Il Corriere della Sera di giovedì 19 gennaio 2006 pubblica una cronaca di Lorenzo Cremonesi dedicata alla proposta di escludere l'Iran dai mondiali di calcio, indirizzata da Israele alla Germania, che l'ha rifiutata. Una scelta che ricorda quella compiuta nel 72 a Monaco: i giochi olimpici continuarono mentre i terroristi palestinesi uccidevano gli atleti israeliani. Ecco il testo:
GERUSALEMME — Escludere la nazionale iraniana dai prossimi Mondiali di calcio in Germania. La proposta arriva da Israele in un pacchetto di sanzioni volte a fermare il programma atomico di Teheran, che comprendono anche negare il visto per le visite all'estero del presidente iraniano, Moahmoud Ahmadinejad e i suoi collaboratori. Oltre a quella più «tradizionale» del blocco all'export del petrolio iraniano e le limitazioni ai viaggi della compagnia aerea di bandiera.
Idee e iniziative che echeggiano da tempo nei corridoi delle diplomazie tra Washington e le maggiori capitali europee. Il primo a parlare pubblicamente dell'embargo contro la nazionale iraniana fu un mese fa l'ex centrocampista tedesco Wolfgang Overath. Nelle ultime ore tra l'altro si nota una evidente crescita del coordinamento degli sforzi tra le due sponde dell'Atlantico per giungere a una posizione comune. Ieri sera i portavoce dell' Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea) hanno confermato la riunione dei suoi 35 Stati membri il 2-3 febbraio per discutere i provvedimenti da prendere contro il pericolo che la ripresa del programma nucleare possa condurre l'Iran a fornirsi dell'arma atomica. Una mossa, voluta in particolare da Francia, Germania e Inghilterra, che raccoglie il pieno consenso statunitense. Così i maggiori partner europei rifiutano gli ultimi appelli al dialogo lanciati da Teheran. «Per quanto mi è stato riferito dagli europei, non c'è molto margine di discussione», ha commentato ieri a caldo il Segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, accogliendo l'Alto rappresentante dell'Unione Europea per la politica estera, Javier Solan. Questi ha chiarito di aver ricevuto una lettera del consigliere della sicurezza nazionale iraniano in cui si chiede la ripresa dei negoziati avviati oltre un anno fa. «Abbiamo risposto che un'altra riunione non ha molto senso, se non c'è nulla di nuovo da mettere sul tavolo. Ora siamo d'accordo con gli americani nel dire che è necessaria la riunione straordinaria dell'Aiea e poi il deferimento al Consiglio di Sicurezza dell'Onu», ha spiegato Solana.
Israele formalmente rimane un partecipante attento, ma discreto, alle manovre della diplomazia internazionale. In effetti, i suoi massimi dirigenti politici, diplomatici e militari fanno di tutto per accelerare la macchina delle sanzioni contro Teheran. Le recenti dichiarazioni di Ahmadinejad sulla negazione dell'Olocausto e circa la necessità di «cancellare Israele dalla faccia della Terra» fanno paura. «Non possiamo permettere che un Paese tanto ostile nei nostri confronti possa dotarsi dell'atomica», dichiara il neo-premier ad interim, Ehud Olmert. Ma è lui il primo ad invocare la necessità di agire in coordinazione con la comunità internazionale.«Non è nostro interesse esporci troppo in questa campagna. Non deve sembrare un braccio di ferro tra Gerusalemme e Teheran. In realtà un Iran armato di bomba atomica non rappresenta un pericolo solo per noi, ma per il mondo intero. Ecco perché siamo soddisfatti che ultimamente stia crescendo una nuova determinazione internazionale», chiariscono al ministero degli Esteri a Gerusalemme. Eppure il pacchetto di proposte avanzate da Israele negli ultimi giorni a Europa e Stati Uniti, e rivelato ieri dal quotidiano Ha' aretz, è già oggetto di dibattito. In particolare fa discutere l'idea di boicottare la nazionale di calcio iraniana ai mondiali che dovranno giocarsi in terra tedesca dal 9 giugno al 9 luglio.
Un tema delicato per la neo-cancelliera di Berlino, Angela Merkel. Dopo tutto la Germania è anche la terra dell'Olocausto, che proprio il presidente iraniano adesso nega. A rendere ancora più che mai «scottante» la questione è arrivata ieri a Berlino la lettera del deputato del Likud, Gilad Erdan, che è anche presidente della commissiona parlamentare israeliana per lo sport. «Dottoressa Merkel, le si offre la rara opportunità di agire e segnalare all'Iran che il suo atteggiamento è inaccettabile dal mondo intero e specie in Germania, su suolo tedesco», scrive diretto. La Merkel risponde però con un netto «non ci sto». «Sono scettica. Potremmo riconsiderare di partecipare ai Mondiali, se si tenessero in Iran. Ma la loro squadra di calcio non può condizionare le parole del loro presidente», dice alla stampa tedesca.
«La cancelliera non è d'accordo con questa misura. Poiché ciò punirebbe la gente, lo sport e i tifosi del calcio, penalizzati per causa del loro governo», puntualizza il suo portavoce. Anche la Federazione Internazionale del calcio (Fifa) si è detta contraria «in nome della differenziazione tra sport e politica».
Un' intervista di Cecilia Zecchinelli alla scrittrice iraniana Farzaneh Karampour è condotta in modo piuttosto deludente. "Nessuno in Iran sostiene il governo israeliano", afferma la scrittrice e la Zecchinelli non pensa a chiedere se l'opinione pubblica dispone sull'argomento di una vera informazione o solo di propaganda. chiede invece: "E sul nucleare?" : "tutti gli Stati hannoil diritto a produrre energia come preferiscono, nessuno Stato deve avere armi nucleari. Ma questo vale anche per Usa, Israele, Cina " risponde la Karampour, senza che le venga fatto notare che solo l'Iran ha un vertice politico che proclama la necessità di cancellare dalla faccia della terra un altro stato. Nonostante questi difetti nella conduzione dell'intervista, alcune risposte della Karampour risultano interessanti, per esempio quando per rispondere alla domanda "Perché questo accanirsi su Israele ricorda che "Gli slogan elettorali del presidente erano "giustizia economica" e "lotta contro Israele". Sul primo punto non si è visto molto. Più facile insistere sul secondo..."
Ecco il testo completo:
TORINO — Cresciuta in una famiglia laica e di sinistra dell'Iran pre-rivoluzione, ingegnere e scrittrice di successo in patria (poco tradotta per ora), Farzaneh Karampour, 51 anni, è uscita per la prima volta dal suo Paese per partecipare al convegno «Scrittura svelata: parole e donne dal Maghreb all'Iran» organizzato per domani dal Premio Grinzane Cavour a Torino. E qui le abbiamo chiesto come la società civile della Repubblica Islamica stia vivendo la tensione in atto tra il presidente Ahmadinejad e l'Occidente. Quanto le sfide da lui lanciate al mondo siano condivise nel Paese.
«In apparenza il presidente gode di un forte sostegno. Ma tra gli intellettuali c'è la convinzione che le sue parole non seguano una vera strategia politica. Diciamo che è molto sincero, che non si muove come un giocatore di scacchi, pensando alla prossima mossa».
Ma questo potrebbe ritorcersi su tutto l'Iran, non c'è timore di sanzioni, dalle più serie all'esclusione dai Mondiali di calcio, o addirittura di un intervento militare?
«Sì, c'è. Ma cosa possiamo fare? Noi intellettuali abbiamo scelto di non votare perché è l'intero sistema che va cambiato, non una pedina. E il Paese è stato abituato da sempre ad obbedire a un re: Ahmadinejad è stato eletto dal popolo che non ha ancora iniziato a capire e ne sta pagando il prezzo. La democrazia però non può essere importata. Deve germogliare al nostro interno. Succederà, perfino la destra inizia a dividersi».
Perché questo accanirsi contro Israele?
«Gli slogan elettorali del presidente erano "giustizia economica" e "lotta contro Israele". Sul primo punto non si è visto molto. Più facile insistere sul secondo, anche perché nessuno in Iran sostiene il governo israeliano. Diverso è il sentimento verso gli ebrei: Ciro il Grande, 2500 anni fa, fu il primo a concedere loro asilo in Persia».
E sul nucleare?
«Anche su questo c'è accordo, a destra e a sinistra: tutti gli Stati hanno il diritto a produrre energia come preferiscono, nessuno Stato deve avere armi nucleari. Ma questo vale anche per Usa, Israele, Cina...».
Lei ha iniziato a pubblicare racconti e romanzi da meno di dieci anni. Per sentirsi più libera?
«Io mi muovo a mio agio, personalmente, nel mio lavoro di ingegnere, dove non porto nemmeno il velo per quanto questo possa valere. E come scrittrice: la mia raccolta di racconti del 1997 è stata la prima opera pubblicata dopo la rivoluzione con contenuti di critica sociale, non intimistica. Negli ultimi tempi la censura è diventata più dura, è vero, vedremo cosa succederà al mio nuovo romanzo. E nel Paese c'è molta voglia di libertà: in alcuni miei racconti parlo delle ragazze che sempre più spesso scelgono di prostituirsi non per necessità ma per sentirsi più libere, anche se in modo distorto. In tutto il mondo, quando la libertà viene repressa questa trova comunque modo di esprimersi».
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