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L'Espresso Rassegna Stampa
01.02.2006 Intervista a Tzipi LIvni
ministro degli Esteri di Israele

Testata: L'Espresso
Data: 01 febbraio 2006
Pagina: 0
Autore: Lally Weymouth
Titolo: «La nuova stella di Israele»

L'ESPRESSO del 27 gennaio 2006 pubblica un'intervista di Lally Weymouth a Tzipi Livni, nuovo ministro degli Esteri di Israele. Ecco il testo:

Tzipi Livni è l'astro nascente di Israele. Attuale ministro degli Esteri, è stata una delle colleghe favorite di Ariel Sharon, la prima persona a cui egli ha chiesto di entrare nel suo nuovo partito, Kadima. È altresì molto popolare nell'elettorato israeliano che la considera onesta e tosta. Ora che Sharon è in coma e le nuove elezioni sono imminenti, Livni lavora a stretto contatto con il primo ministro a interim Ehud Olmert per garantire a Kadima la vittoria. La settimana scorsa l'abbiamo intervistata a Gerusalemme. Signora Livni, lei è cresciuta in una famiglia fedelissima del Likud. "Sì e oggi è l'anniversario della morte di mio padre. Sono appena tornata dal cimitero. Sulla lapide della sua tomba si legge: 'Qui giace il capo delle operazioni dell'Irgun' (un'organizzazione clandestina che ha lottato per la nascita dello Stato di Israele, ndr), e sulla lapide compare anche una mappa del Grande Israele, di cui fanno parte entrambe le sponde della Valle del Giordano. Molti mi chiedono se il compromesso dei Territori non sia contrario all'ideologia di mio padre, e io rispondo che egli mi ha insegnato a credere in un Israele democratico, patria del popolo ebraico, dove tutti possono godere di pari diritti. Sono però giunta alla conclusione che si deve effettuare una scelta e io ho deciso di creare una patria per il popolo ebraico, ma soltanto in una parte della terra di Israele". Ha dunque deciso di non poter governare un altro popolo? "È contrario ai miei valori". La sua posizione è andata cambiando con il passare del tempo? "Assolutamente no. Ho capito che era necessario dividere la terra, ma ho pensato che il Labour lo facesse nel modo sbagliato". Qual è stato secondo lei il contributo politico più importante di Sharon? "Il suo piano di disimpegno ha trasformato completamente i termini del conflitto e la mappa politica di Israele. Ha cambiato alcuni principi della destra e dovrebbe cambiare anche l'atteggiamento della comunità internazionale verso Israele. Fino ad allora Israele era stato accusato di essere un Paese che vuole controllare le vite dei palestinesi e che non avrebbe smantellato nessun insediamento. Quello che abbiamo fatto ha cambiato i rapporti tra Israele e i palestinesi, nonché lo status di Israele nell'ambito della comunità internazionale". Lei e Sharon avevate un rapporto molto stretto. "È negli ultimi due o tre anni che ho sentito di aver guadagnato la sua fiducia. Potevamo parlare di tutto ed egli sapeva che non avrebbe mai letto quello che ci dicevamo sui giornali del giorno dopo". Come ha deciso di unirsi al nuovo partito di Sharon? "Sono entrata nella vita politica di Israele e mi sono unita al Likud perché ho pensato che fosse quel partito a dover guidare Israele, soprattutto in rapporto al conflitto israelo-palestinese. Poi ho capito che non vi era la possibilità di rendere unito il Likud, perché la maggior parte dei leader di questo partito non riesce ad affermare chiaramente che Israele ha bisogno di sostenere la soluzione dei due Stati. Fino a questo momento qualsiasi piattaforma programmatica del Likud iniziava con un 'no'. 'No' allo Stato palestinese, 'no' al piano di disimpegno, 'no' a questo e 'no' a quello.". Vuole dunque un partito che esprima e porti avanti i suoi stessi valori? "È importante capire il vero significato della soluzione dei due Stati. Israele è nato come patria per il popolo ebraico. Questo dovrebbe essere l'autentico significato anche del futuro Stato palestinese. Dovrebbe essere la risposta per tutti i palestinesi, ovunque essi siano, quelli che vivono nei Territori e quelli che sono trattati come pedine politiche nei campi profughi. In altre parole, quindi, la nascita dello Stato palestinese dovrebbe risolvere quello che i palestinesi chiamano 'il diritto al ritorno'". Che cosa ne pensa del fatto che alle elezioni palestinesi Hamas ha giocato un ruolo fondamentale? "Israele ha chiaramente detto negli ultimi mesi che la partecipazione di Hamas alle elezioni dell'Autorità palestinese va completamente contro qualsiasi tipo di valori democratici". Con un governo palestinese guidato da Hamas blocchereste qualsiasi forma di comunicazione? "Israele non può comunicare con alcuna organizzazione terroristica. Abu Mazen dice di essere impotente: quando un leader è impotente e non sa far fronte alle organizzazioni terroristiche, allora è davvero importante che la comunità internazionale si faccia sentire, dicendo che non accetterà che un'organizzazione terroristica faccia parte di alcun parlamento, di alcun governo". Pare quasi che la strategia di Sharon sia stata quella di decidere i confini dello Stato di Israele senza un partner palestinese. "Il vero messaggio è che Israele non è più la scusante addotta dai palestinesi per non combattere il terrorismo. Noi abbiamo fatto evacuare i nostri soldati dalla Striscia di Gaza, abbiamo smantellato gli insediamenti e ora Israele non è più una scusa. Ora siamo ritornati sul tracciato della Road Map. Non stiamo più parlando di ulteriori iniziative unilaterali. Ora ci aspettiamo che i palestinesi rispettino quanto hanno detto di voler fare". 'Newsweek' - 'L'espresso' traduzione di Anna Bissanti Tutti gli uomini di David Sharon La successione allo storico leader Ariel Tzipora 'Tzipi' Livni, 47 anni avvocatessa di Tel Aviv, sposata, due figli, ministro degli Esteri dal 18 gennaio scorso e ministro della Giustizia, è il volto nuovo della politica israeliana. Avvenente, buon eloquio, dura ma disposta alla trattativa, è entrata in politica da poco più di dieci anni e la sua ascesa è stata spettacolare. Da semplice deputato del Likud a portavoce di Ariel Sharon, colui che ha più creduto in lei, su su fino ai dicasteri chiave per il Paese. Ha seguito Sharon nel nuovo partito Kadima di cui è uno dei membri più influenti, tanto che si ipotizza la sua collocazione al numero due della lista per le elezioni del 28 marzo prossimo. In futuro potrebbe diventare la numero uno. Per ora ribadisce la sua lealtà a Ehud Olmert, il neo premier, 61 anni di Gerusalemme, città di cui è stato sindaco dal 1993 al 2003. Olmert ha una lunga esperienza alla Knesset e ha ricoperto diversi incarichi ministeriali (Industria, Commercio, Finanze). Spetta a lui guidare Kadima verso le consultazioni politiche, promuovere i ritiri dalle colonie della Cisgiordania per arrivare a una pace coi palestinesi. Il suo è il ruolo del traghettatore e del garante della continuità sulla linea tracciata da Ariel Sharon. L'emorragia di personaggi di spicco verso Kadima ha lasciato il Likud, partito della destra, nelle mani dell'ex primo ministro Bibi Netanyahu, 57 anni una lunga formazione negli Usa, contrario ai ritiri delle colonie e favorevole a un ritorno in quelle abbandonate l'agosto scorso nella Striscia di Gaza. E la sinistra? Gioca la carta del rinnovamento generazionale. Il Labour si affida ad Amir Peretz, 54 anni nato in Marocco (primo sefardita alla guida della più rappresentativa formazione della sinistra), ex sindaco di Sderot, ex segretario generale dell'Histradut, l'organizzazione sindacale più potente di Israele. Vorrebbe mettere al centro della scena politica la questione sociale, visto che la forbice tra ricchezza e povertà è aumentata a dismisura negli ultimi anni. La sua elezione aveva dato dapprima una forte scossa verso l'alto dei consensi al Labour. I sondaggi segnalano una discesa in corrispondenza con la nascita di Kadima e la malattia di Sharon.


espresso@espressoedit.it

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