lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
30.01.2006 Israele, gli Usa e la Germania di fronte alla vittoria di Hamas
cronache e analisi di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari e Aldo Baquis

Testata: La Stampa
Data: 30 gennaio 2006
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein - Maurizio Molinari - Aldo Baquis
Titolo: «Gerusalemme sotto choc non abbasserà la guardia - Gli Usa: assedio economico ,ma sosteniamo Au Mazen - Israele congela i fondo per il governo di Hamas»

Da la STAMPA   di lunedì 30 gennaio 2006, un'analisi di Fiamma Nirenstein sulle reazioni, politiche ed emotive, di Israele alla vittoria  elettorale di Hamas. 

Nessuno ancora ha capito bene che ha vinto Hamas. I Palestinesi per primi. Abu Mazen ha cancellato sabato un incontro a Gaza perchè i suoi servizi segreti e anche le violente manifestazioni degli uomini di Fatah che protestano contro i propri leader, lo avevano avvertito di un serio rischio per la sua vita: il Hamastan, come hanno cominciato a chiamarlo in molti, non è più sicuro per quella che fino a ieri è stata una potente leadership che ha dettato tutte le regole di comportamento interno e esterno. Niente riconoscimento di Israele, cancellati gli accordi di Oslo o qualsiasi altro protocollo, niente riconoscimento del vantaggio portato ai Palestinesi dallo sgombero di Gaza, ripristino del diritto al ritorno e della propaganda contro «il nemico sionista».
Siamo tornati a quindici anni fa, almeno. Per gli israeliani si tratta di una rivoluzione conoscitiva, e l’incertezza sulla opportunità di ulteriori concessioni territoriali impera. Si può trattare con un nemico di cui persino il linguaggio religioso e fanatico, è alieno e ostile? Ma nella nuova situazione Hamas, confuso a sua volta lancia messaggi alterni: ieri su Al Jazeera Mahmoud Al Zahar, il capo di Hamas a Gaza ha detto che le due strisce azzurre sull bandiera Israeliana segnano i due fiumi cui gli israeliani vogliono estendere il loro dominio, dal Nilo al Tigri, ha aggiunto che gli ebrei sono in Israele solo dal 48 e qiuindi son perfetti estranei senza diritti, che la dominazione islamica «è stata l’epoca più costruttiva della storia». Dall’altra vari leader dichiarano disponibilità a una tregua di lunga durata, senza però riconoscere Israele. Ma nessuno intende toccare la Carta che dichiara l’intenzione di distruggere Israele, nessuno parla di fermare la lotta armata.
Hamas dimostra una certa disponibilità a lasciare nella mani di Abu Mazen, che da segni di volerlo, il potere sulle forze dell’ordine, dalla nascita legate al Fatah. La linea di Israele sembra essere al momento molto incerta, perchè comunque la vittoria di Hamas è frutto di una scelta democratica, che insieme a Bush Sharon aveva auspicato, e che poi Olmert ha consentito persino a Gerusalemme anche quando era chiaro che si prospettava una grossa affermazione dell’organizzazione terrorista.
Israele, in generale, per ora esprime un «no» concettuale, perchè dopo tante vittime, tanto odio, tanti attentati agli autobus (fin dal 1992) nessun cittadino israeliano è pronto a considerare un dialogo con Hamas fruttoso o possibile. Per questo, e nella prospettiva che comunque la vicinanza di Hamas, che apre le porte a Iran e Hezbollah, non porterà buoni frutti, Olmert ieri insieme alla sua ministra degli Esteri Tzipi Livni ha chiamato una quantità di capi di Stato e ministri per spiegare ciò che Hamas è, e quel che ha fatto, prima che l’opinione pubblica mondiale si sia abituata alla infelice novità.
Il ministro della difesa Shaul Mofaz ha cominciato a suggerire fra un mare di parole di condanna, che Hamas per ora si comporta responsabilimente, intendendo dire con questo che non gli si conoscono attentati in fieri. Ma il fatto che Lkhaled Mashaal l’arciricercato che vuole ritornare da Damasco a Gaza, dice Israele, non perchè la sua organizzazione è stata votata diventa un agnello che gode di un’immunità che non si è guadagnata con nessuna posizione politica. E’ un terrorista, e se entra in Israele tale sarà considerato, dice Mofaz. Ma Hamas, appena eletto da una costituency che approva la linea secondo la quale Gaza è stata strappata a Israele con la lotta armata, non può recedere dalla sua maggiore fonte politica di consenso.
Appare quindi confusa e tenue la linea del governo Israeliano che dice in sostanza: accetteremo Hamas quando non sarà più Hamas, ovvero quando cancellerà la sua carta e quando deporrà le armi. Hamas non ne ha nessuna intenzione, almeno per ora: anche le minacce economiche degli Usa non lo muovono più di tanto, dato che ha un potente alleato, l’Iran.Centinaia di sostenitori di Hamas marciano a Ramallah per festeggiare la vittoria

Maurizio Molinari spiega la strategia statunitense:

Condoleezza Rice arriva oggi a Londra con l’obiettivo di sottoscrivere con Unione Europea, Russia e Nazioni Unite un duro monito ad Hamas: senza rinunciare alla lotta armata ed alla distruzione di Israele, l’Autorità palestinese sarà isolata, avrà gli aiuti drasticamente ridotti e vedrà allontanarsi nel tempo l’obiettivo dell’indipendenza.
Di fronte alla prima vittoria elettorale di un partito fondamentalista nel mondo arabo dal voto algerino del 1991, la strategia dell’amministrazione Bush viaggia su due binari paralleli: agire nel quadro multilaterale del Quartetto per mettere Hamas con le spalle al muro, facendo in particolare leva sul miliardo di dollari di aiuti che la comunità internazionale ogni anno versa nelle casse dell’Autorità nazionale palestinese; continuare a dialogare con il presidente in carica Abu Mazen, affidando alla sua persona la gestione degli aiuti umanitari e dunque ciò che resta dei rapporti con il popolo palestinese.
La volontà di Washington di ricorrere alla diplomazia per mettere alle strette Hamas si spiega con il fatto che «solo una forte coesione della comunità internazionale - sottolinea David Makovsky, analista di Medio Oriente del Washington Institute - può obbligarla ad essere più pragmatica, rinunciando ad un’ideologia contraria alla presenza di ebrei in Palestina». Nel comunicato che è stato emesso dal Quartetto subito dopo il voto palestinese c’è la richiesta a «non includere nel nuovo governo alcuna personalità contraria all’esistenza di Israele ed alla rinuncia del terrorismo» ed il Dipartimento di Stato è convinto che se a Londra si farà un passo in più, riferendosi direttamente alla questione dei fondi, Hamas riceverà il messaggio opportuno.
L’altro pilastro dell’approccio multilaterale del Segretario di Stato è quello dei Paesi arabi: si aspetta pressioni convergenti su Hamas da Egitto e Giordania, entrambi garanti degli accordi siglati fra Israele ed Anp dal 1993, e dall’Arabia Saudita, la nazione dalla quale proviene la maggioranza di donazioni private per il partito fondamentalista. Se tutti i tasselli andranno al loro posto Hamas sarà oggetto di assedio politico-economico da parte della comunità internazionale che potrebbe indurla a maggiore realismo.
Al fine che ciò riesca l’intenzione della Rice è di adoperare non solo il bastone ma anche la carota, continuando a testimoniare la volontà di dialogo con il popolo palestinese nella prospettiva di creare uno Stato indipendente a fianco di Israele. «Gli Stati Uniti non tratteranno direttamente con Hamas ma con il presidente Abu Mazen - anticipa Rachel Bronson, responsabile Medio Oriente del Council on Foreign Relations - e probabilmente attraverso questo canale continueranno a far arrivare alla popolazione aiuti di tipo umanitario».
Differenziando fra isolamento di Hamas e attenzione per i palestinesi gli Stati Uniti si avviano a ripetere nei Territori lo schema che già seguono nei confronti dell’Iran, dove il braccio di ferro con Mahmud Ahmadinejad su terrorismo e nucleare fa sempre attenzione a non confondere popolo e regime. Alla base di questo approccio americano c’è la convinzione che i palestinesi abbiano votato in massa per Hamas non perché contrari alla pace con Israele ma in quanto determinati a liberarsi della corrotta leadership di Al Fatah. E’ stato lo stesso presidente americano, George W. Bush, a tradire questa convinzione ricordando che «Abu Mazen è a favore della pace ed è stato eletto a grande maggioranza dal popolo palestinese».
Ma il successo della strategia del doppio binario dipende anche da un altro fattore ovvero dal generale William Ward, responsabile Usa della sicurezza nei Territori, la cui missione nelle ultime 96 ore è drasticamente mutata: se prima doveva monitorare l’applicazione della Road Map ora è chiamato a prevenire le infiltrazioni di agenti siriani ed iraniani, alleati di Hamas.
George Bush cerca di mettere insieme un fronte internazionale contro Hamas.

Aldo Baquis riferisce della visita di Angela Merkel in Israele e della sua ferma presa di posizione verso Hamas. Un esempio che ci si augura sia seguito dagli altri paesei europei. 

All'indomani delle elezioni palestinesi e della grande vittoria degli islamici di Hamas, la cancelliera tedesca Angela Merkel è giunta ieri a Gerusalemme per sentire dal premier ad interim israeliano Ehud Olmert e quindi, a Ramallah, dal presidente palestinese Abu Mazen se sia ancora realistico puntare sul Tracciato di pace elaborato dal Quartetto.
In una conferenza stampa con Olmert, Merkel ha ribadito che la Germania non avrà alcun contatto con Hamas finché quella organizzazione non avrà riconosciuto Israele, ripudiato il terrorismo e accettato tutti gli impegni internazionali assunti dall'Anp. Se gli islamici non accetteranno questi punti, ha aggiunto, l'Unione europea dovrebbe sospendere gli aiuti all'Anp.
Merkel ha poi avuto parole di biasimo nei confronti del presidente iraniano Ahmadinejad. Le sue dichiarazioni circa la necessità di eliminare Israele «sono inaccettabili» e i suoi programmi nucleari rappresentano una minaccia - non solo per Israele ma tutto il mondo democratico occidentale.
Olmert ha confermato una unità di vedute su questi argomenti con la Merkel. Sulla delicata questione del versamento all'Anp di cifre ingenti, relative a dazi doganali incassati da Israele, Olmert ha anticipato che per il momento quei fondi saranno congelati. Da un lato Israele ammette che spettano all'Anp, ma dall'altro non vuole certo fornire possibilità economiche a un movimento che predica la lotta armata ad oltranza contro Israele in vista della sua futura distruzione. Una possibilità è che siano in definitiva versati a terzi, in funzione di garanti.
Nel frattempo tutti gli occhi sono puntati sul presidente Abu Mazen che è impegnato in un braccio di ferro con Hamas nel tentativo di non cedere al futuro governo dell'Anp il comando sui servizi di sicurezza palestinesi. Diversi comandanti hanno già espresso fedeltà alla sua persona e hanno anticipato che «non prenderanno ordini da Hamas». Gli islamici per ora non hanno alzato troppo la voce, ma hanno chiarito che la questione dovrà essere discussa, a tempo debito, dal parlamento.


Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT