Sul CORRIERE della SERA del 28.1.2006 è uscito in prima pagina un editoriale di Angelo Panebianco. Lo pubblichiamo integralmente, seguito dal commento di Giorgio Israel.
Ecco l'articolo:
La democrazia è una fragile scommessa. Può essere cancellata se la maggioranza degli elettori vota, democraticamente, per un partito di tagliagole. Come accadde nel caso di Hitler. Stretti fra i «corrotti» (Fatah) e i «fanatici» (Hamas), i palestinesi hanno scelto questi ultimi. Sfortunatamente per loro, saranno i primi a pagare per aver dato il potere a un gruppo terrorista e razzista (che odia gli israeliani in quanto ebrei) e per il quale la distruzione di Israele non è un obiettivo modificabile in un meeting di partito, ma un dogma religioso che definisce l'essenza del movimento. Già si levano voci in Europa, e in Italia, pronte a vendere la pelle dell'orso: l'esercizio del potere, si sente dire, trasformerà Hamas in una forza responsabile. Qualche volta accade ma spesso non accade affatto. Comunque, è verosimile che perché un movimento di fanatici religiosi come Hamas sperimenti una tale mutazione occorrano (ammesso che ciò possa succedere) molti anni.
In tempi brevi sembrano possibili solo due scenari. Nel primo, Hamas sfrutta le divisioni fra americani ed europei, fa leva sulla propensione dell'Europa a credere a ciò che le conviene e, tenendo fermi gli obiettivi strategici, adotta una tattica «responsabile»: affida il premierato a un leader non di Hamas (che i diplomatici europei possano incontrare senza perdere del tutto la faccia), mette momentaneamente la sordina ai propositi sanguinari, dichiara di volersi concentrare per ora solo sui gravi problemi del suo popolo, mantiene qualcosa di simile a una tregua con Israele. Con l'obiettivo di ottenere dall'Europa di non essere più considerato un movimento terrorista e non perdere i cospicui finanziamenti (nel 2005 erano previsti 500 milioni di euro da parte della Commissione e dei governi europei) per l'assistenza, in varie forme, ai palestinesi. Nel frattempo, si consolida come forza di governo aspettando il momento migliore per rilanciare l'offensiva armata.
Ma c'è anche un altro possibile scenario, ancor più cupo. Per una combinazione di ragioni interne (i problemi economici e le divisioni fra le diverse bande armate) ed esterne (le alleanze internazionali di Hamas) il lupo non riesce a travestirsi da agnello. E' una regola della politica che quando i problemi interni risultano ingovernabili il modo migliore per mantenere il consenso è innalzare la tensione con il nemico. Hamas potrebbe presto scoprire che per governare ha bisogno di rappresaglie israeliane continue. Deciderebbe in tal caso di riscatenare il terrorismo. Le inevitabili ritorsioni israeliane darebbero coesione alla società palestinese, consentendo ai suoi nuovi governanti di sbarazzarsi delle altre bande armate e magari anche di porre termine a quella democrazia laica e pluripartitica che li ha portati al potere ma che, come integralisti, avversano. E poi ci sono le pressioni degli alleati: l'Iran di Ahmadinejad, la Siria, Hezbollah, interessati a moltiplicare le tensioni in Medio Oriente anche per far fallire la democratizzazione di Iraq e Libano e prendere la guida del mondo musulmano. In questo caso, una guerra fra Israele, appoggiato dagli Stati Uniti, e gli Stati e i movimenti estremisti diventerebbe una eventualità vicina.
Il primo compito degli europei dovrebbe essere quello di chiarire ad Hamas che né appoggi diplomatici né un solo euro arriveranno mai a chi non rinuncia per sempre a terrorismo e lotta armata.
il commento di Giorgio Israel:
Angelo Panebianco ha illustrato in un articolo di grande chiarezza (Corriere della Sera, 28 gennaio 2006) le due alternative che si prospettano dopo la vittoria di Hamas. Una peggiore dell'altra. La prima è che Hamas mostri un doppio volto: accettabile sul piano ufficiale, in modo da non rendere possibile alla diplomazia internazionale, e in particolare a quella europea, un incontro con un primo ministro palestinese, senza perdere la faccia; e dietro l'apparenza rispettabile, un'attività intensa mirante a rafforzare il proprio potere militare in attesa di scatenare una nuova offensiva terroristica e militare. La seconda alternativa è che Hamas non riesca per una serie di congiunture a tenere in piedi questa linea bilanciata, e sia costretta dalle difficoltà di gestire la situazione economico-sociale interna e dalle pressioni dei suoi "alleati" (Iran, Hezbollah, Siria) che vogliono tener caldo il fronte antioccidentale, a scatenare presto una nuova ondata terroristica, il che condurrebbe in breve a una guerra regionale. Una prospettiva comunque inquietante. Difficile capire l'ottimismo di Emanuele Ottolenghi (Il Riformista, 27 gennaio 2006), secondo cui il risultato elettorale palestinese è il migliore che si potesse avere. La sua analisi appare alquanto superficiale, basata com'è sul paradigma leninista secondo cui "peggio è meglio" (ci mancava pure riesumare Vladimir Ilich...).
Quel che rende l'analisi di Panebianco convincente è che esiste un anello debole in questo panorama, ed è l'Europa. Troppo facile e ottimistico ritenere che l'Unione Europea mostrerà un volto duro, subordinando la continuazione del suo sostegno economico ad una chiarezza che non è stata chiesta nel passato e sarebbe un miracolo che venga nel futuro. Se Hamas mostra una facciata rispettabile, gran parte dell'Europa tirerà un respiro di sollievo e sarà lieta di accontentarsi e non guarderà cosa accade dietro, se gli attentati o i lanci di missili Qassam si manterrano a un livello sporadico. Ma non è affatto evidente che lo scatenamento, sia pure non immediato, di un nuovo fronte terroristico basti a indurre le autorità europee a mettere Hamas con le spalle al muro.
Non si vede perché mai si debba determinare un così grande cambiamento di atteggiamento da parte di un'Unione Europea che ha continuato a indirizzare fiumi di denaro verso l'ANP senza chiedere minimamente conto di come venissero usati. C'è voluta una campagna estenuante per mettere sotto i riflettori la questione dell'educazione all'odio nelle scuole palestinesi, la questione dei libri di testi che fomentano un bestiale odio antiebraico e che sono pubblicati con i nostri denari. E ancora ieri tantissimi negavano l'esistenza del problema: pensiamo a tanti uomini politici e giornalisti - in particolare nel nostro paese - che hanno persistito e persistono in questo diniego spudorato.
L'ANP che oggi si straccia le vesti per il successo di Hamas dovrebbe cospargersi il capo di cenere per aver favorito in tutti i modi possibili il successo del terrorismo estremista. E l'Europa, che per prima ha contribuito a questo desolante esito, dovrebbe riflettere alla sua cecità durata fino a ieri.
Valgano per tutti due esempi recentissimi.
Il 22 agosto 2005 il Ministero della Cultura dell'ANP ha pubblicato nel suo "Libro del mese" una raccolta di poemi in onore della terrorista suicida Hanadi Jaradat, che ha ucciso 21 israeliani. La raccolta (dal titolo "Che ha detto Hanadi?) è stata distribuita come supplemento del quotidiano Al-Ayyam.
Vi si legge un poema che glorifica l'attentato suicida di Hanadi Jaradat definito come "scopo supremo":
«Oh! Hanadi! Fai tremare il suolo sotto i piedi dei nemici! Fallo esplodere! Hanadi ha detto: " Sono le nozze di Hanadi, il giorno in cui la sua morte come martire per Allah, diviene lo scopo supremo". Oh! Hanadi! Fai tremare il suolo sotto i piedi del nemico! Fallo esplodere. Sono Sono le nozze di Hanadi, il giorno in cui la sua morte come martire per Allah, diviene lo scopo supremo che libera la mia terra».
Un altro caso. Nel quotidiano ufficiale dell'ANp, Al-Hayat Al-Jadida (21 agosto 2005), si descrive con toni tutt'altro che critici (per essere eufemistici) la creazione da parte di Hamas di una brigata di donne candidate al terrorismo. Sì, l'ANP esalta questa iniziativa di Hamas: avete letto bene.
Il quotidiano palestinese pubblica la foto di queste donne che si addestrano con fucili automatici e scrive:
«Fonti di Hamas hanno rivelato l'esistenza di truppe militari composte da donne nel seno delle brigate Izzadin Al-Qassam. È un annuncio che interviene dopo che le brigate Al-Quds, braccio armato del Jihad islamico, hanno reso pubblico otto mesi fa un video in cui decine di donne combattenti o aspiranti al martirio, vestite di un'uniforme militare ampia, si addestravano utilizzando ogni tipo di armi sofisticate e di lancia-missili.
Il giornalista del Centro dei Media Palestinesi che ha incontrato queste truppe ha dichiarato che era stato perquisito completamente e aveva dovuto sottoporsi a misure di sicurezza draconiane prima di entrare nel centro di addestramento femminile.
Secondo fonti delle brigate Al-Qassam, questa unità, composta di donne civili palestinesi, si addestra a maneggiare ogni sorta di armi che si trovano nella striscia di Gaza, come ad esempio i missili Al-Qassam.
Queste donne si addestrano in gruppo. Uno di questi gruppi si addestrava a preparare e deporre esplosivi, un altro all'uso dei lancia-missili, un altro a quello degli obici di mortaio, un altro ancora all'assalto.
Un membro dell'unità ha spiegato che queste donne si allenano per partecipare agli sforzi dispiegati per la Jihad e la liberazione.
Questa donna, portavoce dell'unità, portava un'uniforme militare e aveva il viso coperto da un velo; essa portava un mitra in spalla e un revolver sul fianco.
Occorre sottolineare che queste truppe femminili terroriste costituiscono un fenomeno unico nei movimenti islamici. Questo ruolo militante delle donne è stato svelato per la prima volta dagli atti di sacrificio messi in atto da Hiba Al-Daraghma e Hanadi Jaradat delle nrigate Al-Quds e Reem Rihashi delle Brigate Al-Qassam».
Questo veniva pubblicato mentre Israele si ritirava da Gaza. Qualcuno ha fiatato?
Il commento di Giorgio Israel è utilissimo anche per rispondere all'articolo di Barbara Spinelli sulla Stampa di oggi, idem per il commento di Lucia Annunziata sempre sulla Stampa di oggi (entrambi su IC)
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