Famiglia Cristiana pubblica nel numero on line del 22 gennaio 2006 un articolo di Gugliemo Sasinini intitolato “All’ombra di Hamas” Il giornalista analizza in modo corretto e obiettivo la situazione politica palestinese alla vigilia delle elezioni del 25 gennaio. Il rischio che il movimento integralista islamico possa superare il partito del presidente Abu Mazen non deve essere sottovalutato; se si verificasse una simile eventualità, le conseguenze per l’intero processo di pace potrebbero essere molto gravi.
Il 25 gennaio, alle prime elezioni politiche palestinesi, si sottoporranno al giudizio delle urne formazioni storiche, come Al-Fatah e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, ma anche (novità assoluta) Hamas, che detiene il record mondiale di attentati suicidi e che nel suo Statuto ha una norma che lo impegna a non cessare la lotta fino a quando lo Stato di Israele avrà smesso di esistere. L’esortazione del Congresso Usa all’Autorità palestinese di non concedere l’autorizzazione a partecipare alle elezioni a chi nega il diritto di Israele all’esistenza e mantiene legami con le milizie che praticano il terrorismo non è stata accolta, per una semplice ragione: è irrealistico pensare che la maggior formazione politica palestinese, che alterna la politica dello scontro armato continuo contro Israele al sostegno umanitario alla popolazione palestinese, potesse essere esclusa. Il Governo israeliano ha deciso di non opporsi eccessivamente alla partecipazione di Hamas alle elezioni palestinesi, per non mettere ulteriormente in difficoltà il premier Abu Mazen. Nell’arena palestinese il più temibile avversario degli israeliani resta Marwan Barghuti, leader dell’Olp, detenuto in Israele dove deve scontare 5 ergastoli. Agli occhi di molti palestinesi è lui il successore naturale di Arafat, nonché il principale rivale di Abu Mazen. Dopo l’inizio della seconda Intifada nel settembre 2000, Barghuti ha sempre contestato i negoziati tra Israele e palestinesi, guadagnandosi ampi consensi. Riconosciuto colpevole di quattro attentati, dall’agosto 2003 è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza, eppure il suo carisma non si è mai appannato. Tra gli analisti palestinesi, non pochi parlano di "declino" di Al-Fatah, a vantaggio del movimento islamico Hamas. Altri, invece, sono persuasi che dal confronto tra vecchia guardia (legata ad Arafat e ora vicina ad Abu Mazen) e nuova generazione (che fa capo a Barghuti) il movimento potrebbe uscire più forte nel fronteggiare Hamas. «Siamo di fronte alle conseguenze della scomparsa di Arafat», dice Mustafa Barghuti (nessuna parentela con Marwan), leader della lista Palestina indipendente, «che era riuscito a tenere insieme un movimento politico composto da troppe correnti. Ora le differenze stanno emergendo in modo drammatico. Da questa crisi Al-Fatah potrebbe uscire così indebolita da rischiare di perdere la supremazia». Il test effettuato, nel quadro della quarta serie delle elezioni amministrative, in quattro importanti città della Cisgiordania – Ramallah, El Bireh, Nablus, Jenin – ha offerto uno spaccato di quanto si potrebbe verificare il 25 gennaio su scala ben più ampia. Hamas ha ottenuto lusinghieri riconoscimenti, Al-Fatah e "vecchia guardia" hanno tenuto le posizioni, le coalizioni minori si sono confermate come ago della bilancia. L’inquietudine sulle prospettive del processo di pace proietta lunghe ombre sulle elezioni palestinesi. Se i tatticismi della politica rendono apparentemente credibili i proclami di tutti i candidati, il realismo impone considerazioni diverse. Abu Mazen si è dimostrato incapace di controllare i movimenti integralisti e di fermare gli attacchi terroristici, al punto che i risultati che emergeranno dalle urne, soprattutto se sbilanciati in favore di Hamas, potrebbero indurlo ad abbandonare ogni incarico. Sul fronte della corruzione, la leadership palestinese ha dimostrato altrettanta incapacità di quella che imperava alla "corte" di Arafat. La popolazione palestinese, stretta tra la guerra e la miseria totale, ha visto crescere una dirigenza opulenta, grazie al dirottamento sui conti personali dei generosi aiuti internazionali. Hamas e gli altri movimenti minori della galassia islamica palestinese hanno riscosso consensi fornendo aiuti umanitari alla popolazione, ma non hanno mai offerto un futuro. L’incubo peggiore per Abu Mazen è tratteggiato dall’Istituto di ricerca palestinese, un’istituzione privata ritenuta affidabile. Secondo i suoi ultimi rilevamenti, Hamas è pronto a conquistare oltre il 40 per cento dei voti, mentre Al-Fatah sprofonderebbe sotto il 20 per cento. L’unica possibilità è la capacità di tenuta dell’alleanza Abu Mazen-Barghuti, che consentirebbe al partito del presidente di contrastare la concorrenza fondamentalista e di rilanciare il processo di pace. Tutto il resto è notte fonda.
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