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Avvenire Rassegna Stampa
20.01.2006 Su padre Pizzaballa ci eravamo sbagliati?
pensavamo che fosse equlibrato, ma per lui le vite umane salvate non giustificano la barriera difensiva di Israele

Testata: Avvenire
Data: 20 gennaio 2006
Pagina: 4
Autore: Pierangelo Giovanetti
Titolo: «PADRE PIZZABALLA: «RESTARE QUI PER DIRE NO ALLA VIOLENZA»»

Intervista al Custode francescano di Terra Snata Pizzaballa, su Avvenire di venerdì 20 gennaio.

«È un momento sicuramente difficile per i cristiani in Terra santa. Oggi rappresentiamo soltanto l'1,7% della popolazione. Chi resta, però, è motivato, e continuare a vivere qui, da cristiani, è anche una vocazione. Non diventeremo come la Turchia e il Nord Africa, dove la presenza cristiana è scomparsa. Ne sono convinto: anche se le difficoltà sono molte, abbiamo gli anticorpi».
Padre Pierbattista Pizzaballa è il giovane custode di Terra Santa. Bergamasco, quarant'anni, conosce molto bene le comunità cattoliche di lingua ebraica di Gerusalemme di cui ha avuto a lungo la cura pastorale. Grazie a lui, è stato fatto conoscere il cristianesimo anche all'interno dell'esercito israeliano.
Padre Pizzaballa, un nuovo attentato suicida ieri a Tel Aviv. È il sesto dallo scorso anno, quando è stato dichiarato il cessate il fuoco con le autorità palestinesi. Cosa possono fare i cristiani di fronte a questa violenza?
«L'unica testimonianza che noi cristiani possiamo dare in Terra Santa è il perdono. I nostri sforzi devono essere tutti rivolti a fare in modo che la logica della violenza non entri nelle nostre case».
Abdallah II, re di Giordania, ha lanciato un appello a non svuotare Gerusalemme di cristiani. Teme l'esodo e la scomparsa della comunità cristiana in Terra santa?
«La situazione è grave, ma non vedo un esodo che faccia temere la scomparsa dei cristiani. Attualmente siamo 175.000, un numero certamente ridotto, e con un basso tasso di natalità. Occorre aiutare economicamente e anche moralmente i cristiani di Terra Santa. I pellegrinaggi possono essere un sostegno in tale senso. E l'Italia ha un ruolo particolare, visto che il 70% dei pellegrini nei Luoghi Santi sono italiani».
Sono ripresi i pellegrinaggi, nonostante gli attentati?
«Grazie a Dio sono ripresi. Non siamo ai livelli del milione di italiani registrati nel 2000, ma comunque sono diverse centinaia di migliaia. Da una parte questo costituisce un importante aiuto economico per l'economia locale, dall'altra rafforzano la testimonianza cristiana in Terra Santa. Sono una espressione di solidarietà verso i cristiani che vivono lì. Ma la cosa più importante ancora è che i pellegrini diventano un modo per far conoscere la realtà locale. E oggi c'è un bisogno estremo di parlare di quanto accade. È un modo anche di far pressione sulle autorità locali, perché s'imbocchi una strada diversa».
Com'è oggi la situazione dei palestinesi?
«È drammatica. La tensione è molto alta. C'è il muro che divide e impedisce ogni normale attività, anche economica. A volte c'è la sensazione di sentirsi abbandonati. Perché ormai la situazione si può risolvere soltanto con un forte impegno internazionale».
Gli israeliani sostengono che il muro è richiesto da ragioni di sicurezza.
«Il muro è una sconfitta: il simbolo della situazione di incomunicabilità fra ebrei e palestinesi. Trasmette una tristezza infinita. Non si può giustificare per alcun motivo.

Neanche per salvare vite umane?

Io capisco il bisogno di sicurezza di Israele, ma non posso accettare che la risposta sia una resa come il muro. Non posso condividerlo: invece che accettarlo dobbiamo lavorare per abbatterlo».
Da parte cristiana c'è grande interesse verso la cultura ebraica. In Israele che atteggiamento hanno gli ebrei verso i cristiani? C'è interesse a conoscere di più la cultura cristiana e a dialogare?
«La società israeliana è curiosissima nei confronti del cristianesimo ed è pronta al confronto e al dialogo con la Chiesa. Accade piuttosto che siamo noi cristiani non abituati a comunicare con gli ebrei. Per certi versi è più facile essere Chiesa in Palestina, dove hanno bisogno di tutto, di scuole, di ospedali. E noi siamo in grado di darglieli. Più difficile è in Israele dove non hanno bisogno delle nostre scuole e dei nostri ospedali: ne hanno loro di migliori. Il confronto avviene sul piano culturale, nelle università, nell'arte. E in questo non siamo molto pronti. Occorre attrezzarci per un confronto culturale alto».
Padre Pizzaballa, in Italia avete rilanciato la nuova sede delle Edizioni Terrasanta a Milano e avete rinnovato profondamente la rivista Terrasanta. Che cosa vi proponete?
«Il nostro obiettivo è quello di potenziare l'informazione sulla Terra Santa. Spesso se ne parla, ma solo per riferire di violenze e attentati. Occorre invece fare informazione sugli aspetti positivi e ce ne sono e sono molti. La Terra Santa è un patrimonio immenso di fede e di fedi. Vogliamo far conoscere che cosa fa la Chiesa. I cristiani non hanno solo la custodia dei Luoghi Santi. Vivono in questa terra martoriata, condividono il cammino con gli uni e con gli altri. Anche se siamo una minoranza, come cristiani vogliamo essere presenti e propositivi dentro la società israeliana e palestinese».

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