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Il Manifesto Rassegna Stampa
20.01.2006 Voce dal sen fuggita...
Stefano Chiarini spiega perché uno Stato palestinese ancora non c'è

Testata: Il Manifesto
Data: 20 gennaio 2006
Pagina: 5
Autore: Stefano Chiarini
Titolo: «No alla bomba. Anche a quella di Israele»

Leggere l'articolo di Stefano Chiarini pubblicato dal Manifesto di venerdì 20 gennaio 2006, "No alla bomba, anche a quella di Israele", dedicato al vertice tra Ahmadinejad e Assad di Siria,  potrebbe sembrare una perdita di tempo, tale è la distanza dalla realtà che lo caratterizza. Oltre all'insostenibile equiparazione tra gli aggressivi programmi di armamento nucleare iraniano e l'arsenale difensivo di Israele, l'articolo contiene le abituali (per Chiarini) dietrologie sulla volontà statunitense e israeliana di dividere il  medioriente per linee etnico-religiose, favorendo l'avanzata dei fondamentalisti islamici, e lodi al regime di Damasco per il rilascio di cinque dissidenti ( e tutti quelli che restano in carcere? ), anch'esse nella migliore tradizione di un giornalista che nel 91 riusciva magnificare i progressi dell'autonomia curda nell'Iraq di Saddam Hussein. Contrariamente che a Gorki, portato dal potere sovietico a visitare un gulag trasformato per l'occasione in un villaggio modello, a Stefano Chiarini "piacciono le parate" soprattutto se a organizzarle sono  despoti arabi.
Tuttavia, come spesso accade con questo giornalista, il suo articolo contiene un passo prezioso, perché afferma in modo esplicito quello che altri nascondono dietro veli di reticenza e mezze verità o, il più delle volte, semplicemente ignorano.   "Il presidente siriano" scrive Chiarini, "nella conferenza stampa congiunta con il suo omologo iraniano, per quanto riguarda la questione palestinese ha assunto una posizione assai moderata: difesa dei diritti del popolo palestinese compreso quello al ritorno ma anche via libera alla nascita di uno stato palestinese".  La posizione di Assad sarebbe dunque "moderata" perché dà il "via libera alla nascita di uno Stato palestinese". Una strana affermazione, a meno di non ammettere che, se uno stato palestinese non è ancora nato, lo si deve sopratttutto all'oltranzismo arabo ( arabo-palestinese) che non vuole in alcun modo giungere a una soluzione negoziata del conflitto, continuando a mirare alla distruzione di Israele. La specificità della posizione siriana, per la quale Israele e i Territori ( e il Libano) sono semplicemente "Siria del sud" è solo un esempio di una realtà molto più generale.

Ecco il testo:  

Il presidente siriano Bashar Assad, di fronte al tentativo dell'Amministrazione Bush di rovesciare il regime laico al potere a Damasco ricorrendo alla «vecchia guardia» dell'ex vice presidente Abdel Halim Khaddam e ai fondamentalisti musulmani, ha «rilanciato» sia a livello internazionale, forte di un tentativo di mediazione saudita ed egiziano, ricevendo ieri il presidente iraniano Ahmadinejad, mentre sul piano interno ha liberato, come chiesto da Amnesty International, i cinque più noti dissidenti del paese e cominciare dai due ex deputati Riad Seif e Maamoun al-Homsi. Su scala regionale il presidente Bashar, dopo gli incontri con i vertici sauditi ed egiziani della scorsa settimana - impegnati in una difficile opera di mediazione per evitare che il Libano scivoli di nuovo verso la guerra civile e che la disgregazione dell'Iraq si estenda alla Siria - ha promosso un riavvicinamento con il governo di Baghdad ricevendo il presidente Jalal Talabani (per decenni ospitato a Damasco), rilanciato la cooperazione politica e militare con la Russia di Putin tornata di nuovo a sostenere le ragioni di Damasco al Consiglio di sicurezza dell'Onu, e normalizzato i difficili rapporti con l' ex-nemico turco. Tanto che i due paesi hanno avviato lo sminamento delle zone di confine e la Siria ha tolto dalle carte geografiche del paese ogni rivendicazione alla zona di Alessandretta data dalla Francia alla Turchia alla fine degli anni trenta. La Turchia, da parte sua, ha assunto una posizione di netta contrarietà al varo di sanzioni da parte delle Nazioni unite contro la Siria per il sostegno alla resistenza palestinese e libanese e contro l'Íran per la ripresa del processo di arricchimento dell'uranio. E proprio il tema del nucleare non poteva mancare nel vertice tenuto ieri a Damasco con il presidente iraniano Ahmadinejad. Nel corso di una conferenza stampa congiunta, il presidente Assad ha così riaffermato il diritto dell'Iran a sviluppare tecnologia nucleare per scopi energetici e ha chiesto che si realizzi nel Medioriente una zona libera da armi di distruzione di massa cominciando, ovviamente, da Israele, il paese della regione che già dispone di oltre 200 ordigni nucleari, di armi chimiche e betteriologiche. Il secondo punto sul quale i due presidenti hanno raggiunto un pieno accordo è stato quello di un sostegno alla causa e alla resistenza palestinese e libanese. Il presidente siriano, nella conferenza stampa congiunta con il suo omologo iraniano, per quanto riguarda la questione palestinese ha assunto una posizione assai moderata: difesa dei diritti del popolo palestinese compreso quello al ritorno ma anche via libera alla nascita di uno stato palestinese. Cautela anche sui rapporti con il Libano dove la tensione è alle stelle a causa di una gravissima spaccatura nel governo dove si è ormai allo scontro aperto tra la «Hariri Inc.», il partito azienda sunnita di maggioranza relativa spalleggiato dalle destre cristiano-maronite, vari gruppi filo-Usa e filo-israele e dal leader druso Walid Jumblatt - arrivato a chiedere un'invasione Usa della Siria- tutti favorevoli ad un protettorato americano-francese sul Libano, e dall'altra i movimenti sciiti di Amal ed Hezbollah, esponenti nazionalisti arabi, e i settori cristiano maroniti vicini al presidente Lahoud. Questi ultimi favorevoli a mantenere il carattere «arabo» del Libano, difendere la resistenza e ristabilire rapporti di buon vicinato con Damasco. Dietro la crisi c'è in realtà la richiesta dell'Amministrazione Usa di arrivare ad una sorta di 18 aprile libanese con la cacciata degli Hezbollah e della resistenza dal governo. Bashar Assad è tornato così ieri a pronunciarsi contro i piani di coloro che vorrebbero tornare ad una «cantonizzazione» della repubblica dei cedri e ad una internazionalizzazione dei conflitti interni. Un tentativo che è emerso con chiarezza durante i lavori della Commissione dell'Onu sull'omicidio dell'ex premier Rafiq Hariri, presieduta sino a ieri dal giudice tedesco Detlev Mehlis. Un giudice interessato non ad arrivare alla verità ma solamente a gettare sospetti e accuse contro il presidente siriano. La commissione creata per «aiutare» la magistratura libanese nel giro di pochi mesi ha così assunto una sorta di mandato sulla magistratura libanese e ha poi cercato di estenderlo anche su quella siriana. I due presidenti hanno poi lanciato un accorato appello a «tutte le sette, le correnti e le fazioni (libanesi ndr.) a mantenere la calma per superare la fase attuale, perché ogni instabilità sarebbe nell' interesse dei nemici del Libano e della regione». Ma la sorpresa maggiore della giornata di ieri è venuta sul fronte interno dove il presidente Bashar ha deciso, a sorpresa, la liberazione dei cinque leader della «primavera di Damasco», sviluppatasi nel 2001, nei primi mesi della sua presidenza. Tra di loro i due ex deputati Riad Seif e Maamoun al Homsi, oltre a Walid Bunni, Fawaz Tello, e l'avvocato Habib Issa. Una decisione che - si sono augurati i cinque «liberal» usciti dal carcere - potrebbe portare, già nei prossimi giorni, ad una nuova accelerazione del progetto di riforma delle istituzioni siriane.

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