Sul FOGLIO di mercoledì 26 gennaio 2006 Christian Rocca si inserisce, con un'opinione molto netta e ben argomentata, nel dibattito sui rischi della democratizzazione del Medio Oriente.
Ecco il testo:
L’ultimo rifugio di quelli che dall’11 settembre 2001 a oggi non-ne-hanno-azzeccata- una è un nostalgico “si stava meglio quando si stava peggio”. I palestinesi votano a Gaza? Un disastro, signora mia. La democrazia per gli arabi? Una pia illusione di quei pasticcioni degli americani. Trattandosi di ex territorio occupato da Israele, i nostalgici che scrivono sui giornali non arrivano a rimpiangere i carri armati con la stella di David. Restano però più che scettici sul futuro democratico dei popoli arabi, quasi fossero “unfit”, incapaci di vivere senza un bel dittatorone coi baffi che li educhi e li bastoni per benino. I nostalgici hanno un bel record di opinioni separate dai fatti. Prima hanno spiegato che gli americani non avrebbero mai e poi mai invaso l’Iraq, un quarto d’ora dopo hanno profetizzato un Vietnam nel deserto a causa di una bufera di sabbia. Poi hanno previsto che i marines si sarebbero ritirati immediatamente e a gambe levate. In seguito hanno raccontato come e perché Bush e Blair avrebbero perso le elezioni. Non contenti di tali previsioni sballate, hanno immaginato che i rieletti George e Tony avrebbero cambiato linea politica, che sarebbero diventati più buoni e finalmente più attenti ai loro preziosi suggerimenti. Così hanno irriso ogni ipotesi di voto in Afghanistan e in Iraq, predetto sollevamenti delle piazze arabe e la fine del processo di pace. Quando, mannaggia a Bush e a Sharon, si è formata una nuova leadership palestinese, Israele si è ritirata dai territori, si è cominciato a parlare concretamente di Stato palestinese e a Kabul, Baghdad e Gaza si è votato veramente, gli editorialisti accigliati hanno convenuto che nella regione si sarebbero aperti foschi scenari teocratici. Passata la nuttata del pericolo islamico nella Costituzione irachena, i nostalgici dello status quo hanno sviscerato le differenze etniche dell’Iraq e preannunciato il ripido declino verso la guerra civile. E’ andata male pure questa. Le diverse etnie irachene si sono messe d’accordo e i sunniti di Ramadi hanno cominciato a dare la caccia agli sgherri di al Qaida. A quel punto gli analisti dei giornali italiani si sono trovati a corto di argomenti. Che fare? Ora, finalmente, pare ne abbiano trovato uno: si stava meglio quando si stava peggio. A Gaza, per esempio. La partecipazione al voto di Hamas, invece di essere salutata comunque come un evento positivo, fa tanto sospirare i nostalgici del “quando c’era Lui”, cioè Arafat. A leggere gli editoriali degli ultimi due giorni, non del Manifesto ma del Corriere della Sera, gli americani non sono riusciti a promuovere la democrazia, ma a esportare la teocrazia. A costoro non importa leggere i recenti dati di Freedom House, i quali registrano il miglior risultato di sempre nel mondo, e nel mondo arabo in particolare, quanto a diffusione di libertà e democrazia. Non tengono nemmeno conto di una ricerca della Bbc, pubblicata dallo stesso Corriere di ieri, secondo cui nella classifica globale dei popoli ottimisti sul proprio futuro, al primo posto ci sono iracheni e afghani liberati dai loro torturatori. E all’ultimo posto gli italiani. Il rischio delle democrazie illiberali Votare e basta ovviamente non produce società democratiche modello. Anzi rischia di far nascere democrazie illiberali. Però da qualche parte bisogna cominciare per riscattare le società oppresse. Viceversa si rimane impantanati a discutere se sia nato prima l’uovo democratico o la gallina liberale. Promuovere prima il liberalismo o lo sviluppo economico, e soltanto in un secondo momento rimuovere gli ostacoli alla democrazia, è un’idea bizzarra. Il liberalismo e il rispetto dei diritti umani, a differenza di un secolo fa, non possono esistere in società che non siano anche democratiche. L’esperienza storica dimostra che puntare sulla democrazia alla lunga paga sia in termini di progresso sociale sia in termini di benessere economico. La nuova classe dirigente eletta dal popolo, anche se non è liberale, è costretta ad adattarsi alle istituzioni e alle procedure democratiche. E a poco a poco ne viene plasmata. Si obietta che il medio oriente sia un’altra cosa, che l’odierna società islamica non possa essere paragonata alla Germania postnazista. Si dice, insomma, che non è possibile trapiantare una società aperta in una regione che non ha mai conosciuto né libertà né istituzioni democratiche. In realtà la stessa cosa si diceva dell’Italia nell’immediato dopoguerra. Se si vanno a riprendere le cronache dalla Germania occupata, si nota che non sono molto diverse da quelle scritte nei mesi successivi alla caduta del regime di Baghdad. Nel 1945 la democrazia sembrava impossibile in Europa e in Giappone. E quando sono crollate le giovani democrazie dell’Europa meridionale e orientale, tutte a maggioranza cattolica, gli analisti conclusero che la democrazia era compatibile soltanto con il protestantesimo e non adatta ai popoli latini. Esattamente come ora si dice che non sia compatibile con l’Islam o con gli arabi. Il 90 per cento dei paesi cattolici oggi è amministrato da governi eletti democraticamente. Siamo sicuri che prima o poi non si dirà la stessa cosa del mondo musulmano? Le stesse previsioni erano state avanzate sul futuro di Taiwan e della Corea del sud, oggi salde democrazie ma allora giudicate senza speranza a causa di una presunta incompatibilità tra la democrazia e il confucianesimo. Un buon risultato di Hamas alle elezioni palestinesi può far tornare in mente il caso algerino. Nel 1992 un colpo di Stato militare ha impedito lo svolgimento del ballottaggio per non consegnare il paese agli islamisti del Fis che avevano stravinto il primo turno. Non sappiamo che cosa sarebbe successo col Fis al governo, non sappiamo cioè se avrebbe creato una Repubblica fondamentalista pericolosa per gli algerini e per i vicini oppure se avrebbe condotto l’islamismo radicale verso una normalizzazione istituzionale. Sappiamo, però, che l’instaurazione di una dittatura ha scatenato una guerra civile che ha prodotto 100 mila morti, appiattimento degli islamisti moderati sulle posizioni radicali, stato di polizia e, ancora oggi che in teoria il terrorismo è stato debellato, 400 morti l’anno. E non c’è né democrazia né rispetto dei diritti umani. L’Iraq, Gaza e l’Afghanistan non sono diventate democrazie di tipo svizzero e probabilmente non lo diventeranno mai, così come l’Assemblea siciliana non è la copia del Parlamento inglese. Ma ora le forze democratiche mediorientali hanno l’opportunità di avere un impatto reale nel futuro dei loro paesi, un’eventualità che non avrebbero mai avuto se Saddam, Arafat e il mullah Omar fossero rimasti al potere. Le forze democratiche potranno ovviamente essere sconfitte dai dittatori e dagli islamisti, ma per la prima volta hanno la possibilità di vincere. Gli scettici convinti che la democrazia in medio oriente non potrà attecchire perché non c’è mai stata, si dimenticano di una cosa banale: fosse vero, la democrazia non esisterebbe da nessuna parte e non sarebbe mai nata, perché la dittatura e l’oppressione sono più antiche della democrazia e della libertà. Prima di essere liberi, siamo stati tutti oppressi. Prima di essere sovrani, siamo stati tutti sudditi. Non è necessario aspettarsi che in medio oriente si instauri un modello democratico uguale e identico a quello di Westminster. E’ sufficiente stabilire regole minime che consentano ai musulmani della regione di avvicinarsi alla partecipazione politica sulla scia dei loro correligionari in Turchia, in India, in Malesia, in Indonesia. Sarebbe già una grande conquista se in medio oriente si formasse una nuova classe dirigente che non inciti i cittadini a farsi saltare in aria dentro un bar o una pizzeria, ma a entrarci per ordinare un caffè o una capricciosa. La democrazia non è un sistema perfetto e questa imperfezione può anche consentire a movimenti totalitari di arrivare al potere sfruttando le libertà democratiche, come è successo nel passato. Ma in sé questo non è un argomento contro la dottrina Bush. Non dimostra il contrario, cioè che senza la democrazia non ci sarebbe stato il fascismo. E non lo può dimostrare per il semplice fatto che l’assenza di democrazia è già fascismo.
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