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La Stampa Rassegna Stampa
27.01.2006 Hamas: un falso storico
di Mimmo Càndito

Testata: La Stampa
Data: 27 gennaio 2006
Pagina: 3
Autore: Mimmo Càndito
Titolo: «La Stampa»

La STAMPA di venerdì 27 gennaio 2006 pubblica un articolo di mimmo Càandito sulla storia di Hamas: "La spina nel fianco di Arafat che piaceva al Mossad". Il sottotitolo recita:"Uno scenario che ricorda i legamiin Afghanistan tra gli Usa e i mujaheddin".
 Nessuno ha mai portato una sola prova di un legame tra il Mossad ed Hamas, di una politica israeliana anche solo paragonabile ai rapporti (di sostegno militare) tra gli Stati Uniti e i mujaheddin . Non lo fa ovviamente neanche Càndito, che però trova il modo di dare plausibilità a una tesi inconsistente attraverso un grave anacronismo. Hamas, come spiega Davide Frattini sul Corriere della Sera , è stata fondata, non con l'attuale nome,  a Gaza, come filiazione dei Fratelli musulmani egiziani,  nel 1973, come organizzazione religiosa  ed assistenziale. Alla fine degli 70 e all'inizio degli 80 risale la politica israeliana di sostegno al sistema di servizi sociali dell'organizzazione. Che all'epoca si occupava solo di assistenza e di predicazione, mentre Al Fatah, che negava il diritto all'esistenza di Israele, si occupava solo di terrorismo. Tuttavia, nel 1984, lo scontro tra gli integralisti islamici e le autorità israeliane è già inevitabile: Israele arresta Ahmed  Yassin e altri 12 seguaci. Rantisi, che prende le redini del movimento, inizia ad accumulare armi. Nel 1988, con lo scoppio della prima intifada compare il nome Hamas, e i Fratelli musulmani palestinesi fanno il loro esordio nella "lotta armata" contro Israele".  Che ovviamente, da lì in poi (ma anche da prima) non darà loro alcun sostegno.
Secondo la ricostruzione di Càndito Hamas nasce nel 1987, sostenuta da una decisione di Shimon Peres, che punta a colpire Al Fatah.
Un cambio di date che stravolge il quadro storico e che permette di attribuire falsamente a Israele la responsabilità di un'organizzazione che  persegue la sua distruzione e che colpisce i suoi cittadini con stragi indiscriminate.
Ecco il testo:

Chissà mai quali pensieri amari si stiano torcendo in questo momento nell’animo di Shimon Peres, il vecchio leader laborista d'Israele. Perchè è Peres il vero padre di Hamas, colui che ne decise sostanzialmente la vita nell'87, quando la prima Intifada stava scuotendo le resistenze della società israeliana e metteva in crisi la capacità di controllo della destabilizzazione aperta dai «ragazzi delle pietre», con quel loro assalto a mani nude contro l'armata di Tzahal. Certo, Peres non fu solo, in quella decisione: l'appoggiava il governo e però anche l'opposizione, perchè a tutti - agli uni e agli altri allo stesso modo - appariva razionale dare forza al nemico del nemico, in un gioco spregiudicato di alleanze di fatto che la politica non teme mai di praticare (salvo, poi, a ritrovarsi nell'apprendista stregone che non sa più controllare il suo mostro).
A quel tempo, il nemico d'Isarele era solamente e unicamente Arafat. Al-Fatah governava attraverso l'Olp le speranze e le rivendicazioni del popolo palestinese, e Al-Fatah aveva in lui il solo leader e il solo interprete. Dall'interno della società palestinese stavano però venendo fuori, intanto, spinte radicali che non si riconoscevano più nei vecchi strumenti politici dei movimenti di Habbash o di Jibril (legati comunque, l'uno e l'altro, al traccheggio che Arafat pilotava dentro l'Olp con sapienza levantina); erano spinte che, in un furore di estremismo ideologico, legavano la lotta nazionalista contro «il nemico sionista» a pratiche di forte impegno religioso: la guerra contro Israele era anche la guerra dell'Islam.
Oggi, nelle viscere d'un processo conflittuale che rischia di stritolare dentro le fazioni del fondamentalismo islamico ogni progetto di pace, appare naturale che in Medio Oriente tensioni politiche e atti di terrorismo si mostrino fusi in un magma indistinto d'ideologia e di religione. Ma nell'87, al di là delle pratiche - consolidate ma marginali - della Fratellanza Musulmana, questo magma appariva un pericolo di ben poco conto, tanto più che la spinta della rivoluzione khomeinista s'era intanto impantanata nelle marshes irachene di Saddam Hussein. E gli strateghi israeliani (ma dentro ci si può mettere anche il Dipartimento di Stato americano) decisero allora ch'era conveniente dare appoggio a questo nuovo movimento, in modo da indebolire la posizione negoziale di Arafat.
Lo scenario è assai simile a quello che venne applicato dal governo americano in Afghanistan negli anni Ottanta, quando l'appoggio in denari e in armi (i 350 missili Stinger, soprattutto) ai mujaheddin che lottavano contro l'Armata Rossa parve lo strumento migliore per riportare Breznev all'interno delle vecchie geografie politiche. Breznev, o comunque l'Urss, ne uscì sicuramente sconfitto, e l'Armata Rossa riprese a bandiere abbbassate la strada di casa attraverso l'antico ponte sull'Amu Daryia; però intanto s'era formato un esercito clandestino di guerriglieri islamici - li chiamavano «gli afghani». E oggi sono, questi, gli stessi «afghani» che danno battaglia agli americani in Iraq.
Ma l'appoggio tattico fornito da Israele, e da Washington, al nascente movimento estremista di quell'87 non avrebbe potuto portare al risultato politico di questi giorni se Hamas non avesse avuto comunque, al proprio interno, tutte le componenti politiche e organizzative necessarie a radicare la sua presenza all'interno del mondo palestinese. «Hamas», in arabo, significa «zelo, entusiamo, ardore», ed è sicuramente questa la connotazione principale del movimento; ma quel suo nome è anche l'acronimo di Harakat al-Mukawama al-Islamiya, che vuol dire Movimento Islamico di Resistenza, ed è sicuramente, questa, l'identificazione d'un progetto politico di Resistenza che poco ha a che fare con i processi di pace e di negoziato tra Israele e l'Autorità Palestinese. Hamas, infatti, non soltanto non intende riconoscere lo Stato d'Israele, ma ne predica la scomparsa immaginando che quella «resistenza» ch'esso guida debba portare al recupero dell'intero territorio che si stende «tra il mare e il fiume», cioè tra Mediterraneo e Giordano. Lo stesso territorio dove oggi vive il popolo d'Israele.
Le componenti che hanno fatto di Hamas uno strumento oggi dominante nella vita politica del mondo palestinese sono sostanzialmente due: il suo progetto politico-militare, e la sua penetrazione estremamente ramificata nella società palestinese. Il progetto politico-militare ha trovato sempre più consenso, dopo che l'Autorità Palestinese è apparsa incapace di portare a risultati concreti il negoziato con Israele; la radicalizzazione, quando la politica entra in crisi, è uno sbocco praticamente inevitabile nelle condizioni conflittuali, e Hamas oggi cavalca facile sui malumori e sulle delusioni dei palestinesi. Ma è soprattutto la ramificazione sociale, lo strumento più efficace di propaganda e di proselitismo di Hamas: la sua presenza a livello di base, con gli ambulatori medici, le scuole, le moschee, l'assistenza alle famiglie dei più bisognosi, crea una rete di solidarietà e di identificazione che l'Autorità Palestinese non può nemmeno immaginare di contrastare. E gli spazi che dovrebbero essere delle istituzioni ufficiali vengono invece occupati dagli uffici, modesti, poveri, ma credibili, di Hamas.
Il risultato di questa rete capillare è il voto dell'altro ieri. E la lotta nazionalista della vecchia Olp è ormai una guerra di religione, dove fondamentalismo e militarizzazione sono la stessa drammatica faccia d'un processo politico in piena crisi.

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