possono sventolare le loro bandiere verdi sul palazzo del Parlamento palestinese. I sostenitori di Al-Fatah (il movimento storico palestinese arafatiano) li guardano con umiliazione e rabbia. I nuovi dirigenti di punta di Hamas sorridono sornioni, e rilasciano dichiarazioni ambigue. Khaled Mashal, il leader di Hamas rifugiato a Damasco, manda a dire che «è ancora, più che mai, il momento della lotta armata». Mahmoud Zahar, leader clandestino nei Territori, ha dichiarato che i gruppi di fuoco manterranno la tregua, «se Israele non li attaccherà». Saeb Erekat, il capo della Commissione palestinese incaricata dei negoziati con Israele, è sconcertato: «La nostra vita non sarà più la stessa, non sappiamo cosa ci aspetterà, né quali sono le reali intenzioni dei vincitori». Dice "vincitori" Saeb Erekat, come se il solo nome di Hamas fosse per lui impronunciabile. «Comunque ha dell’incredibile che chi considera morto e sepolto tutto ciò che noi, faticosamente, abbiamo costruito in quindici anni di negoziati oggi possa considerarsi il rappresentante del popolo palestinese. Per carità, le elezioni sono state vinte democraticamente, non voglio insinuare nulla, ma il processo di pace tra palestinesi e israeliani richiede atteggiamenti prudenti e responsabili da entrambe le parti. E anche la nostra parte deve ammettere che ha delle gravi responsabilità». È innegabile che la corruzione imperante nei ranghi più elevati dell’Autorità nazionale palestinese e la "distrazione" di milioni di dollari provenienti dagli aiuti internazionali (1 miliardo di dollari l’anno solo da Stati Uniti e Unione europea) e dalle tasse sul petrolio, che Arafat provvedeva a dirottare sui suoi fondi neri, hanno alimentato un malcontento diffuso tra la popolazione palestinese che è confluito nell’appoggio massiccio al blocco islamico. Di certo, Israele non è disposto a trattare con un primo ministro di Hamas e con un’organizzazione terroristica che invoca la sua distruzione. Altrettanto sicuramente l’Egitto e la Giordania guardano con preoccupazione alla vittoria del blocco islamico, filoiraniano e con forti appoggi in Siria. Hamas, l’organizzazione creata nel 1973 dallo sceicco Ahmed Yassin per occuparsi dei palestinesi, costruire cliniche, asili, scuole, fornire un’educazione ai bambini, agli inizi poté contare sull’appoggio non irrilevante che proprio Israele gli fornì, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, nel tentativo di creare un contrappeso al potere dell’Olp di Arafat. Nel tempo, però, Hamas ha mutato atteggiamento, alleandosi con le frange integraliste palestinesi islamiche, scavalcando la componente degli intellettuali cristiani all’interno dell’Olp, stringendo alleanze con i Fratelli Musulmani egiziani, gli Hezbollah libanesi, gli iraniani, la Siria. Dopo l’11 settembre 2001, Hamas è entrata ufficialmente nella lista nera delle organizzazioni terroristiche, ma già molto prima di quella data gli attacchi suicidi erano diventati la principale arma dell’organizzazione dello sceicco Yassin. L’Unione europea, che nel settembre 2003 aveva respinto la distinzione tra ala politica di Hamas e ala militare, ora dichiara che non vi può essere alcuna tolleranza nei confronti di un movimento fondamentalista e che è inaccettabile detenere il potere politico e proseguire nella violenza terroristica. La comunità internazionale tenta in queste ore di far capire ad Hamas che se vuole essere un interlocutore deve riconoscere il diritto all’esistenza di Israele e, quindi, riprendere immediatamente la strada del processo di pace. In Israele ribaltano la questione. «Ora sono loro», dice un esperto strategico di Tel Aviv, «ad avere bisogno di noi. O riconoscono lo Stato ebraico e, quindi, gli accordi di Oslo, o nessun Governo sarà disposto a dialogare mai con un primo ministro di Hamas. Nel 1995 nessuno dei negoziatori avrebbe potuto immaginare che Hamas undici anni dopo non solo avrebbe partecipato al voto (nel ’96 aveva boicottato le urne proprio perché ripudiava Oslo e l’Autorità palestinese), ma che avrebbe addirittura vinto». E intanto, l’esercito israeliano, quello giordano e quello egiziano, così come i rispettivi servizi di sicurezza, hanno decretato lo stato di massima allerta. Il timore che Hamas "brindi" alla sua vittoria politica con un’escalation terroristica è più fondato che mai.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione di Famiglia Cristiana