Dalla prima pagina dell'inserto del Foglio di venerdì 20 gennaio 2006:
Le circostanze nella regione c’impongono di rafforzare i nostri legami con la Siria”, ha detto il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad alla vigilia della partenza per Damasco. Ed è sempre a causa delle “circostanze” (pressioni e minacce alla sovranità di Iran e Siria) – secondo il quotidiano siriano Tishrin – che la visita del presidente iraniano assume un’importanza speciale. Damasco è l’unica alleata di Teheran nel mondo arabo e l’Iran l’ultimo sponsor di Bashar el Assad mentre all’orizzonte si allungano ombre di regime change. Per distogliere l’attenzione dal caso Hariri, Assad ha ordinato la scarcerazione di cinque dissidenti, protagonisti nel 2000 della cosiddetta “primavera di Damasco”. Ma a Washington isolati gesti di clemenza non bastano: il segretario di stato, Condoleezza Rice, ha invitato il regime a cooperare senza condizioni con l’inchiesta Onu (pena le sanzioni) – oltre ad aver confermato ieri che è venuto il momento di andare al Consiglio di sicurezza col dossier iraniano – e il tesoro americano, dopo aver congelato a giugno i conti del ministro dell’Interno, Ghazi Kanaan, e del capo dell’intelligence siriana in Libano, Rustum Ghazali, ha bloccato anche quelli del plenipotenziario dell’intelligence militare di Damasco, Assef Shawkat. Alla Siria non resta che la resa o l’Iran. L’inevitabile sodalizio era già stato consolidato da Assad a Teheran lo scorso agosto e la missione diplomatica di Ahmadinejad non fa che confermare la validità del “fronte comune contro l’oppressione, l’arroganza e le interferenze straniere”. La Siria, dichiarò ad agosto Ahmadinejad, “è in prima linea contro le minacce condivise dalla nazione musulmana e un’amica della Rivoluzione islamica iraniana”. Un appoggio confermato in queste settimane dalla difesa a oltranza del regime siriano dinnanzi alle accuse del rapporto Mehlis e dalle rivelazioni choc dell’ex vicepresidente Abdul Halim Khaddam. Damasco ha ricambiato sposando tutte le giustificazioni e le ambizioni di Teheran riguardo al dossier nucleare. “Sosteniamo l’Iran – ha detto ieri Assad durante una conferenza stampa congiunta con Ahmadinejad – all’energia nucleare per scopi pacifici. Gli stati che vi si oppongono non hanno ancora fornito ragioni logiche e convincenti per corroborare le loro obiezioni”. Come fu per l’Iran nel caso della risoluzione 1.559 sul ritiro siriano dal Libano, stavolta sarà il turno della Siria alla guida dello sparuto gruppo di alleati di Teheran. Ma il “no” che pronuncerà Damasco al deferimento del dossier iraniano all’Aiea è piccola cosa rispetto alla portata dell’alleanza. Mentre Ahmadinejad e Assad sottolineano la preminenza di nuovi legami industriali e tecnologici (gli scambi commerciali hanno raggiunto un valore pari a 210 milioni di dollari e società iraniane hanno investito più di 700 milioni di dollari in Siria), il fulcro dell’incontro sarà la firma di un “patto di difesa”, un patto che inquieta i libanesi. Secondo il leader druso Walid Jumblatt quello tra Teheran e Damasco è un accordo che mira al controllo di Beirut. “Hezbollah è favorevole all’asse – ha detto Jumblatt al quotidiano al Mustaqbal – a detrimento dell’indipendenza del Libano”. A conferma dell’interesse di Teheran verso una rafforzata partnership con Hezbollah è arrivata la nomina di Mohammed Hassan Akhtari come ambasciatore iraniano a Damasco. Akhtari ha già ricoperto questo stesso incarico dal 1989 al 1997, anni in cui la residenza diplomatica iraniana rappresentò uno snodo fondamentale per le attività di coordinamento di Hezbollah. Coordinamento tra Teheran e Damasco anche nelle relazioni con Hamas e Jihad islamico e un accordo di massima sull’Iraq. “Abbiamo una visione comune per il medio oriente”, ha ricordato Ahmadinejad e la visione non contempla Israele. Le basi per questa intesa d’acciaio le ha preparate Mohammed Khatami nel 2004. Nel corso di una visita a Damasco l’ex presidente iraniano auspicò un coordinamento tra Teheran e Damasco per fronteggiare le pressioni internazionali. Un anno dopo, in occasione del viaggio in Iran del primo ministro siriano, Mohammed Naji al Utri, i leader iraniani fornirono a Damasco una serie di indicazioni sulle tattiche per evitare le sanzioni. Lo scorso agosto Assad sottolineò l’esistenza di un pericolo comune e invocò una strategia concordata. Le aspettative per l’incontro tra i due erano alte. Ma qualcosa andò storto. Depositario di un’amicizia con Khatami ereditata dal padre Hafez, Bashar informò i collaboratori di Ahmadinejad che avrebbe preferito essere ospitato dall’amico piuttosto che soggiornare nella residenza messa a disposizione dal governo iraniano. Ahmadinejad lo prese come un insulto personale. Sui protagonisti della grande intesa calò il gelo e, secondo fonti diplomatiche siriane, a Teheran la parata in onore di Assad lasciò molto a desiderare. Lo screzio non trapelò nelle dichiarazioni di rito: Iran e Siria, le “Repubbliche sorelle” unite da un granitico matrimonio di convenienza sono rimaste inseparabili anche in quest’ultimo chiacchierato viaggio.
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