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La Stampa Rassegna Stampa
24.01.2006 Un raduno elettorale di Hamas
reportage di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 24 gennaio 2006
Pagina: 11
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Tra la folla che grida: Hamas»

La Stampa di martedì 24 gennaio 2006 pubblica un reportage di Fiamma Nirenstein da un raduno elettorale di Hamas alla vigilia delle elezioni. Ecco il testo:

 Basta guardare la folla di Hamas sulle montagne di Hebron coperte di case a metà di un giorno di sole, e si capisce che comunque, quale che possa essere la percentuale dei voti che porterà a casa, l'organizzazione islamista dichiarata terrorista dalla comunità Europea, è il grande vincitore delle elezioni palestinesi di domani. Il popolo è suo. Basta scendere a picco verso un enorme capannone (una volta mercato della frutta) in una voragine fra le colline nel centro, nella pancia della popolazione di ben 150 mila cittadini, per capire che i discorsi stanno a zero: possiamo discettare fino a domani sulla spinosa questione della disponibilità di Hamas a entrare in un governo di coalizione con Fatah, di riconoscere l'esistenza di Israele, di rinunciare al terrorismo e di condurre una trattativa. Sono quesiti per gli analisti.
Quando scendiamo verso il grande raduno elettorale di Hamas vediamo 30 mila persone con cappelli verdi, bandiere verdi, camice e magliette verdi; invece, al raduno del Fatah che si svolge nello stesso giorno si presentano più o meno 3000 persone, con le bandiere e i ritratti di Arafat, fra cui molti poliziotti che hanno già votato e ci fanno orgogliosamente vedere il dito sporco di inchiostro copiativo. Hanno sempre servito il loro mentore e creatore, Arafat, adesso seguono il potere che ne discende. Ma è Hamas il grande spettacolo: Hamas è famiglie intere con le donne tutte coperte e velate che ruzzolano per la discesa tutte contente e che all'ultimo prendono il sentiero loro riservato verso il capannone; Hamas è tante ragazzine nascoste nei panni e con gli occhi segnati dal kajal che hanno in mano libri e quaderni con fiorellini e angioletti. Fra loro Raeda 22 anni che dice che preferirebbe che i suoi figli non diventino shahid, ma che se Dio lo vuole, lei è già pronta.
Hamas è una quantità di palloncini verdi verso cui si protendono un numero enorme di ragazzini che si infilano fra le ruote dei torpedoni tutti ornati di verde carichi di gente che urla Allah Hu Akbar, Dio è grande, e che chiama «alla lotta!». Un gruppo grande prega unito in perfetta concetrazione. Hamas è una mamma la cui bambina porta stivali rossi e minigonna sulle calzette a strisce mentre lei è tutta nascosta dentro un burka, è lo spettacolo di uomini con un numero molteplice di mogli, e la lotta per impossessarsi delle bandiere che lodano i martiri, ovvero i terroristi suicidi. E' una quantità di facce di giovani che ridono, si danno la mano, sorridono contenti fra i quali non pochi, certo, considerano con familiarità e ammirazione l'idea del terrorismo, di saltare per aria su un autobus uccidendo più persone possibile. Dopo la preghiera cantata con tutta l'anima dalla folla, un boato di entusiasmo accoglie il saluto al pubblico «proveniente da villaggi e montagne della Palestina»,alla famiglia dei valorosi che si sono sacrificati e si sacrificheranno nella «resistenza», la promessa di conquistare con il sangue la patria tutta intera, senza compromessi, di restituire ai profughi le loro proprietà e all'Islam il mondo intero. Tutto ha qualcosa di stupefacente, come se fosse impossibile che la voglia di contare, di vincere alle elezioni, possa diventare un tutt'uno con l'esplicita scelta della lotta armata, del terrorismo suicida, e della speranza di cancellare Israele.
Nel silenzio dell'ufficio centrale di Hamas a Hebron, tutto è di un beige che vuole farsi notare per la modestia: beige le poltrone, il pavimento, le sedie, e anche il vestito di tweed con gile del capo, Naif Rajub. Rajub, barba da religioso, occhi infossati, neri,inquietanti, è il fratello del più noto Jibril Rajub, candidato del Fatah, figura principale nella gestione della sicurezza dell'Autonomia palestinese. Jibril è il candidato numero 45 nella lista del Fatah, e ieri era a Hebron fronte a fronte con il fratello, che invece è il numero uno della lista di Hamas. Potrebbe essere, se si avvera la vittoria che lo sceicco pregusta («considererei il prendere meno del 40 per cento una sconfitta») che il famoso Jibril che nei manifesti appare con Arafat e con lo slogan «coraggioso, qualificato, deciso...eleggetemi», resti fuori; e che il fratello sia il primo eletto di Hebron. «Io ho 47 anni e 8 figli», risponde Neif snocciolando un rosario bianco «Jibril ha cinque anni più di me e 4 figli. Siamo due di tredici fratelli. Io sono stato religioso fin da piccolo. Quando ci incontriamo, siamo solidali su tutti gli obiettivi, contro l'occupazione, per lo Stato palestinese, ma non sui mezzi per raggiungerli». Ovvero? Anche se Jibril non è certo un gandhiano, Naef è più favorevole alla violenza? «Noi abbiamo abolito questa parola: si tratta di resistenza e di spirito di sacrificio».
Progettate di essere parte di un governo di coalizione? «Dipende da tanti fattori. Molti dei nostri candidati sono in prigione e molti altri sono ricercati». Intende negoziare e quindi riconoscere Israele, Hamas sarà parte del governo? «I negoziati fin qui hanno dato risultati pessimi.La resistenza ha dato buoni risultati in Libano, a Gaza. Abbiamo visto nel passato dei leader palestinesi inginocchiarsi per ottenere i propri diritti. Erano i tempi di Oslo: ora Oslo è morto. In realtà i diritti si sostengono meglio con la forza, che mendicandoli. Comunque, siamo pronti a veder che cosa Israele, che occupa la nostra terra, è pronto a dare, per valutare eventualmente una tregua». Lo sceicco sorride quando gli si chiede un parere sull'uscita di Ahmadinejad che vuole «spazzare via lo stato d'Israele». «E' irrealistico», commenta «non ha mica l'Armata Rossa». No, però prepara la bomba atomica. «Allora, avrebbe dovuto parlare dopo che la bomba fosse già stata pronta».
Nel corridoio un gruppo di candidati aspetta il leader. Chi è professore universitario come Maher Bader, chi medico come Samir Al Khadi, chi, come il numero due Aziz Duer, studioso di pianificazione urbana e geografia. E' uscito da una foto delle rivoluzioni del 68, solo che stavolta è una rivoluzione islamista: porta un montgomery scuro. Perchè tanti professori hanno scelto Hamas? «E' una scelta culturale e ideologica. Noi siamo fieri della nostra cultura islamica», spiega, «la religione onnicomprensiva che contiene in sè, essendo il Corano l'ultima rivelazione dopo la Torah e il Vangelo, tutte le fedi». Lo scopo di Hamas è islamizzare il mondo? «Certamente lo è anche se bandiamo la violenza». Scusi, ma non sembra davvero. «Siamo oggetto di un generale antagonismo perchè siamo musulmani, e qui siamo vittime di un'occupazione che paragoniamo alla schiavitù che è giusto combattere». Quando usciamo dall'ufficio, un amico palestinese suggerisce: «Insomma, in una parola, stesso Hamas, stessa ideologia, stesse prospettive... che c'è di nuovo?». C'è di nuovo che ha invaso la scena. Abu Mazen, dov'è?

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