Il Manifesto di giovedì 19 gennaio 2006 , non potendo attacare Israele sulle elezioni a Gerusalemme Est, che ci saranno, lancia una nuova accusa: i palestinesi di Gerusalemme temerebbero ritorsioni da parte delle autorità israeliane per la partecipazione al voto. Naturalmente, il quotidiano comunista non cita un solo caso di un palestinese di Gerusalemme che abbia partecipato alle precedenti elezioni e abbia subito qualche conseguenza negativa ad opera delle autorità israeliane. Interessante il passaggio nel quale i palestinesi che non cercano lo "scontro frontale con Israele " sono accusati di "individualismo sfrenato". Hamas, ovviamente, è presentato come un movimento politico perfettamente legittimo e anche i gruppi terroristici FPLP e FDLP sono definiti "due partiti della sinistra".
Ecco il testo:
Marwan Sbitani ha deciso: il 25 gennaio andrà a votare a Sawahre, un sobborgo di Gerusalemme est, fuori dai confini municipali della Città santa. «Non ho alcuna intenzione di recarmi agli uffici postali (dove Israele consentirà l'apertura dei seggi) - dice con tono deciso - e inoltre è rischioso. Dieci anni fa (alle precedenti elezioni) chi andò alle urne trovò ad attenderlo la polizia che riprendeva con le telecamere ogni movimento fuori dai seggi. Non voglio dare agli israeliani un pretesto per cacciarmi via dalla città». Le preoccupazioni di Sbitani sono le stesse di tanti palestinesi che vivono nel settore arabo di Gerusalemme, occupato nel 1967 e annesso unilateralmente a Israele in violazione delle risoluzioni internazionali. Dicono che sia stato il Segretario di stato Usa, Condoleeza Rice, a convincere il premier israeliano ad interim, Ehud Olmert, a dare luce verde al voto palestinese a Gerusalemme est. In realtà Israele non ha potuto sottrarsi all'impegno che ha preso, firmando gli accordi di Oslo, di permettere ai «residenti arabi» di esercitare il loro diritto di voto, assieme a tutti gli altri palestinesi. D'altronde a Gerusalemmne est si è votato anche alle presidenziali dello scorso anno e la partecipazione allo scrutinio del 25 gennaio del movimento islamico Hamas non è stato per Olmert un pretesto sufficiente per sigillare Gerusalemme est. Il clima elettorale nella zona araba della città non ha nulla della vivacità della Cisgiordania e di Gaza, dove i manifesti dei candidati e delle liste ricoprono i muri dei centri abitati e nelle piazze si svolgono comizi e raduni. A Gerusalemme est sono visibili ben pochi poster dei partiti e i candidati si limitano a stampare manifesti poco appariscenti per non attirare l'attenzione delle forze di polizia. Senza dimenticare che non solo Hamas ma anche due partiti della sinistra - Fronte popolare e Fronte democratico - non possono svolgere campagna elettorale. La polizia in questi ultimi giorni ha fermato nella città vecchia candidati di Hamas accusandoli di svolgere attività illegali e ieri ha arrestato sette attivisti del Fronte popolare. Ma non è solo l'occupazione israeliana a frenare la campagna e a rendere gli elettori di Gerusalemme est poco interessati al voto. «Molte cose sono accadute in questi ultimi dieci anni - spiega Jumaa Najar, molto noto del quartiere di Ras Al-Amud -. La politica israeliana di annessione del settore arabo della città si è fatta più aggressiva e le colonie (ebraiche) sono cresciute come funghi. Purtroppo sono morti Faisal Hussein e il presidente Yasser Arafat, gli uomini che di Gerusalemme capitale dello Stato di Palestina avevano fatto la loro bandiera. La gente non ha più punti di riferimento e, fattore non secondario, non ha fiducia nell'Anp e in Abu Mazen». L'uscita di scena prematura di Husseini - figlio dell'eroico comandante arabo di Gerusalemme morto in combattimento nel 1948 - è stato un colpo decisivo per le aspirazioni palestinesi. Ne è convinto Abu Raed Tawill, 63 anni, candidato nella lista del Fronte popolare. «Con Abu Abdel Qader Husseini in vita gli israeliani non avrebbero mai potuto mettere in dubbio tanto a lungo, come hanno fatto, la partecipazione di Gerusalemme est al voto. Era un uomo di grande prestigio che sapeva difendere i nostri diritti ma sapeva parlare anche ai pacifisti israeliani e ottenere il loro sostegno. Oggi Gerusalemme est non ha più un leader. Nessuno ha saputo prendere il suo posto». Tawill ricorda le mobilitazioni organizzate da Faisal Husseini contro la costruzione di nuovi insediamenti ebraici e anche la trasformazione che il leader palestinese fece dell'edificio storico dell'Orient House in una sorta di sede diplomatica dell'Olp a Gerusalemme. «Per quelle stanze sono passati importanti politici stranieri, per ascoltare le nostre ragioni. Ora quel palazzo giace in stato di abbandono». Priva di leader, impressionata negativamente dall'amministrazione dell'Anp in Cisgiordania e Gaza, strangolata economicamente dal muro che Israele sta costruendo alla periferia est della città, soggetta alle intimidazioni delle autorità occupanti, la popolazione palestinese di Gerusalemme si sente smarrita, senza più una meta da raggiungere. Una situazione critica dalla quale non poteva non emergere un individualismo sfrenato. «Dopo la morte di Husseini e durante l'Intifada molti abitanti di Gerusalemme si sono chiesti se valeva la pena di perdere tutto ciò che avevano ed il diritto alla residenza in città cercando lo scontro frontale con Israele quando dall'altra parte l'Anp sprofondava nella corruzione diffusa e manteneva un atteggiamento ambiguo proprio verso la politica israeliana», spiega Jumaa Najar. La conseguenza non è stata la corsa verso l'acquisizione di un passaporto israeliano - il numero dei palestinesi di Gerusalemme est diventati cittadini dello Stato ebraico è sempre esiguo - ma la difesa ad oltranza di privilegi di cui non godono i residenti in Cisgiordania e Gaza. «Gli assegni di famiglia e l'assistenza nelle strutture mediche israeliane oggi sono le ancore di salvezza per le sempre più numerose famiglie palestinesi povere che popolano quartieri periferici colmi di rifiuti e senza servizi», aggiunge Najar. In queste condizioni è difficile fare previsioni su quanti palestinesi di Gerusalemme andranno alle urne il 25 gennaio. Il 20-30%, non di più dicono in molti. Tra questi non pochi voteranno Hamas, azzarda il candidato Abu Raed Tawill: «Non per adesione al programma del movimento islamico ma per dare una scossa alla situazione, per sollecitare Al-Fatah e gli altri partiti a non accettare la costruzione del muro, a non dimenticare Gerusalemme che è qualcosa di molto importante che va oltre il valore religioso della Spianata di Al-Aqsa e riguarda la nostra futura indipendenza».
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