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La Stampa Rassegna Stampa
29.01.2006 Annunziata come Spinelli
Con Hamas sui deve trattare, anche se vogliono distruggere Israele

Testata: La Stampa
Data: 29 gennaio 2006
Pagina: 24
Autore: Lucia Annunziata
Titolo: «Con Hamas l'unica strada è la trattativa»

"Con Hamas l’unica strada è la trattativa" è il titolo che precede la lettera di un lettore pubblicata nella rubrica di Lucia Annunziata sulla STAMPA di oggi 29.1.2006. Un titolo che riassume la posizione di Annunziata: i terroristi non si combattono ma si viene a patti. Una opinione che si accosta bene con quella espressa in prima pagina da Barbara Spinelli (vedi IC di oggi).Per quanto riguarda il film "Munich" rinviamo all'articolo di Angelo Pezzana pubblicato su LIBERO di oggi (leggibile su IC). Sarà bene che la direzione della STAMPA riceva lettere di parere opposto. Dopo la risposta di Annunziata, cliccare sulla e-mail sottostante.

MI ha profondamente deluso la posizione su Hamas da lei espressa come risposta a un lettore su La Stampa di oggi \. Mi aspettavo un po’ più di buonsenso. Ma io dico, come si può essere così distaccati e pensare che poi tutto aggiusta la diplomazia! Israele è in pericolo costante e Hamas è ora una nuova spada di Damocle sulla sua testa. Questi sono i momenti in cui bisogna essere senza equivoci sul pericolo e su come lo si affronta.
Piero Ottolenghi, Roma


Ho visto ieri sera il film Munich di Spielberg, appena arrivato in Italia. Tre ore molto intense. La storia è quella del gruppo di uomini che viene incaricato da Israele, negli anni successivi all’attacco di Monaco, di trovare e uccidere gli undici arabi mandanti dell’attentato in cui venne uccisa la squadra olimpica di Israele. Il film ha suscitato molte polemiche dentro e fuori Israele. Ma il dibattito cui quel film è dedicato vale per tutti: la «vendetta» è infatti solo il paradigma del dilemma morale fra violenza e legalità. Soprattutto nel mondo dei «Giusti», intentendo, in specifico, Israele, ma anche, in generale, il mondo delle Leggi, cioè la democrazia occidentale. Possono i «Giusti» scegliere le stesse armi dei loro persecutori? C’è un obbligo etico delle società che credono nelle leggi nel non assumere strumenti «fuorilegge»? E, quando si assumono gli stessi mezzi dei terroristi, alla fine non si diventa come loro? Infine: fino a che punto la sopravvivenza della propria società può piegare a sé le scelte individuali. Golda Meir ripete nel film quello che la storia le attribuisce: «C’è un momento in cui ogni civiltà deve fare i conti con i suoi valori», e autorizza la missione-vendetta.
Cito questo film perché ricorda a tutti che molti dei dubbi che noi abbiamo oggi sulle scelte da fare, hanno radici lontane. Solo in epoca moderna, ha accompagnato la nascita e lo sviluppo di Israele. Ma dopo gli attacchi del 9/11 agli Stati Uniti si sono riproposti di nuovo a tutte le nostre società. In merito siamo divisi, c’è poco da dire: c’è chi pensa che la lotta al terrorismo viene prima di tutto, e chi crede che la lotta al terrorismo non può farci diventare come loro. Io sono della seconda opinione, e non mi sento per questo debole o moderata. Quando ci sono crisi come quelle che abbiamo di fronte, la soluzione può solo essere lunga, difficile, ed avere molti aspetti. La guerra ha provato essere in questi ultimi decenni, una sorta di desiderio di fare tutto presto, e togliersi il dente. Ma si è poi sempre dovuto ritornare a mediazioni, e trattative complesse.
Lucia Annunziata


lettere@lastampa.it

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