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Europa Rassegna Stampa
02.02.2006 Non dare soldi ad Hamas diventa un regalo ad Hamas
le acrobazie logiche del quotidiano della Margherita

Testata: Europa
Data: 02 febbraio 2006
Pagina: 1
Autore: Sergio Marelli
Titolo: «L’embargo della solidarietà premia Hamas»

Sergio Marelli, presidente dell'Associazione delle Ong italiane , perora su Europa di giovedì 2 febbraio 2006 la causa degli aiuti all'Anp, con o senza Hamas, con o senza riconoscimento di Israele, con o senza terrorismo. L'argomentazione centrale è che la sospensione degli aiuti rafforzerebbe Hamas, lasciandola come unica fornitrice di servizi essenziali alla popolazione palestinese. Ci sembra che Marelli dovrebbe cercare una scusa migliore. Non deve essersi accorto infatti che ormai si discute delle opzioni in vista della conquista del potere da parte di Hamas. Se questo scenario si realizzasse per operare nei territori dell'Anp anche le ong e le società benefiche che finora hanno "rifiutato ogni collateralismo" con il gruppo terroristico (non tutte, come provano recenti vicende giudiziarie) non potrebbero continuare a  fare altrettanto.
Ecco il testo:

  La preoccupazione per gli esiti elettorali dello scorso 25 gennaio nei Territori palestinesi paradossalmente si riscontra nell’intera comunità internazionale, fatta eccezione per l’ormai consueta assurdità delle dichiarazione dell’iraniano Ahmadinejad, tanto quanto negli stessi leader del movimento vincitore di Hamas. La schiacciante maggioranza ottenuta ai seggi, pone oggi Hamas di fronte alla prospettiva dell’assunzione della responsabilità di governo, non prevista e senza probabilmente disporre delle competenze e della preparazione adeguate. Tanto che nei giorni scorsi, alcuni suoi dirigenti hanno p u b b l i c a - mente confermato la volontà di «imparare in fretta », riconoscendo quindi la difficoltà di interpretare adeguatamente il nuovo ruolo.
Questa nebulosità insieme ai ben noti principi politici del movimento, tra tutti il rifiuto del riconoscimento dello stato di Israele e il ricorso alla lotta armata ed al terrorismo, ha immediatamente suscitato una inevitabile reazione della comunità internazionale, già concretizzata dall’Unione europea con la decisione di congelare gli aiuti internazionali subordinandoli ad una inequivocabile inversione di rotta da parte di Hamas. Una decisione condivisibile quanto scontata. Ma che nel concreto porta alla sospensione, sempre che i nuovi leader palestinesi non proseguano nella linea annunciata di ricorrere a sostegni finanziari alternativi, dei 500 milioni di euro che annualmente la Ue riversava nelle casse dell’Anp, consentendo la sopravvivenza di quel 20 per cento di palestinesi che fondavano il loro reddito su questi aiuti. La ricaduta di questa opzione europea, alla quale è facile immaginare si aggiungeranno quelle degli altri donatori, impone una riflessione approfondita e non dettata da scorciatoie semplicistiche. L’esperienza di molti casi pregressi dovrebbe aver insegnato che l’utilizzo dello strumento dell’embargo economico quasi mai produce i risultati sperati a livello di pressione sulle leadership locali, che addirittura spesso ne traggono profitto attivando canali e strumenti alternativi ed illeciti, e sempre comporta costi altissimi per le popolazioni civili. Vero è che, nel caso specifico, la sostanziale correttezza delle elezioni palestinesi ricondurrebbe ad una qualche responsabilità della popolazione stessa. Ma la politica internazionale non può esimersi dal verificare le proprie decisioni alla luce di un’analisi seria e di prospettiva. Innanzitutto non escludendo, come opportunamente ricorda Francesco Rutelli nel suo intervento su la Repubblica dello scorso 31 gennaio, che «la storia dimostra che in molti casi organizzazioni non democratiche (o antidemocratiche) hanno saputo gradualmente integrarsi in processi pienamente democratici».
      Non chiudere aprioristicamente la possibilità di interloquire con esse, quindi, può addirittura costituire strumento per favorire tale processo.
Le condizioni vanno certo individuate, le cadenze modulate soprattutto alla luce di quella inalienabilità dei diritti fondamentali che sempre devono orientare ogni agire politico. In secondo luogo, senza rifuggire da una valutazione delle politiche sin qui adottate dalla comunità internazionale rispetto alla questione medio orientale, ma piuttosto traendo da essa elementi per un riorientamento teso a sostenere con maggior decisione ogni processo di democratizzazione e di pacificazione.
La mancata concretizzazione del principio “due popoli due stati” ritengo sia parte di un voto che per molti aspetti ha assunto i tratti della protesta. A ciò si aggiunge la sponda ideale per il disagio di molti palestinesi verso le inefficienze e nelle distorsioni della precedente leadership forse troppo “acriticamente” sostenuta, ancora per citare Rutelli, dai governi occidentali dei quali la Ue si fregia del titolo di maggior contribuente. Infine, ma dal punto di vista delle Ong primo per rilevanza operativa, considerando come la promozione di un welfare solidaristico da parte di Hamas sia uno degli elementi essenziali del suo radicamento e della sua “credibilità” nella popolazione civile.
È risaputo come il proselitismo sia uno degli strumenti più efficaci utilizzato da molte organizzazioni fondamentaliste e terroriste, e quando questo si innesta in un contesto caratterizzato da un conflitto aperto e da condizioni di povertà e di miseria assolute assume forza dirompente.
Rifiutando categoricamente l’ipotesi, già tragicamente invalidata da molte esperienze, di coloro i quali ancora ipotizzano una soluzione “di forza”, sia nel contrastare tali derive sia per esportare ed imporre i valori della democrazia e della pace, non resta per il futuro che la scelta di un rinnovato e determinato impegno nel sostegno alle molte realtà di società civile che anche in Palestina lavorano e lottano in questa direzione. Hamas ha costruito scuole, gestito ospedali e orfanotrofi, creato circoli sportivi, fornito assistenza diretta a migliaia di famiglie indigenti. Insomma ha realizzato quanto i nostri governi hanno sempre promesso senza mai attuare. Le Ong, anche le nostre italiane, che da sempre escludono ogni collateralismo con il movimento di Hamas, sono disponibili per continuare a far la loro parte. Perché il terreno della solidarietà non diventi appannaggio strumentale di alcuna organizzazione terroristica, e per contribuire alla promozione di uno “stato di diritto” che, ancora d’accordo con Rutelli, certo si fonda sulle regole della democrazia e del diritto internazionale, ma altrettanto sul rispetto e la promozione della giustizia sociale. Per questo ritengo miope l’intenzione del ministro degli esteri Gianfranco Fini di estendere ai progetti delle Ong il blocco dei finanziamenti verso la Palestina.
Decisione alla quale bisogna immediatamente opporsi, e che porta a fare del nesso imprescindibile tra solidarietà, diritti e lotta al terrorismo un tratto prioritario della politica che il centrosinistra assumerà all’indomani della prossima scadenza elettorale. Per affermare valori chiari e distanti da quelli dell’attuale coalizione di maggioranza, ma soprattutto perché convinti che questa sia l’unica via percorribile per il bene comune.

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