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La Repubblica Rassegna Stampa
31.01.2006 Una lettera di Francesco Rutelli sulla vittoria di Hamas
importante, ma con alcune ambiguità

Testata: La Repubblica
Data: 31 gennaio 2006
Pagina: 1
Autore: Francesco Rutelli
Titolo: «Palestina, gli impegni che chiediamo ad Hamas»

La Repubblica di mercoledì 31 gennaio 2006 pubblica una lettera del leader della Margherita Francesco Rutelli sulla vittoria di Hamas. Interessanate sotto molti punti di vista, la lettera presenta alcuni punti che avrebbero dovuto, anostro avviso, essere formulati in modo più esplicito e inequivocabile. Ecco il testo:

 CARO DIRETTORE, tra dieci giorni sarò in Medio Oriente per una serie di incontri programmati tra una delegazione della Margherita e del Partito Democratico Europeo con la leadership israeliana (Ehud Olmert e Shimon Peres in testa) e con Abu Mazen. Comprenderemo nei prossimi giorni cosa sia destinato a cambiare nel programma del nostro viaggio alla luce del dirompente esito delle elezioni palestinesi. Ma è proprio questo risultato ad imporre una riflessione senza reticenze: cosa resta dello slogan dell´amministrazione Bush sull´"esportazione della democrazia"? A quali condizioni lo svolgimento di elezioni a suffragio universale può sostenere effettivamente il cammino della democrazia e il processo per la pace?
Non è sufficiente a questo fine distinguere tra la pretesa di "esportare" e il paziente esercizio di promuovere e sostenere la democrazia nel mondo, due termini che presentano un velenoso equivoco da sciogliere. La vera sfida riguarda infatti la promozione dello stato di diritto. The rule of law, il dominio della legge, della legalità, del diritto internazionalmente riconosciuto. Questo è il punto troppe volte dimenticato: se in elezioni (sostanzialmente regolari) competono forze che fanno ricorso organizzato alla violenza terroristica, che rigettano le acquisizioni sancite dalla comunità internazionale, che non hanno statuti interni minimamente democratici e pluralistici, lo svolgimento delle elezioni può legittimarle sul piano popolare, ma non sul piano democratico. Ed è fondato il rischio paventato da Moises Naim: che si possano avere elezioni "una testa, un voto… una volta sola".
Neppure questo giudizio, peraltro, può essere assunto in modo ideologico. La storia dimostra che in molti casi delle organizzazioni non democratiche (o antidemocratiche) hanno saputo gradualmente integrarsi in processi pienamente democratici. Poiché Bill Clinton ha ricordato due giorni fa, a proposito di Hamas, che sarebbe un errore "semplicemente non parlare con interlocutori che non ci piacciono", si tratta di fissare le condizioni in base alle quali i governi europei ed occidentali possano confrontarsi con i vincitori delle elezioni palestinesi.
1. Credo occorra fissare un obiettivo negoziale strategico: il disarmo delle milizie islamiste.

Quello che Rutelli fissa come "obiettivo negoziale strategico"dovrebbe essere la  precondizione per un negoziato

Questo vale per Hamas come per gli Hezbollah libanesi (che pure, dopo il successo nelle elezioni dello scorso anno, partecipano alla coalizione di governo ma non hanno rinunciato, ad esempio, ai loro attacchi contro Israele), oltre ad essere un traguardo obbligato nella difficilissima transizione irachena.
2. La disponibilità ad un dialogo con Hamas non può essere incondizionata. Al contrario, va posta sulla base di precise condizioni, tra le quali la disponibilità della nuova maggioranza dell´Anp a dialogare con Israele e a riconoscerne i diritti, e il rigetto del terrorismo.

Hamas dovrebbe riconoscere il diritto all'esistenza di Israele. Questa condizione andrebbe posta con la massima chiarezza

3. Va innalzato il livello della nostra considerazione per l´autenticità e la qualità dei processi democratici. Essi sono fondati anche sull´autonomia tra potere politico e spazio religioso, sulla promozione delle libertà individuali, sull´intangibilità di diritti umani tra cui quelli della donna. Qui sta la differenza tra adesione formale e condivisione della democrazia.
4. Non va ripetuto il grave errore commesso con il troppo acritico sostegno concesso ad Arafat: la vittoria di Hamas, come liberatrice dall´inefficienza e dalla vasta corruzione che ha attorniato la leadership di Fatah, conferma che il supporto alla causa palestinese e al diritto ad uno Stato sovrano - inclusa la prospettiva di regolare la condivisione di Gerusalemme come Capitale – non deve comportare un via libera a degenerazioni che portano al peggio.
5. È giusto per questo che l´Unione Europea – che ha confermato ancora nel novembre scorso di considerare Hamas nel novero delle organizzazioni terroristiche – conceda ai vincitori delle elezioni palestinesi la prima mossa. Sappiamo che l´eliminazione degli aiuti all´Anp porterebbe conseguenze enormi, poiché il 20% della popolazione trae il proprio reddito da questi fondi. E sappiamo, dunque, che proprio sulle condizioni da realizzare, si muoverà la vicenda mediorientale.

Cosa vuol  dire "concedere la prima mossa"? Forse è meglio che la prima mossa sia dell'Ue: dichiarare che gli aiuti saranno condizionati alla fine del terrorismo e al riconoscimento di Israele non significa chiudere la porta a ogni dialogo con Hamas, ma solo fissare le sue condizioni minime.

6. È grande anche la responsabilità che spetta all´unica democrazia della regione, Israele. È motivo di speranza sapere che il successo di Kadima, il nuovo partito voluto da Sharon e portato avanti da Olmert e Peres, poggerà proprio su una accorta miscela di fermezza verso le minacce e di volontà di perseguire una pace stabile con i palestinesi.
È iniziata una partita radicalmente nuova. Incrocerà i destini dell´intera regione, l´Iran, l´Iraq, sino al Nord Africa e al Maghreb. E penso che così come l´Europa potrà assumere di nuovo una funzione da protagonista, così sarà per un possibile nuovo governo del centrosinistra in Italia.
Perché l´intreccio tra crescita della democrazia, sicurezza e pace in Medio Oriente - così importante sino a ieri - da oggi diventa assolutamente vitale.

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