La STAMPA di giovedì 2 febbraio 2006 pubblica una cronaca di Fiamma Nirenstein dello sgombero dell'avamposto di Amona. Ecco il testo:
Duecento feriti, di cui 65 poliziotti; 45 arrestati; 4200 poliziotti all’attacco, 2000 soldati pronti a intervenire sulla collina; 5 milioni di shekel, ovvero un milione e centomila dollari spesi. Quasi tutti i poliziotti e i soldati feriti alla faccia, colpiti da pietre. Quasi tutti i ragazzi degli insediamenti con dei buchi in testa, colpiti da manganellate. Queste sono le cifre della metafisica, surreale giornata dello sgombero di Amona, un avamposto illegale sulle montagne della Samaria, nato dieci anni fa dal vecchio insedimento di Ofra, assai vicino a Ramallah. A una settimana dalla vittoria di Hamas nell’Autonomia palestinese, gli israeliani si sono scontrati fra di loro in una guerra di sgombero da cui solo per caso non sono usciti dei cadaveri.
Saliamo la mattina alle 8, fra drappelli di soldati e poliziotti armati e col casco e fra mezzi corazzati e ruspe, la collina della Samaria sulla cui vetta sorgono nove case a due piani disposte a semicerchio, più molte baracche per una quarantina di famiglie. Sono costruite una terrazza di pietre grigie su terreno rosso e cespugli di spine grigie e verdi. Molto più in basso i tetti rossi di Ofra, e di fronte, come palchi di un teatro, sulle colline di là dalle valli, le case dei palestinesi.
Mentre saliamo percorrendo nel sole un sentiero che guarda un panorama sempre più largo e emozionante, molti giovani si arrampicano rapidamente lungo la collina, pietra dopo pietra: vengono in aiuto ai loro amici. È appena arrivato l’annuncio che il Bagaz - la Proverbiale Alta Corte - svegliato di notte alle 2 dopo che aveva già deciso che l’insediamento era illegale e si era risolta la sua dissoluzione questa mattina, ha stabilito di procedere con lo sgombero. Adesso, subito. Gli era stata fatta una proposta: concedere il tempo per smontare le case e portarsele a Ofra. Il «no» della legge rimbalza subito sui giovani che hanno preparato pietre, vernice, copertoni da bruciare, olio, uova da lanciare sull’alto dei tetti. Una folla di giovani settler promette: niente abbracci questa volta, niente lacrime.
I giovani sanno che, dopo Gaza, la seconda puntata è cominciata, quella in cui in pericolo è il cuore della storia ebraica, la Giudea e la Samaria. La strada che porta a Ofra è detta «La via dei Patriarchi», perchè Abramo, Isacco, Giacobbe sono disegnati dalla Bibbia come viandanti su queste pietre. Anche i loro grandi capi adulti, di cui troppo pochi sono qui a calmare i giovani a trattenerli dalla violenza, sanno che Olmert andrà diritto sulle tracce di Sharon e che per primi saranno sgomberati gli avamposti, ben 105, che secondo il diritto internazionale non gli appartengono. E poi, chi sa.
L’ombra di Gaza è pesante. Una ragazza di 25 anni, Yael, con i capelli al vento, la gonna lunga e nera e il volto triste dice: «Sono stata due settimane dentro la Striscia a agosto, e ancora mi duole, come a tutti noi. Non potevano lasciarci ancora un po’ in pace? Per qualche miserabile costruzione nel deserto, che nessuno ha richiesto mai, che è stata comprata regolarmente... E poi proprio adesso, quando Hamas ha appena vinto le elezioni». Indica le montagne: «Mi sembradi vederli, come se la divertono adesso».
«Per me», dice Ya’acov, 23 anni «è finita con l’esercito e con lo Stato: ho servito in un’unità speciale in cui sono tuttora come riserva, volontario nei corpi civili, ma giuro che da ora in avanti tutto quello che è statale, è mio nemico». I cori di disprezzo e di sdegno verso gli uomini in divisa sono senza interlocuzione: «A Gaza, cercavamo di convincerli, di conquistare il loro cuore», dice Hana di 20 anni «adesso tutto è già perduto». Dai tetti viene lanciata una gragnuola di pietroni «peggio di quelli della casbah di Nablus», mi dice un soldato. La metà colpiscono gli stessi giovani che sono corsi in difesa dei loro amici.
I poliziotti a cavallo manovrano su e giù intorno alle costruzioni a semicerchio, sulla terrazza della vallata, con magri animali scuri e coraggiosi, che esitano solo un attimo davanti ai dimostranti. Poi, si addentrano fra la folla, e i poliziotti picchiano in testa. Comincia a apparire una serie di teste sanguinanti in numero tale che la cronista non ha mai visto prima. I poliziotti manganellano in testa, i giovani vengono sdraiati rapidamente su barelle della Stella di Davide Rossa che ha messo un tendone ospedale poco fuori lo spiazzo dello scontro. Neri elicotteri scendono e risalgono carichi di feriti, dimostranti e poliziotti, sdraiati sono tutti eguali, con la testa rotta e le facce tumefatte e viola.
Mentre scriviamo, tuttavia, giunge la notizia che all’ospedale urlano l’uno contro l’altro in letti vicini. Il deputato Effi Eitan perde conoscenza, ha la testa rotta; Arieh Eldad, un altro deputato, ha un polso spezzato. Un poliziotto colpito alla testa è in fin di vita. Anche un ragazzo di 15 anni con il cranio incrinato è gravissimo. Che è stato? Perché? Mentre già a metà giornata quattro tetti sono stati sgomberati e i poliziotti come in un assedio medievale arrivano in cima fradici di uova marce e di sostanze oleose e colorate rovesciategli addosso mentre la massa cercava di rovesciare le scale, già Israele prende fuoco nel dibattito. Intanto una potente bestia meccanica a forma di uccello dimostra di nuovo quanto poco ci vuole a radere al suolo nove case di cemento e la loro immensa ambizione.
Il messaggio del governo è chiaro: i settler devono abbassare la cresta, la storia dello sgombero non è finita con Gaza, e quando una legge lo impone, nessun appello sentimentale, nessuna minaccia politica fermeranno le forze dell’ordine. Gli outpost sono ritenuti da tutto il mondo un ostacolo, e a fronte del pericolo Hamas, il governo di Israele vuole avere le mani pulite. Le forze dell’ordine non hanno più l’ordine di agire «con determinazione e sensibilità», come per la Striscia. Olmert appare più Sharon di Sharon, tutto determinazione.
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