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Il Foglio Rassegna Stampa
01.02.2006 Di fronte alla vittoria di Hamas
errori di valutazione,inquietanti entusiasmi , viltà

Testata: Il Foglio
Data: 01 febbraio 2006
Pagina: 1
Autore: Carlo Panella - Cristina Giudici - David Frum
Titolo: «Votati al martirio - Votati alla Palestina - Il giorno dopo»

Carlo Panella sul FOGLIO di mercoledì 1 febbraio 2006 indaga i motivi della vittoria elettorale di Hamas  e l'ideologia totalitaria e antisemita di questo gruppo:

Roma. Il Washington Post e il Guardian hanno ospitato ieri sulle loro pagine gli interventi di due leader di Hamas, entrambi a Damasco – Khaled Meshaal e Mussa Abu Marzuq – che hanno così avuto a disposizione due formidabili pulpiti. Naturalmente, non hanno detto quello che vogliono realmente e hanno avuto buon agio nel recitare la parte dei leader plebiscitariamente legittimati da una falsa elezione democratica che ora chiedono con arroganza alla comunità internazionale di rispettare le sue stesse regole formali. Proprio questi stessi due signori, come ricorda il leader israeliano Natan Sharansky, due anni fa hanno mandato una donna palestinese che aveva tradito il marito – condannata a morte secondo la loro sharia – a farsi esplodere in un ristorante sul mare di Israele, pieno di arabi ed ebrei, sterminandoli tutti, compreso un bimbo di nove mesi. Ma oggi le due testate liberal si rapportano a loro come se fossero usciti da Eton. La commissaria europea Benita Ferrero-Waldner fa intendere che l’Unione europea si comporterà con Hamas come si è sempre comportata: opportunisticamente. L’Unione europea ha impedito a Israele di escludere Hamas dalle elezioni. Gerusalemme aveva chiesto che la condizione che oggi viene posta (il proprio riconoscimento e la fine della violenza) fosse avanzata a Hamas come conditio sine qua non per partecipare alle elezioni. L’Ue si è opposta, Washington non ha compreso il pericolo – come ha ammesso il segretario di stato Condoleezza Rice – e ciò che era doveroso imporre prima non è più possibile ottenere oggi. Impressiona, in questa catena di errori, il prevalere di analisi basate sul presupposto falso che Hamas sia un movimento nazionalista estremista e terrorista. Hamas non è affatto un movimento nazionalista, né terrorista, perché sono definizioni riduttive. E’ un movimento fanatico di massa, messianico, salvifico, totalitario, antisemita, basato – come i Fratelli musulmani – sul “fürherprinzip”. Hamas rifiuta “la politica”, la disprezza come strumento “basso”, riconosce solo la fede, guarda alla terra, al suolo della Palestina, solo perché santificata dai musulmani che seguono la sharia, rifiuta il concetto di “nazione” che sostituisce con “umma”, comunità di credenti. La sua mistica del martirio stragista non è uno strumento tecnicamente efficace, ma un atto liturgico che permette al musulmano di ricongiungersi ad Allah. Il suo slogan è: “Nel pulsante del detonatore c’è il Paradiso”. I leader di Hamas guardano al Giudizio universale, non alla Wto. In politica possono dire in piena coscienza tutto e il contrario di tutto, perché lavorano per l’Utopia. E hanno il popolo palestinese con sé. E’ tanto difficile afferrare la loro fanatica freddezza che gli stessi Menahem Beghin e Yitzhak Rabin sbagliarono, finanziando i progetti di welfare islamico nei Territori, convinti che un movimento a impianto popolare avrebbe favorito il dialogo. Ma quell’esperienza di dialogo politico si consumò nel disastro delle stragi e oggi questo precedente deve fare testo. Pensare poi che il trionfo di Hamas sia prodotto essenzialmente dal rifiuto della mafia di al Fatah è vero ma riduttivo. E’ come sostenere che la crisi del ’29 ha prodotto Auschwitz: l’effetto è apocalitticamente distante dalla causa indicata. Da un secolo, la meccanica sociale apre brecce in cui irrompono atteggiamenti totalitari di massa, ma l’essenza di questi è ben distinta dall’occasione economica che li ha favoriti. Il problema non è analizzare Hamas, ma il popolo palestinese, che da 86 anni esprime classi dirigenti totalitarie, che da 92 anni combatte tutte le guerre dalla parte sbagliata e che per di più le perde. Nel 1914 ha scelto gli Imperi autocratici contro le democrazie dell’Intesa; nel 1941 ha combattuto a fianco di Hitler e contro gli Alleati; nel 1948 ha combattuto contro il piano di spartizione dell’Onu e contro il suo stesso stato; ha combattuto a fianco del totalitarismo nasseriano e baathista. Oggi sceglie Hamas che gli propone una ricetta fanatica per la propria anima e per la propria terra, nel segno di quell’antisemitismo che nel 1939 gli ha fatto rifiutare tutta la Palestina mandataria, tutta, compreso l’odierno Israele, la fine del sogno sionista, perché l’unica condizione posta da Londra era che accettasse in cinque anni 75 mila ebrei in fuga da Auschwitz. Le democrazie hanno dunque in Palestina lo stesso, identico, problema che hanno in Iran: una leadership fanatica e totalitaria che gode di uno straordinario consenso di massa, basato su un blocco sociale enorme. Questo è il tema, non la road map. Le democrazie devono scegliere una strategia che separi questa dirigenza fanatica dal popolo che l’ha scelta. Compito immane. Il mondo deve parlare chiaro al popolo palestinese, prima ancora che ai leader sanguinari di Hamas: offrirgli una patria soltanto sotto condizione. Non finanziarlo perché compri una “dose” di paradiso fanatico.

Cristina Giudici descrive le reazioni dei muslmani "moderati" dei fondamentalisti dell'Ucoii:

Roma. La vittoria elettorale di Hamas potrebbe avere serie ripercussioni sulle dinamiche interne alle comunità musulmane occidentali, dove negli ultimi mesi il fronte dei moderati era riuscito a consolidare alcune posizioni e a segnare qualche piccola vittoria. In Italia, dove lo scontro fra i riformisti e neotradizionalisti è più recente, l’Ucoii (l’Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche italiane) ha già alzato le coppe per il brindisi. Per capirlo basta leggere le enfatiche parole di commento del suo segretario, Hamza Piccardo: “Hamas è la crema della società palestinese, i migliori. Ogni volta che i musulmani possono votare liberamente in base alla loro identità culturale e spirituale scelgono forze che esprimono una sincera volontà d’indipendenza nazionale e di onestà personale”. Alle parole pubbliche sono seguite e-mail private dei dirigenti dell’Ucoii che hanno inondato le poste elettroniche dei principali esponenti della comunità musulmana, anche quelli moderati, per proseguire l’esaltata propaganda a favore della lotta palestinese. Le e-mail sulla vittoria di Hamas iniziavano così: “Gloria ai vivi, onore ai martiri”. Che cosa succederà in futuro all’interno delle moschee? Secondo Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera, la vittoria di Hamas può avere un duplice effetto: “Forti dello sdoganamento politico di un gruppo terroristico – spiega al Foglio – non avranno più bisogno di usare un doppio linguaggio, ma se Hamas seguirà una politica intransigente, i leader islamici più estremisti dovranno rispondere delle loro parole all’opinione pubblica e questa contraddizione potrebbe favorire i moderati”. Un’opinione non troppo distante da quella di Khaled Fouad Allam, probabile candidato alle elezioni politiche con la Margherita, che però considera il fondamentalismo islamico una fase di passaggio, frutto della crisi dell’islam contemporaneo: “La vittoria di Hamas ha sicuramente rafforzato i fondamentalisti occidentali – spiega – ma prima o poi dovranno fare i conti con la realtà e i riformisti riusciranno a condizionare i seguaci dell’islam militante”, aggiunge. Per il momento però il panorama non è confortante. In tutti i paesi europei la rete dei Fratelli musulmani è legata a doppio filo a Hamas (anche se non sempre in modo esplicito) e la sua egemonia sulle associazioni religiose è inconfutabile. Da sempre le moschee, regno dell’islam militante, hanno sostenuto la lotta palestinese. Col cuore e con il portafoglio. All’origine del “caso danese” ci sono i Fratelli musulmani, che hanno istigato tutte le comunità europee a protestare contro il quotidiano di Copenhagen, reo di aver pubblicato nel settembre scorso alcune vignette satiriche sull’islam. Eppure negli ultimi mesi, soprattutto dopo gli attentati di Madrid e di Londra, in molti luoghi di culto qualcosa era cambiato. In Italia per merito delle giovani generazioni, in Francia e in Ighilterra per merito degli immigrati più anziani, di cui molti sfuggiti al fondamentalismo nei loro paesi: ovunque gruppi che sognavano di tenere insieme islam e democrazia, tradizioni e modernità hanno cercato di arginare il processo di reislamizzazione. Accadeva spesso che chi volesse fare un sermone violento o inneggiare ai martiri palestinesi o iracheni fosse zittito. Almeno apparentemente. La vittoria di Hamas però potrebbe modificare i fragili equilibri all’interno delle moschee, frequentate in tutta Europa dal dieci per cento dei musulmani, che rappresentano una fetta di popolazione considerata a rischio. Lo scrittore iracheno Younis Tawfik, membro della Consulta islamica nominata dal ministero dell’Interno, pensa che probabilmente ora i fautori del terrorismo usciranno allo scoperto, ma ritiene che il fenomeno dell’islam europeo vada visto come una storia fatta di reazioni e controreazioni e che le società europee contengano antidoti sufficienti per arginare ogni controffensiva neotradizionalista. Nel frattempo Piccardo ha già annunciato che l’Ucoii sta per acquistare 40 luoghi di culto per trasformarli in moschee e, anche se è difficile sapere dove finisce la realtà e dove inizia la propaganda, è prevedibile aspettarsi una controffensiva. “Per noi moderati la vittoria di Hamas rappresenta una grande sconfitta che potrebbe procurarci molti problemi”, ammette Souad Sbai, presidente della Confederazione marocchina che da anni cerca di sottrarre il controllo della comunità ai leader più radicali dei Fratelli musulmani (che però si limitano all’apologia) e dei salafiti, che invece destano molte preoccupazioni alle forze dell’ordine. Certo, siamo ancora nel campo delle ipotesi, ma può essere istruttivo leggere il contenuto delle discussioni fra i membri dell’associazione dei giovani musulmani, al cui interno convivono molte anime, ma che sul loro sito hanno discusso sulla vittoria di Hamas. Con commenti come questo: “Neanche se gli Stati Uniti dovessero regalare alla Palestina il sole e la luna, noi non venderemo mai Dio. MAI. E continuo a pensare che lo fate apposta a non capire… o forse non capite perché il vostro cuore ve lo impedisce”.

David Frum spiega chiede all'Europa chiarezza e determinazione nel far capire ad Hamas e ai palestinesi che il terrorismo non paga:   

Iministri degli Esteri europei si stanno preparando per il secondo round della battaglia diplomatica sul nuovo governo di Hamas in Palestina. Le cancellerie europee hanno mantenuto un certo grado di calma dopo il primo shock suscitato dal voto. Hanno permesso ai propri diplomatici di esprimere timore e sgomento per la strepitosa vittoria ottenuta da una violenta organizzazione terroristica che ha come obiettivo supremo la distruzione di Israele. Ora viene il momento della verità. L’Europa taglierà i suoi sostanziosi aiuti all’Autorità palestinese? Interromperà i contatti con un governo fondato su un’ideologia di genocidio? Possiamo già percepire, dall’altra sponda dell’Atlantico, la riluttanza dell’Europa. I funzionari dell’Unione europea stanno dicendo ai leader di Hamas che, per continuare ad accordare loro finanziamenti e riconoscimento diplomatico basterebbero poche parole che possano essere interpretate da orecchie amichevoli come la rinuncia alla violenza e l’accettazione di una soluzione “a due Stati”. Non devono necessariamente interrompere la violenza (Fatah l’ha forse mai fatto?). Tutto quello che devono fare è far fare bella figura ai loro finanziatori. Anche senza essere seduto insieme a loro, so perfettamente che cosa stanno sussurrando tutti questi diplomatici: “Per quanto sgradito sia il risultato delle elezioni, dobbiamo comprendere perché il popolo palestinese ha votato per Hamas. Non hanno votato per il terrorismo, la guerra e l’assassinio degli ebrei. Hanno votato contro la corruzione all’interno del governo. E’ importante rispettare la scelta democratica del popolo palestinese. Se non lo facciamo, rischiamo di mettere in discredito la legittimità del nostro sostegno alla democrazia”. “Il programma di Hamas è ripugnante, non c’è dubbio. Ma le nostre informazioni ci dicono che all’interno del gruppo ci sono persone dotate di spirito pragmatico”. “Riteniamo di poter convincere queste persone a rinunciare al sostegno nei confronti del terrorismo. Ma per farlo dobbiamo trattare con loro. Questo significa che dobbiamo tenere aperto il dialogo, vale a dire mantenere i nostri rapporti diplomatici con l’Autorità palestinese e continuare a fornire aiuti alla popolazione dei territori palestinesi”. “I nostri aiuti sono impiegati per importanti scopi umanitari. E servono a sostenere le organizzazioni della società civile all’interno dei territori. Naturalmente, se vogliamo incoraggiare Hamas a rinunciare al terrorismo e a riconoscere Israele, dobbiamo mantenere la nostra credibilità di onesti intermediari di fronte ai palestinesi”. Questa tesi si fonda su due presupposti fondamentali: 1. Il terrorismo non è connaturato ad Hamas. E’ soltanto una degenerazione che si è prodotta a un certo punto, e che può essere eliminata senza distruggere la ragion d’essere dell’organizzazione. 2. Per persuadere i terroristi a rinunciare al terrorismo bisogna essere gentili con loro. Se gli si parla, gli si mostra rispetto e gli si dà soldi, saranno talmente contenti che rinunceranno al terrorismo nella speranza di ricavare ancora maggiori benefici in futuro. Una volta che li si hanno sotto gli occhi, si comprende quanto siano stravaganti questi presupposti. La politica americana Alcuni si sono domandati se queste elezioni abbiano screditato la politica di promozione della democrazia in medio oriente adottata da Bush. E’ esattamente il contrario: grazie a questa politica ora vediamo – con chiarezza e senza il velo di nessuna giustificazione – le vere intenzioni e le autentiche convinzioni dell’elettorato palestinese. L’epoca degli inganni e degli autoinganni è finita. Ora si apre una nuova fase, nella quale si deve concedere alla scelta democratica di arrivare fino alle sue naturali conseguenze. Le nazioni, esattamente come gli individui, devono imparare dai propri errori. Se risponderà al voto in favore di Hamas con nuove concessioni e benefici, l’Europa contribuirà a consolidare il potere di un regime islamico estremista (sostenuto dall’Iran) affacciato sul Mediterraneo. Se invece risponderà con una decisa condanna e con l’isolamento, contribuirà a trasformare la politica dell’Autorità palestinese molto più di quanto potrebbe sperare di farlo qualsiasi aiuto della società civile. Il terrorismo prospera quando si ritiene che faccia ottenere risultati concreti. Scompare quando porta sconfitta e disonore. I palestinesi hanno fatto la propria scelta. Ora deve farla anche l’Europa.

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