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Il Mattino Rassegna Stampa
24.01.2006 I terroristi? Politici come gli altri
Vittorio Dell'Uva descrive la politica palestinese dimenticando la sua particolarità: la violenza

Testata: Il Mattino
Data: 24 gennaio 2006
Pagina: 10
Autore: Vittorio Dell'Uva
Titolo: «Palestinesi alle urne, duello Al Fatah-Hamas»

Il MATTINO  di martedì 24 gennaio 2006 pubblica un editoriale di Vittorio Dell'Uva sulle elezioni palestinesi. In esso la politica  palestinese viene analizzata alla stregua di quel che si farebbe per un qualsiasi sistema partitico. dimenticando che nell'Anp tra i "partiti" si contano gruppi terroristici animati da ideologie totalitarie. Un modo implicito per banalizzare il terrore. Come altri commentatori, Dell'Uva enfatizza le dichiarazioni "concilianti " dei leader di Hamas, attribuendo loro la rinuncia ,invero  mai  esplicitata ,a  distruggere Israele. Ecco il testo:   

  Si annunciano con molte incognite le elezioni legislative palestinesi di domani destinate a delineare i nuovi e più realistici assetti politici del dopo Arafat. Segneranno fatalmente la fine del predominio assoluto di Al Fatah, formazione di lotta e di governo, consumatasi tra più ambiguità e molta corruzione. Immetteranno, con un ruolo rilevante, nel circuito istituzionale gli oltranzisti di Hamas ancora contrari alla esistenza di Israele ma chiamati a passare dal movimentismo sorretto dalle milizie al pragmatismo della politica attiva. Ma un cammino essenzialmente democratico, non più frenato dalla vecchia leadership, arriva ad un passaggio cruciale senza che nulla garantisca una futura governabilità e gli equilibri necessari a portare avanti il processo di pace nella direzione voluta dalla comunità internazionale. Molte risposte in contrasto tra loro possono arrivare dall’emisfero palestinese in fermento. I sondaggi, risultati mutevoli nelle ultime settimane, indicano che una spaccatura abbastanza verticale attraversa l’elettorato di un milione e trecentoquarantamila palestinesi chiamati ad eleggere i 132 deputati del Consiglio legislativo. Al Fatah, pur controllando ancora gran parte dell’apparato, è accreditata soltanto di un 42 per cento che la costringe a giocare in difesa e a sperare nell’affermazione di partiti minori moderati con cui formare poi una coalizione. Hamas, collocata sette punti più sotto, intravede tra crescenti consensi dell’ultima ora, la possibilità di conquistare la maggioranza relativa che le consentirebbe di reclamare almeno formalmente la guida del governo e di porre serie ipoteche sul «dialogo» con Israele. Una posta tanto alta e le scarse possibilità di ipotizzare una «grosse koalition» alla palestinese, hanno imposto strategie «elastiche» ai due schieramenti contrapposti che provano a pescare ciascuno nel catino elettorale dell’altro. Al Fatah ha giocato d’azzardo come più non poteva, indicando come candidato premier Marwan Barghouti, il leader dell’intifada detenuto a Hadarrim, in Israele, e condannato a cinque ergastoli per terrorismo. Apertamente, ha così riproposto il mito della lotta stampando manifesti che ne ricordano i «giorni gloriosi» della resistenza di Ramallah. Accurate scelte grafiche lo hanno posto, a beneficio dei tradizionalisti, sotto l’ala protettrice di Yasser Arafat. Sottobanco Al Fatah ha poi cercato, trovandola, la collaborazione di Israele fortemente orientata a selezionare gli avversari dal momento che ritiene Hamas soltanto una organizzazione fuorilegge da combattere con ogni mezzo. Al carcerato Barghouti è stato, così, concesso uno spot «impossibile», attraverso interviste rilasciate ad Al Jazira e Al Arabyia, due tv arabe considerate il verbo nei Territori. Forte sembra sia stato l’impatto sull’elettorato posto innanzi alla suggestione di una possibile scarcerazione in caso di vittoria elettorale. Hamas le sue carte le ha giocate con modeste spruzzate di moderazione alternate a posizioni radicali che servono a cementare la sua base fatta soprattutto di giovani. Ha trascurato di annotare nel programma elettorale la «necessità dalla distruzione dello stato di Israele», regolarmente invocata ad ogni raduno. Come candidato premier ha preferito proporre non il capo del movimento, ma piuttosto un «politico» Ismail Hanyeh che ha chiarito di non volere «buttare a mare gli ebrei». E al suo fianco non sono stati posti militanti particolarmente sovraesposti per il loro dichiarato estremismo e le pratiche fondamentaliste. Appena ieri alla strategia «tranquillizzante» è stato posto un nuovo tassello con la dichiarazione di Mahum Al Zahar uno dei leader più accreditati. «Con Israele si può sempre trattare se naturalmente ha qualcosa da offrici come il ritiro completo, la liberazione dei detenuti palestinesi e la fine degli attacchi», ha dichiarato sottolineando anche che i mediatori dovrebbero essere «indipendenti». Sulla disponibilità di Hamas al negoziato sono davvero in pochi a crederci, ma su alcuni dei delusi da Al Fatah la mossa può sempre fare breccia.

Del sistema politico israeliano, aidfferenza che di quello palestinese, occorre ovviamente scrivere tutto il male possibile. Ecco così, immancabile, l'articolo sulle inchieste  che coinvolgono il figlio di Sharon,  "I giudici:il figlio di Sharon merita di finire in carcere". Non sappiamo se il figlio di Sharon è colpevole o innocente, ma con relativa sicurezza possiamo affermare che molti palestinesi sarebbero ben felici di avere un sistema giudiziario indipendente come quello israeliano, libero di perseguire, atorto o a ragione, la corruzione della politica.   

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