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La Repubblica Rassegna Stampa
31.01.2006 Una campagna per finanziare l'Anp di Hamas, senza condizioni
la conduce il quotidiano diretto da Ezio Mauro

Testata: La Repubblica
Data: 31 gennaio 2006
Pagina: 12
Autore: Alberto D'Argenio - Fabio Scuto
Titolo: «"Hamas, pace con Israele o niente fondi" - A Ramallah aspettando la sharia "Birre e minigonne, finché si può"»

"Hamas, pace con Israele o niente fondi" titola la REPUBBLICA di martedì 31 gennaio 2006. In realtà, le richieste dell'Unione europea per continuare a finanziare un'Anp egemonizzata da Hamas, di questo tratta l'articolo, sono molto più basilari: rinuncia al terrorismo, riconoscimento di Israele. Lunedì 30 gennaio, come abbiamo ricordato nella critica  "I no di Israele alla ragionevole Hamas"  REPUBBLICA titolava: "Israele: un nuovo no ad Hamas" (in realtà Israele aveva chiesto il riconoscimento, la rinuncia al terrorismo e il rispetto degli accordi presi dall'Anp). Mettiamo insieme i due titoli e otteniamo questa rappresentazione, assolutamente falsa, della situazione del conflitto israelo-palestinese: Hamas offre a Israele di trattare, Israele rifiuta, L'Unione europea minaccia di tagliare i fondi ai palestinesi se Hamas non raggiunge la "pace" con Israele. La prima frase della cronaca di Alberto D'Argenio completa il quadro riferendo in termini drammatici l'"appello" della povera Hamas:  "Hamas chiede all´occidente di non tagliare i finanziamenti che permettono la sopravvivenza dei palestinesi"..

Ecco il testo:

 BRUXELLES - Hamas chiede all´occidente di non tagliare i finanziamenti che permettono la sopravvivenza dei palestinesi. Il presidente dell´Anp, Abu Mazen, sottoscrive. E l´Unione europea, primo donatore mondiale con 500 milioni di euro all´anno, risponde compatta: i fondi continueranno ad arrivare solo se «sarà riconosciuto il diritto all´esistenza di Israele, se finirà la violenza e se si procederà al disarmo» di Hamas. Dal movimento islamico palestinese arriva immediato il rifiuto: nessun riconoscimento di Israele, né promesse di disarmo. In una giornata in cui nei territori sono proseguite le tensioni provocate dagli uomini di Al Fatah, a Bruxelles i ministri degli Esteri dell´Unione europea hanno trovato una posizione unitaria sul futuro della Palestina che non sembra lontana da quella americana, ribadita ieri dal presidente George Bush e dal suo segretario di Stato Condoleezza Rice.
Ad Hamas, vincitore delle elezioni della scorsa settimana, l´Europa ha anche chiesto di rispettare il ruolo centrale di Abu Mazen, l´unico in grado di garantire «stabilità in questo periodo di transizione». Una richiesta che sembra essere stata accolta in serata, quando è giunta la notizia che nei prossimi giorni il presidente incontrerà, probabilmente al Cairo, Khaled Meshaal, capo supremo di Hamas in esilio in Siria.
Del messaggio europeo ieri pomeriggio si è fatta portavoce la Cancelliera tedesco Angela Merkel, primo leader occidentale ad incontrare Abu Mazen dopo la vittoria di Hamas alle politiche. «L´esistenza dello stato di Israele è e resterà un pilastro intoccabile della politica tedesca», ha spiegato la Merkel.
Abu Mazen, unico interlocutore palestinese incontrato dalla Merkel nel viaggio in Medio Oriente, ha spazzato le voci circolate dopo la sconfitta di Al Fatah sulle sue imminenti dimissioni, assicurando che rimarrà al suo posto fino alla scadenza naturale del mandato, tra tre anni. Ed ha ribadito la richiesta alla comunità internazionale di non tagliare i fondi alla Palestina, diventati ancora più vitali dopo che il premier israeliano, Ehud Olmert, ha ufficializzato la decisione di congelare i 29 milioni di euro di introiti fiscali che questo mese Israele avrebbe dovuto versare ai palestinesi. «Non trasferiremo fondi che possano andare a finanziare attività terroristiche contro la nostra popolazione civile», ha spiegato il successore di Sharon.
Parlando da Bruxelles, il ministro degli Esteri, Gianfranco Fini, ha detto di comprendere la scelta degli israeliani e ha espresso soddisfazione per la posizione europea verso Hamas. Il vicepremier ha sottolineato la necessità di una reazione unitaria da parte dell´occidente, visto che la nascita di un nuovo governo islamista «rappresenterebbe un serio pericolo» per tutta la regione. Il vicepremier ha ricordato l´asse tra gli sciiti iracheni, i custodi della rivoluzione di Teheran, la Siria e gli Hezbollah libanesi, e ha sottolineato che se nei paesi mediorientali «il voto è indispensabile», le elezioni da sole «non affermano la democrazia». Per essere completa, ha spiegato, oltre alle regole ne devono essere accettati anche «i valori fondanti».
Ieri i rapporti tra palestinesi ed europei sono stati messi alla prova anche dalla vicenda delle vignette satiriche su Maometto comparse su un quotidiano danese e un settimanale norvegese. Hamas, come altre voci del mondo islamico, si è detta «indignata» per le rappresentazioni, in particolare per quella in cui Maometto è stato raffigurato con un turbante pieno di dinamite. Uomini armati hanno circondato la sede Ue di Gaza, minacciando i cittadini danesi e norvegesi che intendano recarsi nei Territori. Dalla Palestina, come dall´Egitto, sono quindi arrivate nuove richieste di boicotaggio dei prodotti dei due Paesi scandinavi. Iniziativa che l´Ue ha preso di petto. Mentre il commissario europeo al commercio, Peter Mandelson, ha minacciato di ricorrere al Wto, i ministri degli Esteri dei 25 hanno affermato che «la libertà di stampa e di espressione non si tocca», pur riconoscendo «il pieno rispetto» di tutte le religioni.

Fabio Scuto nella stessa pagina descrive una società palestinese laica che aspetta con preoccupazione e timore l'avvento della sharia. l'articolo, in se interessante, è rivelatore fdell'attitudine dei giornalisti di REPUBBLICA a presentare la società palestinese secondo le convenienze politiche. Qualcuno avrà pure votato Hamas, se questo gruppo ha vinto le elezioni. Ma ai lettori del quotidiano progressista e laico si deve continuare a presentare la causa palestinese come, appunto, laica e progressista. Ecco allora che la società dei territori viene presentata attraverso la realtà, piuttosto particolare, di Ramallah. Per l'occasione compaiono anche foto con i negozi della città , che mostrano il suo relativo benssere e il suo volto "borghese". Sostituendo l'iconografia prevalente dei territori palestinesi, normalemente raffigurati nei niostri giornali come una poverissima  società pastorale. Ecco il testo:  

RAMALLAH - I progetti di islamizzazione della società palestinese che Hamas medita adesso che ha ottenuto la maggioranza assoluta nel Parlamento, anticipati dalle dichiarazioni di diversi esponenti integralisti che vorrebbero imporre la sharia - la legge islamica - come fonte del diritto, inquietano la società palestinese. «Il progetto di Hamas di imporre il velo islamico per legge allarma le donne palestinesi. E molte già pensano di lasciare la Palestina se qualcuno le obbligherà ad indossarlo», dice a Repubblica Mona al-Farra, medico, esponente del Fronte popolare e dirigente della Croce rossa palestinese. Il progetto di legge è stato annunciato da Myriam Farhat - una delle neo-deputate di Hamas a Gaza - che vuole proporlo non appena il nuovo Parlamento sarà insediato. Fare poi della sharia la fonte della legislazione, stravolgerebbe una società da sempre laica come quella palestinese: rovescerà il diritto civile, le libertà pubbliche, i diritti delle donne, quelli dei partiti e delle associazioni, imporrà la segregazione dei sessi nelle scuole, nelle università e negli uffici pubblici.
Ma in tutte le circostanze della vita, anche le più drammatiche, fra i palestinesi scatta rapidamente il riflesso dello humour. A Ramallah la più occidentale delle città dei Territori - dove per le strade si vedono ragazze truccate con i jeans attillati e i tacchi a spillo incrociare donne con il volto e il corpo coperti dal velo fino alle caviglie - almeno per ora è l´ironia che prevale davanti all´incognita del futuro. Ci si scherza sopra nei caffè attorno alla Piazza dei Leoni, nel cuore della città, e nei ristoranti eleganti del centro. Abed, ingegnere cinquantenne beve con gusto il suo espresso all´italiana, corretto con un po´ di cognac. «Bevilo e cerca di ricordarne bene il sapore, perché questo sarà uno degli ultimi che potrai gustare», lo apostrofa il suo vicino di tavolino. «Per avere un lavoro nell´Anp adesso dovremo farci crescere la barba», dice sorridendo Hassan, giovane neo-laureato con le basette alla Elvis. Ci scherza su anche Anwar, uno dei barbieri più frequentati della città. Alle pareti oltre alla foto della moschea Al Aqsa di Gerusalemme, ce ne sono tante che ritraggono le attrici che vanno per la maggiore nel mondo arabo. «Certo toccherà fare qualche cambiamento nell´arredo, intanto ho sospeso ogni ordine di lamette. Mi sa che di barbe non ne farò più tante».
Fra i tavolini dell´Irish Pub l´argomento è lo stesso. Due ragazzi sono seduti al bancone davanti a boccali di birra fresca e scherzano sul prossimo «editto del califfato di Ramallah» che imporrà il divieto di consumare alcol. «Da quando ha vinto Hamas veniamo tutti i pomeriggi a farcene un bicchiere, prima che venga messa fuorilegge», dice uno di loro, «forse finiremo come quelli di Gaza». A Gaza, caposaldo di Hamas, è impossibile trovare un locale pubblico che serva alcolici: se lo facesse, il giorno dopo sarebbe ridotto in cenere.
L´humor palestinese corre anche sui telefonini. Ci sono messaggi che scherzano sui futuri nuovi poliziotti islamici, che controlleranno se i guidatori in macchina avranno, non l´assicurazione o la patente, ma una copia del Corano. Altro sms: «Basta con le multe pecuniarie. Da adesso in poi: sosta vietata, due preghiere; attraversamento di un incrocio con il rosso, tre giorni di digiuno».
Rimbalzano da un posto all´altro barzellette dal sapore agro-dolce. «La sai l´ultima? El-Bireh dovrà cambiare nome». E´ una cittadina vicino a Ramallah e il suo nome significa «la birra», e dunque è in contrasto con la etica islamica. «D´ora in poi si chiamerà "Zamzam", come l´acqua che bevono i pellegrini islamici alla Mecca».
Qualche timore per la sua impresa ce l´ha anche Nadim Khoury, la sua famiglia possiede l´unica fabbrica di birra in Palestina, la «Taibeh», esportata con successo anche Israele e Giordania e prodotta in un villaggio poco distante da Ramallah. Con il classico spirito imprenditoriale mediorientale è convinto di poter trasformare la vittoria degli integralisti in un vantaggioso affare. «Ho già il progetto pronto», dice Khoury, «la Taibeh continuerà a essere prodotta fin quando sarà possibile, ma a questa ne affiancheremo un´altra: la prima birra analcolica prodotta in Palestina. Così si potrà brindare anche con quelli di Hamas». 

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