Riportiamo da LIBERO di giovedì 26 gennaio 2006 l'analisi di Angelo Pezzana sulle elezioni palestinesi:
Oggi si vota a Gaza e in Cisgiordania, i palestinesi decidono da quali forze politiche saranno governati. Anche se non è mai prudente sbilanciarsi nel fare previsioni, i sondaggi ci dicono che se Hamas non avrà la maggioranza certo ci andrà vicina. Il che significa che sarà presente, e in misura più che significativa, nel prossimo parlamento palestinese. In attesa di conoscere i numeri, perchè saranno loro a dirci chi comanderà, si possono trarre due riflessioni. La prima ci conferma che Abu Mazen non solo ha commesso l’errore di credere che distruggere il terrorismo volesse dire innescare la guerra civile, e quindi perdere quel po’ di autorità che aveva, ma che si è crogiolato anche nell’illusione di essere lui l’erede di Yasser Afarat per il solo fatto di essere alla guida di quel Fatah che, vivo ancora il rais, ne rappresentava la forza politica dominante. Come inv ece accade fra i gangsters, morto il capo, il potere tende a squagliarsi, come è avvenuto per Fatah senza più Arafat, il cui braccio armato non ha nulla da invidiare ad Hamas. Abu Mazen non ha retto la doppia immagine con la quale si presentava non solo agli occidentali ma anche ai suoi. Uomo di pace che dialoga con Israele per arrivare alla soluzione dei due Stati, ma anche premier di un’Autorità palestinese che non ha la forza di realizzare la politica che dichiara di perseguire. Non gli è servito a nulla impostare la campagna elettorale con il faccione di Arafat incollato sui muri, i palestinesi non solo non vanno in pellegrinaggio alla sua tomba di Ramallah – ci vanno solo più i rifondaroli nostrani con quale Agnoletto di contorno – ma non cascano nel tranello di identificare in lui il suo degno successore. La seconda riflessione riguarda Hamas. Come abbiano già scritto in un precedente articolo, non è detto che Hamas, una volta arrivato in parlamento, un luogo nel quale sarà obbligato a fare anche politica, non possa rappresentare una alternativa all’inconcludente Abu Mazen. E’ vero che Hamas è il vero erede di Arafat, stesso terrorismo, stessa tecnica, ma il sostegno popolare non gli deriva grazie al rais defunto, del quale non ha mai condiviso la doppiezza. Hamas è seriamente un gruppo terroristico, tanto è vero che persino la filopalestinese Unione europea l’ha riconosciuto. Ma lo ammette, anche se chiama “resistenza” il terrorismo suicida e “territori palestinesi” lo Stato d’Israele. Ci chiediamo però se ad Israele convenga avere a che fare con un partner insistente come Abu Mazen o piuttosto con un’Autorità palestinese che sia tale anche nei fatti. E’stato scritto migliaia di volte, il mondo arabo palestinese ha perso troppi treni nella sua breve storia conflittuale con lo Stato ebraico per potersi permettere di dettare condizioni. Se vogliono lo Stato palestinese, possono averlo, a patto di abbassare le armi e discuterne i confini. Se si illudono che l’uscita dal Libano e da Gaza siano stati un segnale di debolezza da parte di Israele, allora commettono l’ennesimo sbaglio. Israele, grazie all’eredità poltica lasciata da Sharon, è oggi un paese diviso solo nella scelta del partito per cui votare alle prossime elezioni di fine marzo, come è giusto che si dividano i cittadini in una democrazia nel momento elettorale. Per il resto è un paese unito e forte. Certo, sotto minaccia, e non solo dalla bomba atomica iraniana. C’è ancora Hamas e il suo terrorismo. Domani però avrà i suoi eletti in parlamento, non potrà più usare i bazooka e i kalashnikof per comunicare il suo pensiero. Vedremo presto se questa differenza avrà un significato oppure dovremo prendere atto che ai vari stati canaglia se ne è aggiunto un altro, che di Stato non ha ancora neppure il nome.
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