"Pregiudizi" ? Evitiamo quelli su Hamas, coltiviamo quelli su Israele l'"illuminata" scelta di padre Pizzaballa
Testata: Famiglia Cristiana Data: 27 gennaio 2006 Pagina: 1 Autore: Alberto Chiara Titolo: «La speranza oltre i muri»
Famiglia Cristiana nel numero 5 del 29 gennaio, nella sezione “Attualità”, pubblica un articolo a firma di Alberto Chiara intitolato “La speranza oltre i muri”
L’articolo analizza la situazione dei cristiani in Israele negli ultimi anni ma purtroppo non mette in evidenza, in maniera adeguata, le vere “cause” che hanno portato molti cristiani ad abbandonare la Terra Santa, e cioè i soprusi e le vessazioni commesse dai musulmani. Anzi il francescano Padre Pizzaballa, intervistato dal giornalista, insinua che è “il muro voluto dal Governo israeliano che ha spezzato in due proprietà e comunità cristiane”. Che “il muro” sia in realtà una barriera difensiva contro un terrorismo sanguinoso e che, grazie al “muro”, gli attentati compiuti dai loro “amici palestinesi” contro i civili israeliani siano diminuiti dell’80% …………non si fa menzione. Padre Pizzaballa esordisce: “ Dal 2000 al 2005 abbiamo vissuto anni veramente molto difficili. Abbiamo provato un senso di abbandono e di solitudine a causa dell’assenza di pellegrini.” Il buon padre si esime però dall’informare il lettore che in quegli anni le feroci stragi quotidiane che i kamikaze palestinesi perpetravano contro gli israeliani, bambini, donne, anziani scampati alla Shoah, giovani studenti, rendevano troppo pericoloso per i pii cristiani un viaggio in Terra Santa. Era quindi il timore di saltare in aria su un autobus, o in una pizzeria o passeggiando per le strade di Gerusalemme (come capitava agli israeliani ogni giorno) che ha tenuto i pellegrini lontano dai luoghi santi e non certo le scelte del governo israeliano!! La faziosità di Padre Pizzaballa arriva al suo culmine quando di fronte alle affermazioni del direttore della TV locale Al Mahdeh che racconta di 93 casi di stupri, rapimenti, furti commessi da musulmani ai danni di cristiani risponde: “Occorre una investigazione più approfondita, caso per caso; bisogna non generalizzare ………….” Ancora. Dinanzi al timore che le elezioni del 25 gennaio rafforzino i fondamentalisti di Hamas il buon Padre risponde: “Il rischio esiste, ma non avrei tutta questa paura…è un movimento molto attivo sul territorio con scuole, dispensari, centri di aiuto per i più poveri………..” La realtà è che Hamas è una formazione terroristica, responsabile delle stragi più efferate compiute in Israele in questi ultimi anni, che non ha mai riconosciuto lo Stato ebraico e proclama da sempre, a gran voce, la volontà di distruggerlo!! L’ottimismo del religioso appare dunque non solo inopportuno ma offensivo nei confronti di coloro che aspirano ad una democrazia, alla pace e alla civile convivenza fra i popoli: valori che animano da sempre il popolo israeliano e ne guidano le scelte politiche e sociali.
Dopo queste riflessioni che ci auguriamo inducano il lettore a leggere l’articolo con uno spirito sgombro da pregiudizi, riportiamo integralmente l’articolo.
Dipende da come la si vuole guardare. Può essere solo una questione riconducibile a un drammatico scioglilingua, ovvero a una faccenda di date, di dati e di doti. Ma può anche essere, più compiutamente, un delicato intreccio di libertà cercate e non sempre soddisfatte, di speranze che s’infrangono contro altre speranze, pressoché identiche, ma opposte, di futuro incerto per molti, se non proprio per tutti. Il 25 gennaio si vota nei territori governati dall’Autorità nazionale palestinese, il 28 marzo si vota in Israele. I cristiani – complessivamente intesi – sono sempre di più mosche bianche, in Terra Santa: nel 1948 erano il 14 per cento dell’intera popolazione, oggi sono il 2 per cento scarso. I beni delle varie Chiese sono ambìti da ebrei e musulmani che mirano, comprando terre e palazzi, a modificare a loro vantaggio gli attuali rapporti di forza, anche e soprattutto dal punto di vista economico-sociale. Cosa che ovviamente genera sospetti, risentimenti. E qualche controffensiva. Il 7 maggio 2005, per dire, a Gerusalemme, il sinodo greco-ortodosso ha destituito senza tanti complimenti il patriarca Ireneos I accusato di aver venduto a una holding ebraica un complesso di edifici nella città vecchia all’insaputa dei suoi confratelli. Ma la terra che fu di Gesù è qualcosa di più e di diverso. Padre Pierbattista Pizzaballa è un frate francescano, nato a Cologno al Serio (Bergamo) il 21 aprile 1965. Sacerdote dal 15 settembre 1990, ha imparato così bene l’ebraico moderno, al punto da insegnarlo presso la facoltà francescana di Scienze bibliche e di archeologia a Gerusalemme. Dal maggio 2004, padre Pizzaballa è custode di Terra Santa. «La ripresa dei pellegrinaggi ha determinato, in maniera neppure troppo indiretta, il mutamento di clima e di prospettive per le comunità cristiane», esordisce. «Dal 2000 al 2005 abbiamo vissuto anni veramente molto difficili. Abbiamo provato un senso di abbandono e di solitudine a causa dell’assenza di pellegrini. La crisi economica che ne è scaturita ha fatto il resto. In cinque anni sono definitivamente emigrati all’estero circa 3.000 cristiani. Oggi, in tutta la Terra Santa, le comunità locali contano complessivamente 175.000 fedeli circa, dei quali 80.000 sono cattolici, a fronte di 6.000.000 di ebrei e di 3.000.000 di musulmani. La ripresa dei pellegrinaggi, sensibile a partire da prima di Natale, ha significato il ritorno al lavoro e una sorta di solidarietà tangibile tra credenti di differenti parti del mondo». Se c’è un punto, un paese, un villaggio che incarna a mo’ di simbolo la fatica e la speranza dell’essere cristiani in Terra Santa, padre Pizzaballa non ha dubbi. Indica Betlemme. «Il muro voluto dal Governo israeliano ha spezzato in due proprietà e comunità cristiane. Lì, però, come un po’ dappertutto in verità, si cerca ostinatamente di perseguire la via del dialogo. E proprio lì, ultimamente, s’è registrata una maggior attenzione della polizia palestinese a difesa dei nostri diritti, non sempre protetti a sufficienza». A Betlemme, il direttore della Tv locale Al Mahdeh, che in arabo signifca "Natività", aveva raccontato le vessazioni commesse da musulmani ai danni di cristiani, censendo 93 casi tra il 2000 e il 2004: stupri, rapimenti, furti e addirittura qualche omicidio. Padre Pizzaballa invita alla cautela: «Occorre un’investigazione più approfondita, caso per caso; bisogna non generalizzare e non fomentare un’indiscriminata reazione d’odio; comunque sia, da tempo la polizia palestinese è più vigile e sollecita nel difendere i nostri diritti». C’è il timore che l’esito delle votazioni del 25 gennaio rafforzino le frange fondamentaliste a danno dei settori più dialoganti dell’Autorità nazionale palestinese. «Il rischio esiste», ammette Pizzaballa, «ma non avrei tutta questa paura. L’appuntamento è importante: sono le prime elezioni da 10 anni, segneranno certamente un ricambio generazionale. Ci sarà una maggioranza e un’opposizione. Se vogliamo parlare di Hamas, parliamone. Segna un’alternativa netta rispetto al vecchio establishment; è un movimento molto attivo sul territorio con scuole, dispensari, centri di aiuto per i più poveri. Non tutti coloro che votano o voteranno Hamas sono fanatici musulmani che vogliono un islam duro, radicale. Ci sono anche elettori che vogliono facce nuove. Il vero ostacolo è che Hamas non esita a imbracciare le armi e che giudica "morti" gli accordi di Oslo del 1993, con il reciproco riconoscimento tra Israele e Olp». In molti si chiedono se sia peggio il crescente fanatismo islamico oppure il muro voluto da Israele e le politiche non sempre benevole del Governo di Gerusalemme nei confronti dei cristiani... «Le comunità cristiane sono per tutti presenze scomode», ragiona padre Pizzaballa. «Sia pure con i loro limiti e con i loro difetti rappresentano un altro punto di vista con cui confrontarsi. Da parte nostra ci proponiamo come uomini di pace e di dialogo». Esistono piccoli germogli di speranza, come il senso di fratellanza coltivato da cristiani palestinesi e cristiani di espressione ebraica, circa 1.500 divisi tra Gerusalemme, Tel Aviv, Haifa, Latroun e Beer Sheva. Prove tecniche di ascolto e di comprensione che alimentano la fiducia in un domani diverso.
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