Sulla STAMPA di oggi 21.1.2006 l'analisi di Fiamma Nirenstein sulla campagna elettorale di Hamas a cinque giorni dalle elezioni palestinesi.
Ecco l'articolo:
I manifesti delle elezioni palestinesi (Si terranno mercoledì prossimo ma già da oggi, le forze dell’ordine vanno alle urne), sono molto diversi da quelle delle elezioni precedenti, nel 1996 e nel 2005. Pochi gli slogan che minacciano direttamente Israele. Se queste elezioni si potessero leggere attraverso le decine di facce di avvocati, medici, giornalisti, farmacisti, donne e anche un buon numero di ricercati da Israele per terrorismo, comunque si leggerebbe un’ambizione al pluralismo. E l’altra potentissima chiave di lettura, come ci fa notare un po’ amaramente l’analista palestinese Khaled Abu Toameh, sono le due facce che campeggiano ovunque, e che non sono quelle di Abu Mazen e di un qualche leader di Hamas, le due forze che si combattono senza quartiere: sono invece quelle di due morti, Yasser Arafat e lo sceicco Yassin.
Sia Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che Marwan Barghouty sono rappresentati circonfusi dall’aura del rais scomparso, evidentemente ritenuto ancora oggi capace più dei suoi discendenti di attrarre consensi.Barghouty, il capolista,figura in un manifesto in cui Arafat sventola una sua grande foto durante una manifestazione per la sua scarcerazione. E lo sceicco paralitico Yassin che fu ucciso per aver concepito la strategia stessa del terrorismo di Hamas, appare nella solita veste candida, come un santo che deve ispirare i palestinesi a votare il partito «Riforma e Cambiamento»: Hamas infatti è comunque la forza determinante per il futuro dei palestinesi, e nelle previsione varia fra una affermazione che gli dia la maggioranza dei 132 seggi in giuoco a danno di Abu Mazen, fino a una grande affermazione superiore al 30 per cento.
Ma ci sono altre sorprese nella propaganda: nessuno troverà sui volantini di Hamas immagini di armi, benchè la sua piattaforma rivendichi la lotta armata e di fatto il diritto a sbarazzarsi di Israele. Hamas si propone come forza buona per tutti, auspica la solidarietà, la lotta contro la corruzione, la carità, esalta la professionalità dei suoi, esalta le donne e auspica l’ordine e la legge, naturalmente su uno sfondo religioso. Se vogliamo trovare i simboli della lotta armata, la dobbiamo invece cercare, sorpresa, sui volantini e i manifesti di Fatah, dove in un angolo ci sono i fucili incrociati dell’Olp di Arafat.
Ma il Fatah ha la preoccupazione di togliersi lo stigma di essere uno yesman degli israeliani e degli americani e di essere pronto a rinunciare, in nome della trattativa, alla lotta armata. Inoltre Barghouty e altri leader del laico Fatah sulla sua scia, fanno riferimento al compito dell’Islam nel mondo, al Corano. Hamas invece tiene la religione e la lotta armata come un punto fermo sullo sfondo, sapendo che c’è un elettore da conquistare che odia la corruzione del gruppo dirigente, ma non disprezza affatto l’idea di un accordo con Israele. Hamas punta sulla conquista del grande pubblico.
Il ministro della difesa israeliano Shaul Mofaz ha detto che la Jihad Islamica, con l’attentato di ieri, ha ubbidito a precisi ordini iraniani e siriani. Hamas non vuole che questo accada anche a lei proprio adesso: lascia gli attacchi per dopo le elezioni. «Il suo scopo» dice il generale Shalom Harari, uno studioso e un militare che ha servito sempre come aiutante dei governi israeliani nella lotta al terrorismo «è quello di dare la scalata all’intera piramide del potere, scalzando definitivamente Fatah. Forse non con queste elezioni, sarà nel prossimo futuro, ma la strada è scritta».
Se Hamas conquisterà un grande spazio, i negoziati con Israele saranno molto difficili. Hamas non ha mai approvato nè la Road Map, nè nessun altro accordo con Israele e quindi può chiamare l’AP (Autonomia Palestinese) fuori del giuoco. Inoltre l’intenzione di fare dell’AP un piccolo Iran sunnita, è altrettanto evidente. Come reagirà la comunità internazionale, si chiedono i palestinesi e si chiede Israele? Israele comincia a dare segni, con il permesso di votare a Gerusalemme nonostante Hamas sia candidata, di lasciar fare: non vuole essere responsabile di un’esplosione nelle elezioni. Gli USA potrebbero scegliere la formula libanese, ovvero trattare con il governo palestinese senza incontrare gli uomini di Hamas, come non incontrano gli Hezbollah che siedono nel governo libanese. E’ abbastanza? Può servire a ridurre le organizzazioni terroriste a più miti consigli? Difficile non pensare il contrario: che il nuovo potere di Hamas porti più denaro e più riconoscimento alle loro azioni, e distrugga sia Abu Mazen che il processo di pace.
Per inviare la propria opinione alla Stampa cliccare sulla e-mail sottostante.