A pagina 2 Il Foglio di giovedì 19 gennaio 2005 pubblica un articolo di William Kristol sulla necessità di una seria minaccia militare per scongiurare il rischio del nucleare iraniano. Ecco il testo:
Un incallito stato canaglia che sponsorizza il terrorismo tenta di sviluppare armi di distruzione di massa. Gli Stati Uniti cercano di collaborare con gli alleati europei per affrontare il problema in modo pacifico, affidandosi alle ispezioni dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) e alle sanzioni delle Nazioni Unite. Gli europei hanno di solito un atteggiamento esitante e legato a pie illusioni. La Russia e la Cina creano ostacoli (…). Questa non è una lezione di storia sull’Iraq. Sono i titoli di oggi sull’Iran, il cui regime sta apertamente seguendo l’ambizione di diventare una potenza nucleare. “Ma questa volta bisogna dare una vera possibilità alla diplomazia”, dicono in coro le colombe. “Forse questa volta Israele si prenderà cura del problema”, sussurrano alcuni falchi. Ma entrambi non fanno altro che rifugiarsi nei sogni. Le colombe esprimono preoccupazioni per il programma nucleare iraniano e propongono varie risposte diplomatiche (…). Ma l’unico modo per offrire nei prossimi mesi una concreta opportunità alla pressione diplomatica, politica ed economica è quello di mantenere aperta l’opzione militare. Nel frattempo, alcuni falchi sostenitori della guerra in Iraq preferirebbero affrontare una minaccia alla volta. Sperano che si possa rimandare le cose ancora per un po’, o che un deus ex machina – addirittura un dio ebraico! – appaia e risolva il problema al posto nostro (…). Per essere chiari: sosteniamo gli impegni diplomatici, politici ed economici per bloccare il programma nucleare del regime iraniano. Appoggiamo gli sforzi multilaterali condotti attraverso l’Aiea e le Nazioni Unite, e la creazione, se necessario, di una “coalition of the willing” per promuovere sanzioni e altre forme di pressione. Appoggiamo un impegno concreto per aiutare i democratici e i dissidenti iraniani, nella speranza che si possa ottenere un cambio di regime senza il bisogno di un intervento militare esterno. Appoggiamo il rafforzamento delle nostre capacità d’intelligence. Infine, riteniamo che si debba tenere aperta la possibilità di un intervento militare e che dobbiamo preparaci per questa eventualità. Molte persone – tutti i giornalisti della redazione del New York Times, buona parte degli europei e persino alcuni membri dell’Amministrazione Bush – non considerano realmente inaccettabile l’idea di un Iran in possesso del nucleare. Sono naturalmente a favore di vari sforzi multilaterali per convincere il presidente Ahmadinejad, il capo del Consiglio della rivoluzione, Hashemi Rafsanjani, e l’ayatollah Ali Khamenei a rinunciare alle loro ambizioni nucleari (…). In definitiva pensano che si possa convivere con un Iran nucleare. Dopo tutto, il contenimento e la deterrenza hanno funzionato con l’Unione Sovietica e potrebbero andar bene anche con l’Iran, come ha detto in mia presenza un funzionario di medio livello del dipartimento di stato in un momento di sincerità, circa un paio di mesi fa. Noi non siamo d’accordo, e pensiamo che non lo sia nemmeno il presidente Bush. La crisi per i missili di Cuba con l’Unione Sovietica di Krusciev ci è più che bastata. Vogliamo davvero rischiare di trovarci in una situazione analoga con l’Iran di Ahmadinejad? E che dire della possibilità di una proliferazione nucleare in tutta la regione? E delle nostre speranze per un medio oriente più liberale, meno estremista e meno amico del terrorismo? I sostenitori del contenimento e della deterrenza dovrebbero presentare le loro ragioni in modo chiaro e onesto (…). Al momento, se leggete la pagina degli editoriali del New York Times, o Timothy Garton Ash sul Guardian, vi trovate un sacco di articoli sul deplorevole comportamento dell’Iran, sull’urgente necessità di sforzi diplomatici multilaterali e sull’assoluta impossibilità di un intervento militare, anche soltanto in via ipotetica (…). Altri, fortunatamente, sono più seri. La pagina editoriale del Washington Post, per esempio, sostiene la necessità di concreti provvedimenti politici ed economici, esorta a non lasciare che la diplomazia degeneri nell’appeasement, propone di verificare la serietà dei nostri alleati e di nazioni come la Russia e la Cina, e si rifiuta di escludere l’eventualità di un intervento militare. Anche il presidente Bush e il segretario di stato, Condoleezza Rice, sono molto seri. Si sono messi a parlare con un tono più deciso, visto che il governo iraniano ci sta mettendo alla prova e che il suo programma nucleare potrebbe ormai essere vicino al punto di non ritorno (…). Non si può permettere ai nostri avversari di credere che, poiché una parte delle informazioni di intelligence sull’Iraq erano sbagliate o poiché la lotta contro l’insurrezione irachena si sta rivelando difficile, non avremo il coraggio di prendere i provvedimenti necessari contro l’attuale regime di Teheran.
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